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Le manovre della Cina nella guerra commerciale

In Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Pechino vuole un accordo con gli Usa, ma non si fa illusioni sulle intenzioni di Trump e non ha fretta. Intanto, cerca di rafforzare i rapporti tra Asia, Europa e Sud globale

“Pura speculazione che non si basa su fatti concreti”. La Cina raffredda gli entusiasmi sui possibili progressi nei colloqui commerciali con gli Stati uniti. He Yadong, portavoce del ministero del Commercio, ha chiarito che al momento non è partito nessun vero negoziato. Poco più di 24 ore prima, il ministero degli Esteri aveva definito “spalancate” le porte della Cina di fronte a eventuali colloqui, anche se i media internazionali hanno in ampia parte tralasciato la precondizione posta da Pechino: la fine di “minacce ed estorsioni” da parte della Casa bianca. In realtà, la promessa di Trump di abbassare sensibilmente i dazi sui prodotti cinesi, rappresenta proprio quel passo concreto necessario alla Cina per giustificare il potenziale avvio dei colloqui.

Per Xi Jinping, è fondamentale non mostrarsi debole né bisognoso o eccessivamente desideroso di cercare un accordo. Il possibile taglio delle tasse aggiuntive da parte di Trump consentirebbe invece di mostrare gli Usa come la parte debole e con maggiore fretta di sedersi a un tavolo. Convinta che la “prova di resistenza” contro quello che definisce “bullismo unilaterale” stia funzionando, Pechino dunque rallenta, consapevole che in ogni caso l’obiettivo primario di Washington sia proprio quello di colpirla.

Per questo la risposta alle mosse di Trump continua a essere simmetrica. Non solo in termini di dazi, ma anche di postura politico-strategica. Ieri, sono stati annullati gli ordini di carne suina americana: cancellate le spedizioni di 12 mila tonnellate. Qualche giorno fa, il presidente americano ha chiesto ad aziende e paesi terzi di scegliere da che parte stare tra Washington e Pechino. Il colosso asiatico ha risposto dichiarando di “opporsi fermamente” a qualsiasi accordo commerciale che la prenda di mira. Un avvertimento esplicito ai governi (Italia compresa) che pensano di inserire clausole o garanzie anti cinesi nei loro negoziati con la Casa bianca.

Così come gli Usa bloccano le esportazioni in Cina di prodotti tecnologici che contengono componenti americani, Pechino si muove sulle spedizioni di terre rare. Nei giorni scorsi, diverse aziende della Corea del sud hanno ricevuto degli avvertimenti ufficiali dal governo cinese di interrompere l’esportazione di qualsiasi apparecchiatura elettrica contenente metalli pesanti con origine nella Repubblica popolare. Il divieto vale in particolare per gli appaltatori militari e le forze armate americane.

La Cina prova anche ad allargare il circolo degli amici. Dopo il viaggio di Xi Jinping nel Sud-est asiatico, il premier Li Qiang ha inviato una lettera al suo omologo giapponese Shigeru Ishiba, per sollecitare una risposta coordinata ai dazi. La missiva, trasmessa tramite l’ambasciata cinese a Tokyo, invita i due paesi a “combattere insieme il protezionismo”. Difficile che possa esserci un vero allineamento, ma la Cina prova a fare leva sulla percezione di instabilità e incertezza trasmesse (tregua o non tregua) da Trump, sia sul fronte commerciale che su quello strategico.

Si guarda anche all’Europa. Il parlamento di Bruxelles ha confermato le indiscrezioni della stampa tedesca, secondo cui Pechino si sta preparando a revocare le sanzioni imposte ad alcuni deputati europei nel 2021. In tal modo, si spera di rilanciare i colloqui per l’accordo sugli investimenti che Xi vorrebbe rimettere sul tavolo in tempo per il summit Cina-Ue di luglio.

C’è poi ovviamente il Sud globale. William Ruto, presidente del Kenya in visita in questi giorni in Cina, ha firmato una serie di nuovi accordi su infrastrutture ed energia. E, soprattutto, ha annunciato l’intenzione di aderire ai Brics, rafforzando la presenza africana nella piattaforma delle economie emergenti che nella prospettiva cinese sta diventando sempre più un’alternativa al G7. In questa sede, si punta ad ampliare l’utilizzo dello yuan.

Intanto, le principali banche russe hanno istituito un sistema di compensazione dei pagamenti denominato “China Track” per le transazioni con la Cina, allo scopo di ridurre la loro visibilità alle autorità di regolamentazione occidentali e mitigare il rischio di sanzioni secondarie. Un test per schermarsi da sanzioni e dazi, in modo forse più sicuro degli incerti colloqui con Trump.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]