Made in China Files

In by Gabriele Battaglia

Le due Cine di Sesto Fiorentino: quella della legalità e del contributo allo stato e all’economia italiana e quella illegale del traffico di droga e di esseri umani. Ergastolo per l’ex aiutante dell’ex presidente cinese Hu Jintao: in primo piano nella nostra rassegna delle notizie da Cina e Asia. E infine un approfondimento sul Bangladesh in seguito agli attacchi di venerdì scorso: le dinamiche e le indagini ancora in corso e un pezzo di contesto per capire di cosa si sta parlando quando si dice «Isis» in Bangladesh.

Le due Cine di Sesto Fiorentino di Alessandra Colarizi 

A quasi una settimana dalle proteste violente di Sesto Fiorentino, in cui sono rimasti feriti tre operai cinesi e quattro poliziotti, la ricostruzione dei fatti ha raggiunto un punto morto. Gli scontri innescati nel pomeriggio del 29 giugno da un controllo della Asl in un capannone, hanno visto i cinesi condannare le maniere brusche adottate delle autorità durante le ispezioni e rispondere a loro volta con il lancio di pietre e bottiglie. La rivolta, che ha finito per coinvolgere nella notte di mercoledì circa 300 cinesi provenienti dalle aree limitrofe, è stata guidata da ragazzi della terza generazione di immigrati e coordinata attraverso i social, proprio come ormai avviene sempre più spesso nella Repubblica popolare durante le varie manifestazioni di piazza.

In Cina e Asia – Ergastolo per Ling Jihua di Redazione

I titoli della rassegna di oggi:

– Ergastolo per Ling Jihua
– Tutte le news online devono essere «verificate», dice l’authority dell’internet cinese
– Le multinazionali attive in Bangladesh sospendono i viaggi nel paese dei propri impiegati
– Il presidente-sceriffo Duterte dichiara guerra ai trafficanti filippini
– In Corea del Sud arriva l’Internet delle Cose

Dhaka: vittime uccise in 20 minuti, proseguono le indagini di Matteo Miavaldi 

Ieri mattina a Dhaka si è celebrata la commemorazione delle 20 vittime civili e tre militari della strage di Gulshan. La cerimonia si è tenuta presso l’Army Stadium della capitale, con un palco addobbato dalle bandiere delle nazioni coinvolte nella tragedia – Bangladesh, Giappone, India, Italia, Usa – dove tra le dieci e il mezzogiorno locale sono passate a deporre corone di fiori le più alte cariche dello stato e militari, dalla premier Sheikh Hasina in giù, e i rappresentanti della diplomazia internazionale, compreso l’ambasciatore italiano a Dhaka Mario Palma.

Cosa intendiamo quando diciamo «in Bangladesh c’è l’Isis» di Matteo Miavaldi 

Con la strage dell’Holey Artisan Bakery di Gulshan, quartiere dell’upper class di Dhaka, anche in Italia, con nove connazionali vittime dei terroristi, ci siamo ritrovati obbligati a chiederci se, come ed eventualmente da quando il terrore del Califfato abbia penetrato lo storicamente «moderato» Bangladesh. Uno stato lontano dagli occhi e dal cuore, pressoché sconosciuto nelle sue caratteristiche peculiari e storiche che, negli anni, è stato ingiustamente inserito nel circolo delle nazioni del terrore di Isis, confondendo non solo la percezione internazionale dei problemi interni ma, soprattutto, le pressioni politiche globali contro il governo di Sheikh Hasina, che si è dimostrato incapace di arginare la deriva terroristica locale e ora non può più negare che in Bangladesh ci sia un problema Isis. Proviamo a capirne l’entità.