Thomas Sauvin ha avuto accesso a oltre mezzo milione di foto ricordo di cinesi comuni, scattate tra il 1985 e il 2008. Raccontano gli anni in cui la Cina si è aperta all’Occidente e al mercato. Il ventennio in cui si sono cominciate a diffondere le macchine fotografiche, prima che il digitale sostituisse completamente l’analogico.
Thomas ci accoglie nel suo studio tra gli hutong, i vicoli che separano le case a un piano tipiche della vecchia Pechino. “Non mi interessa l’inquadratura, il valore artistico o il grado di conservazione dei negativi, ma i dettagli. Se avessi cercato un riferimento iconografico nelle case dei cinesi degli anni Sessanta e Settanta ne avrei avuto soltanto uno: Mao Zedong, il grande timoniere. Ma vent’anni dopo era concesso avere altri riferimenti iconografici. Quali? Ho messo da parte tutte le foto in cui c’era un poster all’interno di una casa. Le ho guardate insieme e ho scoperto che Marilyn Monroe andava per la maggiore. Al secondo posto c’era James Dean, seguito da Sylvester Stallone. L’avresti mai detto?”.
L’ufficio di Thomas, invece, è pieno di cornici, ritagli di foto d’epoca, campionari di tessuti degli anni Settanta, album ricordo di gente comune, diari fotografici di terapie psichiatriche e catalogazioni di fossili. Le mensole sono stracariche di prove di stampa, libri e foto d’archivio. L’impressione è quella di trovarsi nel regno di un collezionista: tutto è disposto in un evidente ordine di cui ci sfuggono le regole. Thomas parla ininterrottamente mostrandoci pezzi della sua collezione, le raccolte a cui ha lavorato e quelle che si appresta a pubblicare. “Non so più se quello che sto facendo è semplice collezionismo, uno studio sociale su un’epoca di grandi trasformazioni o una ricerca sull’uso del mezzo fotografico in Cina. Ormai ho più di 600mila immagini. Comincia ad emergere in maniera organica un universo visivo proprio di un’epoca.”.
L’archivio di Thomas è di fatto un punto di vista inedito sulla recente storia cinese. Un tipo di storia che nella patria della storiografia non è mai stata scritta. È “la storia cinese scritta dai comuni cittadini”, una storia raccontata dal basso. “Il 75 per cento dell’archivio è sugli anni Novanta. Quella è la decade. Negli anni Ottanta i rullini coprono archi di tempo lunghissimi, a volte un intero anno. Ma dalla fine degli anni Novanta si ha l’impressione che 36 scatti non siano sufficienti a documentare neppure una decina di minuti”. La crescita economica e la mobilità sociale di quegli anni, favoriscono la rapida diffusione di macchine fotografiche economiche e di rullini. Cosa si fotografa? Niente di speciale. Si immortalano gli amici, i viaggi e i primi acquisti. Se alla fine degli anni Ottanta le donne posano accanto ai loro nuovi frigoriferi, nei primi anni Novanta il primo McDonald’s di Pechino, più che un fast food è una meta turistica. E Ronald McDonald, il pagliaccio che lo rappresenta, una statua con cui farsi foto ricordo.
“Non sono mai andato in cerca di donne in posa con il loro frigo o di foto dei primi McDonald’s. Ne trovi una e pensi sia divertente, poi ne trovi un’altra e così via. Quando arrivano a essere cinquanta o sessanta scatti simili capisci che quello che hai tra le mani è una sorta di fenomeno sociale.” Ne emerge la Cina che si apre all’Occidente e al suo modello economico, una Cina le cui velleità politiche sono state represse nel sangue di Tiananmen e sostituite con il consumo e uno stile di vita più edonista. È la Cina dei primi parchi tematici, dei karaoke, delle cravatte e delle messe in piega. Le gite, i matrimoni, la nascita di un figlio e gli eventi speciali diventano improvvisamente momenti da immortalare. Fotografi e fotografati sono i primi cinesi da generazioni che riescono a godere del tempo libero. Sono gli stessi che comprano le prime tv, i primi frigoriferi e i telefoni fissi. E sono i primi a viaggiare all’estero.