Il fatto che Facebook in Cina sia costantemente bloccato, per la maggioranza dei netizen cinesi è un dato estremamente insignificante, al pari del ritorno di Zeman al Foggia o del ritrovamento di un fallo preistorico in pietra nel nord Europa. All’interno della gabbia d’oro dell’Internet cinese, una larga fetta dei 420 milioni di utenti al di qua del Great Firewall (la grande muraglia telematica) non sente la mancanza dei vari Twitter, Facebook e dei vari servizi web oramai entrati nelle abitudini planetarie; il Partito Comunista Cinese, osservando la progressiva commistione tra libero flusso di informazioni e capillarità dei nuovi media sociali, lasciando fuori dalla porta il web made in Occidente, ha dato il via libera alle fabbriche di oppio del nuovo millennio: i social network cinesi.
Facilitati dalle ancora insormontate barriere linguistiche, gli sviluppatori locali hanno dato vita ad una fittissima rete di strumenti autoctoni, in mandarino, spesso copie palesi dei capostipiti Usa, ma caratterizzati dal più utopistico degli ideali cinesi moderni: l’armonia. Qui in Cina l’obiettivo della creazione dello “Stato Armonioso” è un tema ricorrente della retorica governativa di Pechino: il PCC si è incaricato di creare una società modello, dove le persone convivono felicemente e le autorità – illuminate – si occupano del resto. Un programma da Partito dell’Amore ad occhi a mandorla. In attesa della realizzazione utopistica, promossa tramite la sistematica eliminazione del dissenso interno, i social network rappresentano le prove generali di questa mostruosa società del futuro.
Accedendo a Kaixinwang (letteralmente “la rete della felicità”), Renrenwang, Xiaoneiwang e QQ, ci si ritrova a navigare in cloni sinizzati di Facebook e Twitter, depurati dalle brutture della libera informazione e dell’opposizione politica. E’ invece tutto un fiorire di sorrisi, condivisioni di foto, pagine dedicate alle star del cinema e della tv cinese, ai sex symbol della scena neomelodica sudcoreana ed ai giochi di ruolo del momento: dalla gestione di un ristorante virtuale alle piattaforme in flash per giocare alle carte Magic ispirate ai Tre Regni, imponente romanzo epico cinese. I grandi assenti, oltre ai media occidentali rimpiazzati dai servizi di informazione nazionali, sono i politici: forse in un impeto di dignità, fino ad ora non sono ammesse pagine dedicate ai leader del Partito, che pur sembrano riscontrare enormi consensi da parte delle masse impazzite ad ogni loro uscita pubblica.
La lungimiranza del progetto va di pari passo con l’evoluzione delle infrastrutture Internet nella Repubblica Popolare. I numeri sciorinati nel 26° Rapporto sullo sviluppo di Internet in Cina parlano chiaro: 420 milioni di utenti, 113 milioni dei quali navigano su banda larga, una tecnologia che ad oggi copre il 98,1% del territorio cinese.
La marea del web, come inevitabile, sta travolgendo anche la società cinese, e le autorità di Pechino non hanno costruito barriere, i tempi della chiusura sono ben lontani; impotente di fronte al progresso, il governo ha preferito imbrigliare la novità interattiva nel giogo dell’entertainment. Internet, come il resto degli strumenti dell’Era della comunicazione, prende le caratteristiche di chi lo regola: qui in Cina, da potenziale bomba atomica portatrice di diritti e libertà inedite nella Repubblica, è stata sapientemente disinnescata esaltandone il suo lato più ozioso, più ludico, più innocuo.
Salvo esigue minoranze, che scavalcano il firewall statale per accedere al Giardino Proibito dell’informazione libera, la maggioranza della popolazione è succube del fascino del passatempo, dell’inerzia da pausa pranzo, completamente risucchiati dall’appiattimento culturale veicolato dai nuovi baluardi della soft propaganda cinese. Il business del 2.0 in Cina è, come se non bastasse, anche una formidabile macchina da profitti: il portale QQ, ad esempio, offre piattaforme di microblogging, messaggistica istantanea, giochi e blog (rigorosamente armonizzate) e lo scorso aprile ha raggiunto la top 10 mondiale della classifica stilata da Alexa, che analizza il traffico e gli accesi di tutti i siti web della rete.
Ovviamente alcuni dissidenti cinesi sanno che Internet è uno strumento libero ed utilizzabile da tutti, e si organizzano insidiandosi nelle crepe del sistema, lasciando perdere i giochi per gestire il proprio ristorante virtuale o l’ascolto dell’ultimo successo di Hong Kong. C’è da capire quando anche loro decideranno di mettersi in rete, creando un luogo dove raccogliere l’attivismo con caratteristiche cinesi.
[Anche su Il Manifesto /Alias luglio-agosto]