Sangue infetto che scorre nelle vene e nelle arterie. Polmoni pieni di nitrati e polveri sottili. Una pelle disidratata e ipersensibile. Alcuni dei principali organi seriamente compromessi. È poco incoraggiante il quadro clinico del Dragone cinese che emerge dall’ultimo report sullo stato di salute ambientale del Paese pubblicato dal governo di Pechino. Secondo i dati del ministero dell’Ambiente, in Cina un sesto dei fiumi è gravemente inquinato, quattro laghi su dieci soffocano a causa delle alghe, il cinquanta per cento delle città è colpito da piogge acide, la qualità dell’aria peggiora di anno in anno e l’avvelenamento da metalli pesanti ha ormai superato il livello di allerta.
E questo solo per menzionare i problemi che le autorità considerano più gravi. L’analisi compiuta dal dicastero prende in considerazione numeri e misurazioni raccolte nel corso del 2010 sull’intero territorio nazionale, comparandoli alla situazione degli anni precedenti. Salvo piccoli progressi fatti registrare in contesti specifici, come ad esempio la qualità delle acqua dei fiumi, migliorata rispetto al passato, le condizioni complessive dell’ambiente in Cina appaiono in continuo peggioramento.
A preoccupare Pechino è in primo luogo lo stato di salute delle acque: se nel 60 per cento dei casi la loro qualità è stata valutata con il grado 3 (su una scala discendente che va da 1 a 5), sono quasi un quarto del totale (23,7 per cento) i fiumi che hanno ottenuto il punteggio più basso, mentre un sesto (16,4 per cento) non ha raggiunto neppure il parametro inferiore, a indicare che i liquami trasportati dal loro corso non possono essere utilizzati neanche a scopo agricolo perché avvelenerebbero la terra. Tra i maggiori fiumi cinesi, il Songhua (nel Nord-Est) e lo Huai (nell’Est) risultano «leggermente inquinati», il Liao e il Fiume Giallo «moderatamente inquinati» e l’Hai (che attraversa Tianjin) «pesantemente inquinato».
Non migliore appare la situazione dei laghi: poco meno della metà del totale (42,3 per cento) è soggetto a «eutrofizzazione». L’accumulo di elementi come l’azoto e il fosforo causa una proliferazione di alghe microscopiche al loro interno, che aumenta l’attività batterica e riduce l’ossigeno presente, uccidendo pesci e piante acquatiche. Il report si sofferma anche sulle acque costiere, evidenziando un aggravamento globale del loro stato rispetto al 2009 e richiamando l’attenzione su alcune zone particolarmente critiche, come le coste del Mar di Bohai e gli estuari dello Yangtze e del fiume Pearl. Passando ad analizzare la qualità dell’aria che la popolazione cinese respira quotidianamente, lo studio del ministero dell’Ambiente sottolinea che solo il 3,6 per cento delle 471 città sottoposte a monitoraggio ha ottenuto il punteggio di 1 («qualità ottima»), mentre un centro urbano su cinque non ha raggiunto il parametro più basso fissato dagli obiettivi annuali stabiliti dal governo.
Un dato che peggiorerebbe ulteriormente se confrontato con gli standard minimi qualitativi previsti dall’Organizzazione mondiale della sanità. Sono dunque sempre di più le città cinesi che soffocano sotto una cappa di grigio smog; nell’1,7 per cento dei casi respirare quest’aria arriva ad essere addirittura «pericoloso». Un capitolo specifico del dossier del governo di Pechino è dedicato al problema dell’inquinamento prodotto dai metalli pesanti. Primo produttore e consumatore mondiale di piombo, la Cina ha avviato nel corso del 2010 una campagna nazionale per contrastare l’avvelenamento causato dal mancato rispetto delle norme di tutela ambientale da parte di imprese minerarie e dalle industrie che trattano i minerali estratti dal terreno.
L’amministrazione centrale, sottolinea lo studio, ha stanziato a questo scopo 1,5 miliardi di yuan, circa 160 milioni di euro. Oltre ai danni causati alla salute dei cittadini, a preoccupare la dirigenza del partito comunista è anche l’instabilità sociale che questo problema ha generato. Il mese scorso la provincia della Mongolia Interna è stata teatro di alcune sporadiche manifestazioni da parte della popolazione mongola, infuriata a causa dei danni prodotti dall’inquinamento dell’industria estrattiva ai pascoli e all’agricoltura locali. La morte di un contadino, investito da un camion che trasportava carbone, ha dato vita a una rivolta per placare la quale le autorità locali hanno imposto la legge marziale.