La festa per la nascita di Buddha, il Wesak, si è tinta di sangue a causa di un nuovo attacco terroristico dei separatisti musulmani nella provincia di Yala, Thailandia sud orientale.
Una bomba a gas installata sulla strada provinciale tra Yaha e Bannang Sata è stata detonata alle sei del mattino dello scorso 16 maggio vicino al villaggio di Banyo, distruggendo il tuk tuk che trasportava Phra Chatri Thongraj, 47 anni, e Phra Thirapong Dongmali, 40. I due uomini, gli unici due monaci del tempio buddhista locale Wat Suan Kaew, erano usciti per raccogliere le offerte mattutine dei fedeli. I due sono morti all’istante nell’impatto, e altri due giovani agenti di scorta sono stati gravemente feriti. I terroristi hanno poi aperto il fuoco su altri agenti che seguivano il convoglio, prima di volatilizzarsi nella giungla circostante.
Quest’ultimo episodio segue i recenti attacchi del 7 maggio avvenuti a Pattani e Narathiwat, le altre due province tailandesi a maggioranza musulmana, dove una bomba ha ucciso due agenti e ne ha feriti altri quattordici che stavano giocando a pallone con un gruppo di civili. È dal 2001 che il sud estremo della Thailandia, confinante con gli stati più islamici e conservatori della Malaysia, il Perak e il Kelantan, è teatro di violenze e uccisioni apparentemente mirate al separatismo geografico per motivi religiosi.
Tra le cause vi è sicuramente un risentimento per il governo tailandese che, invece di prestare la dovuta attenzione in una zona di confine a maggioranza islamica, ha di fatto dato il nulla osta alle troppo classiche situazioni da frontiera tailandese in cui prostituzione, gioco d’azzardo e traffici illeciti la fanno da protagonisti. I movimenti separatisti sono le frange più estreme e nascoste di fazioni politiche come il Pattani United Liberation Organization (PULO), e sono divisi in gruppi di difficile identificazione che agiscono localmente all’interno delle tre province. Se a prima vista l’insurgenza potrebbe ricordare altri gruppi terroristici legati ad Al-Qaeda, la realtà della situazione nella Thailandia del sud pare invece essere legata maggiormente a interessi locali e mirata a colpire sia i civili che le forze dell’ordine; molte delle vittime sono state monaci buddhisti, bambini, famiglie e soldati inviati dal governo tailandese a controllare e sedare le rivolte armate.
Questa ipotesi sembra essere ancor più fondata considerando che molte delle vittime e dei feriti erano musulmani, limitando le implicazioni legate alla guerra religiosa. Le stesse forze di polizia, soprattutto durante il periodo del primo Ministro Thaksin Shinawatra, hanno fomentato il terrorismo con atti di repressione violenta: il più celebre è quello di Tak Bai nell’ottobre del 2004, ultima cittadina tailandese prima del confine malaysiano nel Kelantan, situata a pochi chilometri dalla roccaforte islamica di Kota Baru.
Quando la polizia arrestò sei persone accusate di aver procurato armi ai ribelli, una dimostrazione di civili in favore del loro rilascio fu soffocata con gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e colpi di arma da fuoco, che hanno provocato la morte di decine di persone. Il vero orrore però accadde dopo: un centinaio di arrestati vennero obbligati a salire su dei camion, per poi essere trasportati in un campo di prigionia nella vicina provincia di Pattani. Stipati e ammucchiati all’interno dei container, dopo cinque ore di viaggio nel caldo tropicale, ben settantotto di essi morirono soffocati.
Davanti ad un’opinione pubblica non-musulmana visibilmente sconcertata per l’accaduto, Thaksin continuò a difendere le forze dell’ordine, senza prendere alcun provvedimento e affermando che i deceduti erano morti perchè troppo indeboliti dal digiuno religioso del mese precedente, durante il periodo del Ramadan. Sebbene nel 2005 l’ex primo Ministro Anand Panyarachun abbia tentato di sedare le rivolte con le riforme proposte dalla Commisione nazionale di rinconciliazione, proponendo l’ufficializzazione della lingua Pattani-Malay e l’introduzione di leggi a favore dei cittadini tailandesi di fede musulmana, la risposta del concilio reale fu un perentorio no: «in Thailandia siamo thai e si deve parlare la lingua thai».
Dopo il colpo di stato che ha spodestato Thaksin, la situazione ha subito altri scossoni, con ulteriori attacchi che dal 2006 hanno allargato le zone di interesse anche alla vicina e relativamente sicura provincia di Songkhla. Bombe detonate ad Hat Yay, centro commerciale e nodo ferroviario importantissimo tra la Malaysia, la Thailandia del sud e Bangkok, hanno ucciso anche stranieri, tra cui cittadini malaysiani e un canadese. Più recentemente, gli omicidi hanno assunto connotazioni più rituali e selvagge, terminando gli attacchi con cruente decapitazioni degli “infedeli”, o sparando su chiunque, inclusi donne e bambini. La nuova giunta guidata da Sonthi Boonyaratglin non pare avere la situazione del sud come priorità, e a discapito dell’aumento di violenza, ha decentrato la maggior parte delle operazioni difensive da Yala a Bangkok, dove il nuovo governo è ancora instabile.
Le truppe rimaste a sud continuano a fare il proprio dovere, stazionando nelle zone degli incidenti, ma in numeri troppo esigui per far fronte a questi attacchi che, veloci e rapidi, negli ultimi dieci anni sono costati la vita ad alcune migliaia di persone. Il recente episodio dei due monaci uccisi riapre una ferita che non è stata ancora chiusa, e difficilmente lo sarà, se la situazione non raggiungerà uno stallo. Per il momento, la vita in queste zone di confine continua a scorrere, alternata tra orrori e violenze di matrice fondamentalista.
* Marco Ferrarese ha suonato per 10 anni nei The Nerds Rock Inferno, una delle poche punk rock bands italiane capaci di infiammare i palchi di Europa e Stati Uniti. Dal 2007, incuriosito dall’Asia, si trasferisce in oriente. Ha vissuto in Europa, Cina, Stati Uniti ed Australia, e viaggiato in circa 40 paesi. Al momento vive, scrive e lavora a Penang, Malesia. Il suo sito è www.monkeyrockworld.com
[Immagine tratta dal Bangkok Post]