Meritocrazia delle mazzette

In by Gabriele Battaglia

A pochi giorni dalla fine del XVIII congresso del Pcc, tra i "China watchers" di tutto il mondo si è scatenato il dibattito. Il sistema cinese è davvero meritocratico? China Files ha il piacere di ospitare la risposta di Beniamino Natale, corrispondente dell’Ansa da Pechino, al direttore Simone Pieranni.Per usare una frase fatta cinese, sono d’accordo al 30 per cento e in disaccordo al 70 con quanto scrive Simone Pieranni. Non mi pare infatti che la meritocrazia abbia un grande ruolo nel decidere le carriere interne al Partito Comunista Cinese. Né mi pare che il tradizionale sistema confuciano – basato sull’apprendimento a memoria stimolato dalle bastonate – sia quello migliore per produrre uomini capaci di decisioni rapide, prese in modo indipendente e rischiando di sbagliare, rischio al quale nessun essere umano si può sottrarre.

Una decina d’ anni fa ero appena arrivato a Pechino quando scoppiò l’epidemia di Sars. Per ora basti dire che la Sars mi dette il privilegio di vedere subito, paracadutato in Cina senza capire una parola di cinese (oggi ne capisco poche di più) e soprattutto del Paese (che oggi capisco appena un pochino di più), il Re nudo. Hu Jintao aveva appena preso il potere e, come direbbero i nostri amici anglosassoni, "…he was nowhere to be seen"…non risultava. Solo qualche funzionario, occasionalmente, era mandato a fronteggiare i giornalisti (e l’opinione pubblica cinese), e in genere facevano figure barbine.

Ogni giorno il mio ufficio e quelli di altri mezzi d’informazione ricevevano telefonate di medici ed infermieri che ci dicevano che gli ospedali erano pieni di malati, mentre Hu and company continuavano a negare. Arrivarono a iniziative grottesche, tipo quella di acconsentire ad una visita dei giornalisti in alcuni ospedali solo per portare via i malati di Sars poco prima del nostro arrivo, facendoli girare per quattro ore sulle ambulanze che andavano in giro su e giù per la città a sirene spiegate!

Un gruppo di dirigenti del partito di Pechino (del quale sono sicuro facesse parte Wu Yi, sugli altri di cui si parla, come Wang Qishan, non ci giurerei) lo tirarono per la manica solo dopo che il dottor Jiang Yanyong aveva denunciato la serietà della situazione alla stampa internazionale. Jiang non è stato poi perseguitato, ma quasi.

Paragoniamo la sua situazione, per esempio, a quella di Li Keqiang, fresco di promozione a numero due, che era uno dei massimi dirigenti nello Henan quando scoppiò l’epidemia di Aids provocata dalle trasfusioni fatte negli ospedali e promosse dai funzionari locali. Li o non se ne è accorto, o se ne è accorto e ha contribuito alla copertura. Come meritocrazia non c’è male!

Potremmo continuare, per esempio con Hu Jia, se vogliamo rimanere sul terrenno dell’Aids o su dirigenti palesemente incapaci (uno su tutti: Wu Bangguo, cosa cavolo ha fatto per dieci anni, oltre alla politichetta di Partito – e a sistemare la situazione finanziaria della famiglia, come molti altri?).

Che io sappia, un fattore molto importante per le promozioni è il rispetto delle "quote" – quelle delle nascite che non devono superare una certa soglia, per esempio, o quelle del Pil – cosa che è alla base di tante ingiustizie (le requisizioni delle terre) e atrocità (gli aborti forzati)… Questo, senza parlare dei posti di responsabilità che vengono messi all’asta e venduti al miglior offerente, una pratica che mi dicono piuttosto diffusa, o della corruzione che gli stessi dirigenti comunisti, ultimo Xi Jinping, non si stancano di denunciare. Se il sistema di selezione funzionasse così bene, non ci dovrebbero essere molti meno corrotti in giro in posizioni di responsabilità?

Ma veniamo al 30 per cento sul quale concordo. Io penso che la Cina faccia parte di una, come vogliamo chiamarla, "unità culturale" che comprende anche Corea e Giappone. Soprattutto questi ultimi due, secondo me, sono abbastanza avanti – più avanti di molti paesi occidentali e anche della Cina – nella sintesi tra individualismo e creatività occidentali e pragmatismo e rispetto della collettività degli orientali.

Una sintesi che credo sia matura e necessaria per il progresso dell’ umanità. Guardando a come il Giappone ha affrontato la serie di disastri dell’anno scorso, il senso di responsabilità che tutti sentivano verso la collettività, sono rimasto veramente impressionato.

E confesso che mi ha impressionato anche il portavoce del governo, Yukio Edano, che ogni giorno si presentava ai giornalisti, e più di una volta ci ha "messo la faccia" lo stesso (allora) primo ministro Naoto Kan. Non conosco né Noda, né Zhang Weiwei, ma che differenza con Hu Jintao e il resto del governo cinese durante la Sars!

E, senza entrare nei dettagli, della Corea del Sud mi ha colpito il modo nel quale hanno superato la crisi del 1997, guardando "pragamaticamente" quali erano le carte che il Paese aveva e giocandosele tutti insieme, sinistra, destra, sindacati e industriali – e questo in un Paese nel quale in piazza si prendono a mazzate, proprio come noi. 

Uno spirito che hanno dimostrato anche i cinesi che hanno aperto la strada al miracolo economico degli ultimi anni, da Deng Xiaoping stesso a Hu Yaobang e Zhao Ziyang…e soprattutto, tutti gli "uomini della strada" che col lavoro e con la loro intelligenza hanno veramente fatto il miracolo di questi anni (l’ economia infatti la fanno i cittadini, non, come erroneamente alcuni pensano, i governi…).

Insomma, in conclusione penso che ci sia qualcosa di importante che dobbiamo imparare da cinesi, coreani e giapponesi, che non si chiedono "cos’è questo?" ma "come posso farlo?". D’altra parte però, confondere questo con l’autoritarismo ottocentesco dei principini di Pechino mi sembra assolutamente sbagliato. 

[foto credits: businessinsider.com]

* Beniamino Natale frequenta l’ Asia dal 1978, quando fece il primo viaggio in India e decise di passarci parte della propria vita. Il suo primo viaggio in Cina risale al 1985 e fu un secondo colpo di fulmine…Dal 1992 al 2002 è stato corrispondente dell’ Ansa da New Delhi, coprendo tutto il subcontinente e nel 2003 si è trasferito a Pechino, dove vive tuttora. Da China Files è considerato una guida imprescindibile per chi lavora nel giornalismo in Asia.