La Cina apre i rubinetti e lascia fluire l’acqua del grande fiume verso i cinque paesi a valle, afflitti dalla siccità. La rassegna quotidiana delle notizie del giorno: i processi pubblici contro i lavoratori migranti. Le monache tibetane per la parità di genere. La guerra degli slogan in India tra sostenitori del governo e manifestanti.
Dragonomics – Ecosistema Mekong di Gabriele Battaglia
La Cina apre i rubinetti e lascia fluire l’acqua del grande fiume verso i cinque paesi a valle, afflitti dalla siccità. A Pechino si parla di «gesto generoso», mentre un nuovo meccanismo di cooperazione viene lanciato con grandi squilli di tromba. La logica che lo presiede è, tanto per cambiare, quella dello «sviluppo».
In Cina e Asia – «Processi pubblici» contro i lavoratori migranti cinesi di Redazione
I titoli della rassegna di oggi:
– Lavoratori migranti svergognati durante «processo pubblico» in Cina
– Indonesia contro Cina nel Mar di Natuna: Jakarta convoca l’ambasciatore di Pechino
– In arrivo una nuova centrale nucleare alle porte di Pechino
– Il giornalista Jia Jia è stato «portato via dalla polizia all’aeroporto di Pechino»
– Il leader di #OccupyHK fonderà un partito
– Due commercianti di mucche musulmani assassinati e impiccati in India
Monache buddiste tibetane per la parità di genere di Matteo Miavaldi
Un centinaio di monache buddiste ha iniziato ad affiancare agli studi religiosi una preparazione accademica di stampo femminista, con l’obiettivo di combattere le pratiche discriminatorie che le donne tibetane subiscono dentro e fuori i monasteri. Ma i vertici ecclesiastici liquidano i concetti di femminismo e parità tra i sessi come «occidentali»
La guerra degli slogan in India di Matteo Miavaldi
È più indiano chi urla «Bharat mata ki jai» (evviva Madre India) o chi urla «Azadi» (libertà)? O meglio, se qualcuno si rifiuta di urlare in pubblico «Bharat mata ki jai» vuol dire che non ama il proprio paese ed è un cospiratore anti nazionale? Nella metà di marzo dell’anno 2016 sembra essere questa la discussione principale che coinvolge media e politici indiani, in una gara di identitarismo semiotico apparentemente assurda, ma che invece fa emergere la questione di un’identità indiana ancora tutta da trovare.