Dopo aver risposto con ritorsioni mirate ai precedenti round tariffari anti cinesi di Trump, stavolta la Cina ha adottato una strategia diversa: corteggiare le aziende straniere, a partire da quelle occidentali
“Trump sta dicendo che ci sono sia amici che nemici e che gli amici possono essere più difficili. Questo è molto complicato da capire”. A dirlo, da Tokyo, è il premier giapponese Shigeru Ishiba, furioso dopo la mancata esenzione sui dazi per le auto imposti dalla Casa bianca. Qualche centinaio di chilometri a ovest, la Cina osserva e prova a farsi amici quelli che temeva fossero ormai nemici. Dopo aver risposto con ritorsioni mirate ai precedenti round tariffari anti cinesi di Trump, stavolta Xi Jinping ha adottato una strategia diversa: corteggiare in una volta sola le aziende straniere, i governi occidentali, i vicini asiatici e i paesi del sud globale. In che modo? Ergendosi a leader dell’antiprotezionismo e garante del libero commercio.
D’altronde, i dazi sulle auto colpiscono soprattutto gli alleati storici degli Stati uniti, sia in Europa che in Asia. Significativo che, venerdì mattina, di fronte a Xi nella grande sala del popolo di Pechino sedesse nientemeno che Akio Toyoda, presidente di Toyota. Mentre il colosso dell’auto giapponese crollava del 4,76% in borsa a causa delle tariffe, Toyoda ha ringraziato Xi per il recente via libera alla costruzione di un impianto di veicoli elettrici a Shanghai, per cui non ci sarà inusualmente bisogno di una joint venture con un partner locale. Insieme al presidente di Toyota, circa 40 grandi manager internazionali. Tra gli altri: Ola Kallenius di Mercedes-Benz, Oliver Zipse di BMW, Paul Hudson di Sanofi, Raj Subramaniam di FedEx, Georges Elhedery di HSBC, Ray Dalio di Bridgewater. Presenti anche i vertici di colossi dell’elettronica come Hitachi e Samsung, dei microchip come la sudcoreana SK Hynix, di giganti del petrolio come Saudi Aramco.
“L’unilateralismo e il protezionismo si stanno intensificando, ma la Cina aprirà sempre di più le sue porte”, ha detto Xi, in un chiaro riferimento alla politica dei dazi di Trump. “Il multilateralismo è una scelta inevitabile, la Cina promuove un’economia mondiale aperta”, ha aggiunto, garantendo sostegno ad aziende simbolo dei rispettivi settori. Lo stesso messaggio è stato recapitato a una lunga lista di altri manager: da Tim Cook di Apple ai vertici di Qualcomm, da Blackstone a Maersk, da AstraZeneca a Total Energies. Non hanno partecipato tutti all’incontro con Xi, ma erano presenti in massa al China Development Forum, dove sono stati ricevuti da figure apicali del Partito comunista come il ministro del Commercio Wang Wentao e il vicepremier He Lifeng, zar delle politiche economiche.
Già da qualche tempo, il governo cinese punta sui rapporti personali con le grandi aziende e i loro leader. Negli scorsi anni, sono stati ricevuti a più riprese non solo Elon Musk, su cui vengono ora riposte le speranze di un dialogo fruttuoso con la Casa bianca, ma anche Pat Gelsinger di Intel o Bill Gates di Microsoft. La speranza è di far ripartire gli investimenti esteri (in netto calo danni) e ottenere forme di pressione anti dazi delle multinazionali presso i rispettivi governi. Il tutto rafforzando la narrativa degli scambi “people-to-people”, volta a sottolineare come sia solo la “mentalità da guerra fredda” del governo americano a impedire la cooperazione.
La stessa postura viene utilizzata sul fronte diplomatico. Sempre venerdì, Xi ha ricevuto il premio Nobel Muhammad Yunus, attuale leader del Bangladesh, con cui ha firmato una serie di accordi. Ora si punta a migliorare i rapporti con l’Europa, di cui si è appena ospitato il commissario al Commercio Maros Sefcovic, e coi vicini asiatici, facendo leva sulle rispettive rimostranze anti Trump.
Per il Giappone, le auto rappresentano oltre il 30% delle esportazioni negli Usa e il 7% dell’export totale. Secondo Nikkei, i dazi ridurranno le spedizioni del 15-20%, con un impatto dello 0,2% sul pil. Cifre simili per la Corea del Sud, che solo con Hyundai e Kia ha venduto quasi due milioni di veicoli sul mercato americano nel 2024. Tokyo e Seul vedono le tasse aggiuntive come un tradimento. Nel 2019, Trump aveva firmato con l’allora premier giapponese Shinzo Abe un accordo in cui prometteva uno stop ai dazi in cambio di maggiori importazioni. A Seul c’è chi lamenta di ricevere un trattamento simile alla Cina, nonostante Hyundai abbia appena annunciato un investimento da 21 miliardi di dollari per una nuova fabbrica in Louisiana.
Non sembra un caso che oggi si tiene un trilaterale tra i ministri del Commercio di Giappone, Corea del Sud e Cina. È la prima volta dal 2019 e in agenda ci sono discussioni su un possibile accordo di libero scambio.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.