30 mila persone contro la polizia e un uomo ucciso. E’ il bilancio riportato da un’associazione per i diritti umani con sede ad Hong Kong, al termine delle proteste di operai contro un’operazione che avrebbe dovuto portare una fabbrica di proprietà pubblica che produce acciaio ad essere acquisita dalla privata Jianlong Steel Holding Company di Pechino.
Per i cinesi 60 anni sono un ciclo di vita esatto. E nell’anno del sessantesimo anniversario della Repubblica Popolare cinese, la popolazione locale sembra pervasa da un nervosismo latente, che sfocia in numerosi casi di mass incidents. Dopo i disordini di Urumqi, è toccato agli operai di una fabbrica di acciaio. In 30 mila hanno protestato contro una fusione che avrebbe portato al licenziamento di molti di loro.
Sopraggiunto il manager, è stato assaltato e ucciso e botte e pietrate. Una volta caduto al suolo, secondo le testimonianze di alcuni poliziotti, raccolte dal South China Morning Post, avrebbero impedito l’arrivo dell’ambulanza. L’uomo, quarant’anni è morto.
A seguito dell’incidente il governo ha provveduto a bloccare la fusione, ma rimane alta l’allerta sul settore dell’acciaio e sui stravolgimenti lavorativi dei punti chiave dell’industria cinese.
Il fatto è accaduto a Tonghua, nella provincia di Jilin, nord est cinese.
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