DeepSeek ha rivoluzionato l’intelligence artificiale? I chatbot cinese sono un pericolo per la sicurezza dei nostri dati? La censura rappresenta un ostacolo per lo sviluppo tecnologico della Cina? Per rispondere a queste e altre domande abbiamo intervistato Emanuele Rodolà, Professore Ordinario di Informatica alla Sapienza Università di Roma, dove dirige il gruppo GLADIA di Intelligenza Artificiale. Dal nuovo e-book di China Files sull’intelligenza artificiale (IA) in Asia. (SCOPRI COME OTTENERLO)
La ricerca di Rodolà, finanziata da grant europei e nazionali, si concentra su modelli neurali, representation learning, ML per audio e apprendimento multimodale, con oltre 170 pubblicazioni e numerosi riconoscimenti. Ha svolto attività di ricerca presso USI Lugano, TU Munich, Università di Tokyo (Research Fellow della Japan Society for the Promotion of Science) e ha passato periodi di visiting research presso istituzioni come Tel Aviv University, Technion, École Polytechnique e Stanford. Fellow di ELLIS e unico italiano nella Young Academy of Europe per l’AI, è attivo nei principali comitati scientifici del settore. Da oltre dieci anni segue gli sviluppi dell’AI in Asia, attraverso la sua esperienza all’Università di Tokyo e come relatore invitato in eventi di prestigio in Giappone, Singapore, Taiwan e Macao. Il suo lavoro è stato coperto da media come Fortune Italia, La Repubblica, Wired e RAI.
Il dibattito su DeepSeek si sta dividendo tra chi ritiene il modello dell’azienda cinese rivoluzionario e chi sostiene invece che non abbia fatto nulla di nuovo. Ha “solo” abbattuto i costi sfruttando (illegalmente) tecnologia americana. E lo ha fatto aggirando le limitazioni americane sull’export di semiconduttori avanzati. Che l’accusa arrivi da OpenAI è un segnale forte.
Quella di DeepSeek è a tutti gli effetti una rivoluzione perché per la prima volta l’azienda ha mostrato che le capacità di ragionamento di un modello di IA possono emergere in modo naturale, senza la necessità di un addestramento ad hoc, come invece viene fatto con i cosiddetti modelli di linguaggio alla ChatGPT. E questa rivoluzione è stata guidata e realizzata da un team al 100% cinese, in Cina. Le accuse di aver sfruttato tecnologia americana non invalidano questo avanzamento tecnologico, perché il modello di DeepSeek è concettualmente diverso, è concettualmente innovativo, è open e riproducibile dalla comunità. Oggi vediamo già un grande trend lungo questa scia, che conferma la validità dell’approccio. Se veramente DeepSeek ha sfruttato tecnologia di OpenAI, e questo è un grosso “se”, hanno sfruttato i loro dati, non la metodologia in sé. Quindi la rivoluzione resta.
Quali sono i trend che noti nel contesto cinese? Quali i trend che differenziano lo sviluppo dell’IA cinese da quello di altri paesi asiatici, come Giappone o Corea del Sud?
In termini di trend, solo recentemente i riflettori si spostano di nuovo sulla Cina come paese. Serve infatti fare distinzione ovviamente tra Cina e cinesi. Cioè gran parte della rappresentanza cinese, chiamiamola così, nel mondo dell’IA proviene da istituzioni o aziende che non sono cinesi. Quindi parliamo di persone che si sono magari formate in Cina, e in oriente, presso istituti prestigiosi come Tsinghua. Oppure a Hong Kong, o ancora alla National University of Singapore o alla Nanyang Technological University, ma che poi hanno fatto carriera magari al MIT, a Stanford, o in aziende come Meta e Microsoft Research, che pure hanno filiali in Cina.
Giappone e Corea del Sud invece hanno sempre un po’ arrancato. Però è decisamente degno di nota uno sviluppo molto recente di una startup giapponese chiamata Sakana IA, che in meno di un anno è diventata unicorno a seguito di un investimento importante da parte di NVIDIA. La loro missione ha un che di innocente: riportare i riflettori sull’AI giapponese, e ci stanno riuscendo alla grande con le competenze di un gruppo di gente brillante, nonostante rimangano sostanzialmente un lab di ricerca fondamentale, non una fornace di app e prodotti. Può benissimo essere l’inizio dell’era dell’IA giapponese.
La Cina spinge sull’open source e parla di “democratizzazione” dell’IA, concetto che fa gola ai paesi del cosiddetto Sud globale, che hanno poche risorse da investire. Questo pensi porterà a un cambiamento di visione anche in occidente dove la tecnologia ha un valore commerciale? Pensiamo al costo esorbitante dell’abbonamento a ChatGpt….
In realtà questo approccio open source che va verso la democratizzazione dell’IA è già ben presente in occidente da qualche anno. Un esempio prominente in Europa sono i francesi di Mistral AI, che già dal 2023 pubblicano i loro modelli LLM open source con licenze permissive. Hugging Face, un’azienda co-fondata da francesi e americani, già dal 2016 fornisce strumenti, dati, spazi online per la comunità dell’IA con l’obiettivo primario di democratizzare l’uso, la diffusione e la scolarizzazione di queste tecnologie. Che è una missione assolutamente lodevole e di grande successo…
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.