A un anno dall’offensiva militare che ha rilanciato la resistenza in Myanmar, la guerra e la sofferenza continuano, mentre il regime militare resta in piedi anche con l’aiuto della Cina. Le controversie interne in Malaysia e Thailandia, l’omicidio di un giornalista in Cambogia, il caos nelle Filippine, le discusse proposte di Prabowo in Indonesia, il Vietnam del futuro e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente a cura di Francesco Mattogno (clicca qui per tutte le puntate)
Gli argomenti della puntata, nel dettaglio:
- Myanmar – Quale futuro? L’analisi dell’ultimo anno di guerra e le prospettive per il 2025, poi i colloqui a Bangkok e le notizie dal fronte
- Malaysia – Le turbolenze all’interno della coalizione di governo e nell’opposizione, il nuovo ufficio sull’intelligenza artificiale
- Thailandia – Scontri sui referendum per emendare la costituzione redatta dai militari e sulla norma “anti-golpe”
- Cambogia – I rapporti con Cina e Stati Uniti, l’uccisione di un giornalista ambientalista
- Filippine – I Duterte bersagliati alla camera, la strategia di difesa marittima con Stati Uniti e Giappone
- Indonesia – Le proposte di Prabowo preoccupano la società civile
- Vietnam – La rivoluzione burocratica, l’accordo con Nvidia e il futuro degli investimenti tecnologici nel paese
Alla fine del 2023 ci si domandava se la giunta militare birmana, al potere dal colpo di stato del 1° febbraio 2021, sarebbe stata ancora al suo posto un anno più tardi, o se sarebbe crollata nel corso del 2024 a causa dell’avanzata delle varie milizie ribelli nelle zone periferiche del Myanmar. Era un periodo di grande euforia per il movimento di resistenza al regime.
Il 27 ottobre del 2023, per la prima volta dopo più di due anni di guerra civile, una grande offensiva orchestrata da tre organizzazioni etniche armate – il Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), il Ta’ang National Liberation Army (TNLA) e l’Arakan Army (AA), uniti nella Three Brotherhood Alliance – aveva colpito duramente l’esercito regolare birmano, costringendolo ad abbandonare oltre una decina di città e centinaia di avamposti nel nord dello Stato Shan.
L’Operazione 1027, questo il suo nome in codice, aveva poi innescato una serie di offensive a catena negli Stati Kachin, Kayin (Karen), Kayah (Karenni), Chin, Rakhine, Mon e in altre regioni della periferia birmana, che da allora è passata per gran parte nelle mani delle forze di resistenza, con il regime arroccato soprattutto nel centro del paese, abitato prevalentemente dall’etnia birmana dominante, i Bamar.
Ci sono stati vari tentativi di mediazione e raggiungimenti di cessate il fuoco, poi violati, ma in generale l’inerzia della guerra civile ha continuato a pendere dal lato delle milizie ribelli, cioè di quell’enorme e variegata galassia composta dai gruppi etnici armati (non solo appartenenti alle minoranze etniche: anche i Bamar hanno il proprio esercito) e dalle People’s Defence Forces, ovvero l’insieme più o meno coerente di truppe connesse al governo democratico in esilio.
Alla fine del 2024, però, il regime continua a esistere, mentre il generale a capo della giunta militare e dell’esercito Min Aung Hlaing ha assunto anche il ruolo di presidente del paese. La rivoluzione non è ancora avvenuta, insomma, e l’euforia che aveva caratterizzato gli ultimi mesi del 2023 si è un po’ assopita, ma per gli alti ufficiali militari che comandano il Myanmar è stato comunque un anno disastroso.
Nonostante i tentativi di riprendersi almeno parte dei territori finiti nelle mani dei ribelli, a costo di innumerevoli vite umane, tra soldati caduti al fronte e civili regolarmente bombardati e bruciati vivi, durante il 2024 la situazione si è evoluta a favore della resistenza, che ha messo a segno una serie di vittorie importanti. Tre su tutte: la presa di Lashio (città che era sede del comando nordorientale dell’esercito regolare nel nord Shan, oggi amministrata dal MNDAA), la liberazione quasi totale dello Stato Rakhine per mano dell’AA e la conquista di vari siti minerari per l’estrazione di terre rare da parte del Kachin Independent Army (KIA), nello Stato Kachin.
Le recenti sconfitte nel Rakhine e nello Stato Kachin hanno portato il 18 dicembre alla destituzione del ministro della Difesa Tin Aung San, solamente l’ultimo delle decine di vertici del regime a essere stati rimpiazzati o a finire in disgrazia. La stessa auto-nomina di Min Aung Hlaing a presidente ha rappresentato un segno di debolezza, non di forza, per un leader paranoico e superstizioso che può contare solo su se stesso e su una sempre più ristretta cerchia di fedelissimi. E, da qualche mese, anche su un vicino potente che ha deciso di scommettere tutto sulla tenuta del regime.
Le mosse e gli interessi della Cina in Myanmar
A ostacolare il prosieguo dell’avanzata ribelle verso il centro del Myanmar hanno contribuito questioni pratiche e diplomatiche. Se da un lato i gruppi della resistenza potrebbero aver scelto di non accelerare i tempi, col rischio di ritrovarsi a governare una grande città come Mandalay (la seconda più importante del paese) senza avere i mezzi tecnici per farlo, dall’altro il deciso spostamento della Repubblica Popolare Cinese a favore della giunta ha complicato i piani delle milizie etniche e fatto guadagnare tempo a Min Aung Hlaing. Che nel frattempo aveva già rafforzato i ranghi dell’esercito applicando la legge sulla coscrizione obbligatoria, una mossa che in pochi mesi ha fornito al regime 30 mila reclute per resistere e tentare di contrattaccare i ribelli. Giovani uomini, studenti, padri, mariti. Tutti diventati carne da cannone.
Gli enormi progressi ottenuti dai ribelli nel corso del 2024 hanno spaventato Pechino, per varie ragioni. La prima riguarda la stabilità del confine tra la Repubblica Popolare e il Myanmar, che il governo cinese ritiene a rischio in caso di capitolazione del regime, uno scenario che potrebbe accendere la competizione tra i numerosi gruppi etnici armati regionali per il controllo delle zone di frontiera. Gli interessi privati degli eserciti ribelli, al di là della guerra al regime, non sempre convergono. Il governo cinese ha poi interesse a tutelare i suoi investimenti infrastrutturali in Myanmar e a mantenere costante l’afflusso del gas e del petrolio birmani verso la Cina, oltre che ad avere accesso alle miniere di terre rare del paese. Quest’ultima possibilità parzialmente compromessa dalle conquiste del KIA nel Kachin.
Negli ultimi mesi Pechino ha quindi messo da parte la propria dottrina di “non ingerenza” e iniziato a chiedere apertamente ai gruppi armati ribelli di fermare le offensive, cercando di convincerli con le maniere forti. La Cina ha infatti interrotto il commercio transfrontaliero con le zone liberate negli stati Shan e Kachin, che confinano con la Repubblica Popolare, impedendo così l’arrivo di cibo e medicinali alla popolazione e agli eserciti etnici, già provati da anni di guerra, bombardamenti e fame. E alla fine qualcuno ha ceduto. Il 25 novembre il TNLA ha dato la sua disponibilità a partecipare a dei colloqui di pace con la giunta, seguito il 3 dicembre dal MNDAA, che nel frattempo aveva perso il suo comandante Peng Daxun, messo agli arresti in Cina, dove si era recato per trattare.
Quale futuro?
Il 15 e 16 dicembre si sono tenuti nuovi colloqui a Kunming, nello Yunnan cinese, per tentare di arrivare a una tregua tra il MNDAA e la giunta, ma sono stati un fallimento. Il regime ha chiesto al MNDAA di ritirarsi da Lashio e di cancellare ogni piano per nuove offensive in cambio di uno stop agli attacchi aerei sulla città, bombardata almeno quindici volte dallo scorso settembre. Il MNDAA ha rifiutato, scrive DVB. Non è la prima volta che un colloquio di pace a Kunming finisce con un nulla di fatto, ed è possibile che si terranno altri round di dialogo nelle prossime settimane. Ma il fatto che i ribelli non siano disposti a lasciare i territori conquistati, anche se sotto le bombe e senza scorte, rende l’idea della difficoltà di arrivare a una pace negoziata.
Per ora Pechino è riuscita a portare al tavolo solo quei gruppi su cui, data la vicinanza geografica, può esercitare enormi pressioni. Gli stessi rappresentanti del KIA – anche loro invitati in Cina per trattare – non paiono invece disposti a cedere alla volontà cinese, mentre sembra chiaro che la Repubblica Popolare possa fare poco per fermare l’avanzata dell’AA nel Rakhine, che si trova dall’altro lato del Myanmar, al confine col Bangladesh.
In vista del 2025, molto della guerra e del futuro del Myanmar potrebbe quindi passare per la Cina. A partire dalla scorsa estate Pechino ha iniziato a sostenere apertamente il piano del regime per organizzare nuove elezioni il prossimo novembre, una mossa che ha lo scopo di fornire legittimità a quello che si vuole dipingere come un processo di transizione. Se si terranno davvero saranno invece elezioni-farsa, a cui parteciperanno una cinquantina di partiti allineati al regime. Tutti gli altri sono stati dissolti o estromessi dalla possibilità di partecipare al voto.
La commissione elettorale ha poi annunciato che si potrà votare in solamente 161 delle 300 circoscrizioni del paese, un numero che conferma come la giunta controlli al massimo poco più della metà del territorio. Intanto l’economia affonda – la Banca Mondiale ha previsto una contrazione del PIL dell’1% nella prima parte del 2025, cioè -11% rispetto al 2019 – e la popolazione soffre la carenza di elettricità, cibo e medicinali, mentre il regime sta tentando come può di bloccare internet e le telecomunicazioni. Complice anche il tifone Yagi di questa estate, attualmente nel paese si stimano 3,5 milioni di sfollati (il 6% della popolazione): secondo l’ONU tra un anno potrebbero diventare 4,5 milioni.
Quella birmana è una crisi immensa, rimasta totalmente fuori dai radar della comunità internazionale, che manda in Myanmar solo una piccola parte degli aiuti umanitari che sarebbero necessari ai 14,5 milioni di birmani che si ritiene stiano soffrendo gravemente la fame, molti dei quali nel Rakhine. Le cifre aiutano a comprendere la gravità della situazione, ma non bastano. La sofferenza non si può ridurre in numeri.
Le ultime dal Myanmar:
• Non solo Cina: il 19 e 20 dicembre si sono tenuti a Bangkok, in Thailandia, dei colloqui che avevano l’obiettivo di cercare di smuovere un po’ la situazione in Myanmar a livello ASEAN. Il primo giorno erano presenti solo i delegati dei cinque stati che confinano con la Birmania, cioè la stessa Thailandia, il Laos e tre paesi esterni al blocco (Cina, India e Bangladesh), oltre al ministro degli Esteri birmano Than Swe. Si è parlato soprattutto di stabilità dei confini e di contrasto ai crimini transfrontalieri, con Than Swe che ha invitato i vicini a supportare il piano del regime per l’organizzazione delle elezioni del prossimo anno. Bangkok è stata criticata per non aver invitato anche i funzionari del governo democratico in esilio, né i rappresentanti di nessun gruppo armato ribelle. Come accade per la Cina, anche la Thailandia e gli altri vicini del Myanmar stanno scommettendo sulla giunta e per questo cercano di normalizzare il dialogo politico con l’esercito, che ritengono un male minore rispetto all’instabilità che potrebbe generare il rovesciamento del regime.
Quello del 20 dicembre è stato invece un vero e proprio dialogo ASEAN, presieduto dal Laos, senza rappresentanti della giunta militare birmana. I ministri degli Esteri e gli altri rappresentanti del blocco si sono impegnati a inviare più aiuti umanitari in Myanmar e a parlare con «tutte le parti interessate» per arrivare a una soluzione del conflitto. Come riportato dal giornalista di CNA Leong Wai Kit, non è stato specificato quali siano queste “parti interessate” e se quindi si intenda includere anche i ribelli, ma il ministero degli Esteri thailandese ha chiarito che tutti i paesi ASEAN possono parlare con qualunque gruppo ritengano necessario. Quelle del 20 dicembre sono state solo semplici consultazioni e, come prevedibile alla vigilia, non sono arrivate decisioni rilevanti per il futuro del conflitto in Myanmar. Dopo l’anno di presidenza laotiana, nel 2025 questo e gli altri dossier ASEAN passeranno nelle mani della Malaysia.
• A proposito di Thailandia e Myanmar: verranno rilasciati a gennaio i quattro pescatori thailandesi arrestati dalle autorità birmane per essersi introdotti, secondo Naypiydaw, nelle acque birmane. Intanto continua il dialogo tra l’esercito thai e l’UWSA, il più importante esercito etnico del Myanmar, accusato da Bangkok di star occupando parte del territorio thailandese. Di entrambe le storie avevamo parlato qui.
• L’AA ha conquistato Maungdaw, nel Rakhine, e ora controlla tutti i 270 km di confine tra Myanmar e Bangladesh (un articolo di Atlante Guerre per approfondire: nel corso delle operazioni è stato arrestato un importante generale dell’esercito birmano). Il regime sta dunque per perdere interamente il controllo del Rakhine, mentre i ribelli avanzano anche negli stati Chin, Kachin e Karen. La giunta è stata poi accusata di aver usato armi chimiche, anche se al momento non ci sono possibilità di verificare la notizia.
• La giunta sta impedendo ai gruppi umanitari di raccogliere dati sulla crisi alimentare del paese: un’inchiesta della Reuters, che abbiamo riassunto qui.
LE ALTRE NOTIZIE
• Malaysia. C’è un po’ di movimento nella politica interna malaysiana. La coalizione di governo Pakatan Harapan – che unisce tra gli altri il partito del premier Anwar Ibrahim, PKR, e l’UMNO, la forza politica che ha dominato il paese per decenni prima dello scandalo 1MDB – rischia di traballare a seguito di un cambio di casacca. Il ministro del Commercio Tengku Zafrul Tengku Abdul Aziz potrebbe infatti passare dall’UMNO al PKR, una decisione che ha portato alcuni esponenti dell’UMNO a mettere in discussione l’alleanza. E anche l’opposizione del Perikatan Nasional si sta spaccando su alcune nomine interne: l’approfondimento di CNA. Anwar intanto ha lanciato l’ufficio nazionale sull’intelligenza artificiale che, secondo le sue intenzioni, aiuterà Kuala Lumpur ad attrarre ancora più investimenti nell’economia digitale.
Politica estera. Anwar ha nominato gli ex primi ministri di Thailandia e Cambogia, Thaksin Shinawatra e Hun Sen, come suoi consiglieri ASEAN in vista del 2025, attirandosi varie polemiche. Un approfondimento sulle prospettive della presidenza ASEAN malaysiana del 2025 (tema anche di un articolo del prossimo e-book di China Files, in uscita il 22 dicembre: clicca qui per sapere come ottenerlo).
• Thailandia. Da oltre un anno, ormai, si parla di come organizzare alcuni referendum necessari a presentare degli emendamenti alla costituzione, senza arrivare mai a una decisione definitiva. Il 18 dicembre il senato ha confermato la decisione della camera che indicava come obbligatorio il raggiungimento di una doppia maggioranza (quorum del 50% di voti + maggioranza di voti a favore) per far passare ogni modifica alla costituzione, mentre l’opposizione chiedeva che i referendum venissero validati con la sola maggioranza di voti a favore. La decisione rallenterà la revisione della costituzione redatta dai militari nel 2017, complicando le riforme democratiche. Sta facendo discutere poi la presentazione di una “norma anti-golpe” da parte di un deputato del Pheu Thai, il partito che guida la coalizione di governo. La proposta si pone come obiettivo quello di emendare alcune parti della Legge sull’amministrazione del ministero della Difesa, lasciando al governo e non più all’esercito il potere di nominare i generali. Il Pheu Thai ha già preso le distanze, definendola un’iniziativa individuale, ma il rischio è che se portato avanti il disegno di legge possa creare divisioni nella maggioranza, di cui fanno parte anche il partito dei militari UTN e il Bhumjaithai, conservatore e filo-monarchico.
In breve. Se ne parla poco, ma anche la Thailandia fa parte dei paesi in totale crollo demografico. Un articolo del Nikkei sulle incertezze vissute dal settore della cannabis thailandese, di cui avevamo parlato qui. Il Pheu Thai ha fatto un passo indietro sulla nuova criminalizzazione, ma restano dubbi su quali siano le reali intenzioni del governo.
• Cambogia. L’ex primo ministro e attuale presidente del senato cambogiano, Hun Sen, ha visitato la Cina dal 2 al 4 dicembre. Hun ha incontrato Xi Jinping e ricevuto supporto generale da Pechino, che però è rimasta piuttosto vaga sul suo impegno di finanziare il canale Funan Techo, il grande progetto infrastrutturale che dovrebbe collegare la capitale Phnom Penh al mare (con annessi problemi di carattere logistico e ambientale). Nel 2024 la Cina non avrebbe fornito nemmeno un prestito alla Cambogia, ha scritto la Reuters. Il governo cambogiano l’ha definita una notizia falsa e «ridicola». Phnom Penh ha bisogno più che mai degli investimenti cinesi, anche perché i dazi promessi dal futuro presidente degli Stati Uniti Donald Trump rischiano di frenare le entrate in arrivo da Washington, il primo mercato di export per la Cambogia. Che intanto, per la prima volta in otto anni, ha permesso a una nave militare americana di sostare in un porto del paese.
Ambiente e media. Il giornalista ambientalista Chhoeung Chhoeng è stato ucciso da un taglialegna mentre indagava sulle operazioni di disboscamento illegale nella provincia di Sieam Reap. È il primo omicidio di un giornalista nel paese in dieci anni, ma occuparsi di ambiente, in particolare di deforestazione, è molto pericoloso in Cambogia, dove la stampa e gli attivisti subiscono regolarmente intimidazioni, minacce e arresti da parte delle autorità. Delle problematiche ambientali cambogiane ha parlato anche Francesca Regalado del Nikkei in un articolo sullo stato sofferente del più grande lago del paese, il Tonle Sap.
• Filippine. Nelle ultime settimane sono state avviate tre procedure di impeachment a carico della vicepresidente Sara Duterte, accusata dal parlamento di aver abusato dei fondi pubblici destinati ai suoi uffici (è stata anche segretaria all’Istruzione fino al giugno scorso, prima delle sue dimissioni) e di aver minacciato di morte il presidente Ferdinand Marcos Jr (ne avevamo parlato qui). Secondo le indagini della commissione di inchiesta alla camera, Duterte avrebbe falsificato 405 ricevute fiscali relative alle sue spese di governo, intestandole a persone non esistenti. Intanto, dopo le ultime deposizioni in merito alla sua guerra alla droga, che avrebbe fatto più di 30 mila vittime, la camera ha chiesto di accusare formalmente l’ex presidente Rodrigo Duterte, padre di Sara, per crimini contro l’umanità. Mentre si avvicinano le elezioni di metà mandato in programma a maggio 2025, i sondaggi dicono che il sostegno sia nei confronti dei Duterte che dei Marcos sta diminuendo, scrive il Manila Times.
Difesa e politica estera. Nei primi giorni di dicembre gli eserciti di Filippine, Stati Uniti e Giappone hanno svolto delle esercitazioni congiunte nel mar Cinese meridionale, a cui sono seguiti dei colloqui strategici trilaterali. Tokyo inoltre invierà radar e imbarcazioni per rinforzare i sistemi di sorveglianza della marina filippina nelle acque contese con Pechino, mentre il senato filippino ha ratificato l’accordo col Giappone che permetterà l’accesso reciproco delle truppe nel territorio dei due paesi in caso di emergenza nazionale. Mary Jane Veloso, una donna filippina arrestata oltre 14 anni fa in Indonesia con l’accusa di traffico di droga e successivamente condannata a morte, è stata rimpatriata nelle Filippine il 18 dicembre dopo anni intense negoziazioni tra i due paesi.
• Indonesia. Durante la sua visita in Cina di novembre il presidente Prabowo Subianto aveva acconsentito a sviluppare dei progetti congiunti con la Repubblica Popolare nel mar di Natuna, una delle tante porzioni di mar Cinese meridionale che Pechino rivendica come parte del proprio territorio. Il memorandum aveva di fatto legittimato le pretese cinesi, rappresentando un pasticcio che Giacarta ha dovuto subito risolvere, rimangiandosi tutto. È uno dei rischi che si corrono quando si lascia la politica estera in mano a un presidente molto attivo e carismatico, ma forse poco attento ai dettagli.
Politica interna. Prabowo ha detto che perdonerà circa 44 mila detenuti delle sovraffollate carceri indonesiane: la decisione è stata accolta generalmente bene, visto che tra loro ci sono molti attivisti per l’autonomia di Papua, ma l’impressione è che l’ex generale stia cercando così di riabilitare la propria immagine (compromessa) riguardo la sua attenzione per il rispetto per i diritti umani. Senza un piano per affrontare le cause del sovraffollamento carcerario – legate principalmente alle norme sulla criminalizzazione del consumo di droga – e senza pensare a un piano per il reinserimento dei detenuti nella società si tratterà solo di una misura estemporanea e politica, scrive Benar. Il presidente si è poi attirato critiche e indignazione per la sua proposta di abolire le elezioni per i governatori regionali allo scopo di risparmiare qualche milione di dollari, un’idea che ha sollevato preoccupazioni riguardo il futuro della democrazia indonesiana, e per aver deciso di alzare l’IVA dall’11% al 12%. Le proteste dell’opinione pubblica hanno infine spinto il governo a un parziale dietrofront, limitando i beni sottoposti all’aumento dell’IVA.
• Vietnam. Hanoi ha adottato la revisione burocratica più significativa degli ultimi anni, accorpando numerosi ministeri e tagliando varie agenzie statali. Lo scopo della misura è velocizzare l’implementazione delle riforme e ridurre le inefficienze, ma si teme una almeno temporanea paralisi della struttura amministrativa del paese. L’Assemblea Nazionale vietnamita ha poi approvato una nuova legge sulla gestione dei dati (qui per i dettagli) e firmato un accordo con Nvidia, che aprirà data center e centri di ricerca sull’intelligenza artificiale nel paese, proprio mentre Pechino apriva un’indagine a carico del colosso americano in ritorsione alle restrizioni di Washington sull’esportazione di chip in Cina. Il Vietnam, così come la Malaysia e altri paesi del Sud-Est asiatico, si sta candidando sempre più concretamente a diventare una meta alternativa alla Repubblica Popolare come destinazione degli investimenti nelle nuove tecnologie.
Difesa. Il 19 dicembre è iniziata l’enorme fiera internazionale sugli armamenti e la difesa che andrà avanti fino a domenica 22. Vi partecipano più di 200 espositori da 27 paesi diversi, tra cui varie industrie statunitensi. Negli ultimi mesi Hanoi ha acquistato alcuni mezzi militari dagli Stati Uniti in un più ampio tentativo di diversificare i fornitori del suo esercito, dipendente per decenni dagli armamenti russi. Hanoi non guarda solo a Washington, ma anche alla Cina, con cui sta rafforzando i legami di difesa. In settimana è stato accolto nella capitale vietnamita anche il ministro della Difesa bielorusso Khrenin Viktor Gennadievich, a dimostrazione di come il paese stia cercando di mantenere rapporti stabili con tutti i suoi partner internazionali.
LINK DALL’ALTRA ASIA
Il 26 novembre è caduto il centesimo anniversario dalla pubblicazione della prima costituzione della Mongolia, che ha celebrato la ricorrenza: un articolo di East Asia Forum ripercorre la storia di modernizzazione del paese.
Asia Meridionale. Dopo mesi di tensioni tra Bangladesh e India, dovuti alla fuga dell’ex premier Sheikh Hasina in territorio indiano, nelle ultime settimane si sono verificati alcuni episodi violenti che hanno alzato il livello d’attenzione su quello che sarà il futuro delle relazioni bilaterali e sui potenziali pericoli che corre la minoranza hindu in Bangladesh: qui e qui per approfondire quello che è successo. Le relazioni tra il nuovo Sri Lanka di Anura Kumara Dissanayake e l’India sono partite bene, invece. Sono state presentate nuove incriminazioni a carico dell’ex primo ministro del Pakistan Imran Khan, ed è molto difficile pensare che lascerà presto il carcere. Il governo pakistano vorrebbe inoltre bandire il suo partito, il PTI, mentre cerca di costruire un firewall di internet simile – almeno nelle intenzioni – a quello cinese. È stato poi un anno terribile per il terrorismo in Pakistan, con oltre 750 attentati e quasi 600 morti, il numero più alto dal 2015. In Nepal sono super-felici: o forse no?
Asia Centrale. A inizio dicembre Kirghizistan e Tagikistan hanno firmato un accordo che definisce più chiaramente i confini tra i due paesi. La questione aveva generato scontri e tensioni per decenni, scrive il Times of Central Asia. Intanto il Kazakistan ha stipulato una joint venture con Singapore per sviluppare dei nuovi veicoli anfibi militari per il trasporto della fanteria: l’articolo (critico) di Asia Sentinel.
Pacifico. Il 17 dicembre c’è stato un terremoto di magnitudo 7.3 a Vanuatu, che ha fatto almeno 14 morti e centinaia di feriti. Si cercano ancora i dispersi. A seguito delle dimissioni presentate il 9 dicembre da Hu’akavameiliku Siaosi Sovaleni, che con questa mossa ha anticipato un voto di sfiducia nei suoi confronti, Tonga non ha più un primo ministro: la scelta del suo sostituto dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno. Il premier delle Isole Salomone Jeremiah Manele ha invece scampato il voto di sfiducia dopo il ritiro della mozione da parte del parlamento. Le Salomone sono in gravi difficoltà economiche e anche per questo negli ultimi anni hanno ricercato il supporto della Cina: qui e qui per approfondire. Honiara detiene poi la presidenza annuale del Forum delle Isole del Pacifico (PIF), con potenziali conseguenze sul futuro della partnership tra la regione e Taiwan. Ne parliamo in un articolo del prossimo e-book di China Files su Cina e Asia in uscita il 22 dicembre (per sapere riceverlo, clicca qui).
A cura di Francesco Mattogno