La straordinaria guerra delle terre rare

In by Simone

Destini bizzarri di nomi, cose e relazioni internazionali.

Nel 2009 negli States scoppiò un gran casino quando il Congresso chiese al Government Accountability Office di verificare la dipendenza statunitense dall’importazione di terre rare.
Il grande pubblicò capì via via di cosa si trattava, quando vennero spiegati gli utilizzi militari delle terre rare (visori notturni, munizioni di precisione, missili, ad esempio). Il grande pubblico americano capì poi che le terre rare erano importanti anche per le componenti tecnologiche. E ancora, per forme di energie sostenibili.
Infine scoprì l’atroce verità: il 95 per cento delle terre rare erano estratte in Cina. Sono noti nella storia contemporanea e al mondo, la diplomazia del ping pong, che comportò l’avvicinamento tra Usa e Cina, quella del calcio (tra Turchia e Armenia). Ci furono poi la guerra del caviale, tra Azerbaijan e Nagorno Karabah (con sullo sfondo la mafia russa), mentre è ormai in atto lo scontro del salmone, tra Norvegia e Cina per via del premio Nobel a Liu Xiaobo.

E adesso è il momento della guerra delle terre rare: di seguito un articolo di Sona Montrella, nell’ambito di una collaborazione AGICHINA24 e China-Files, sull’argomento. Buona lettura.

UPDATE nella notte del 19 novembre: il Giappone ha comunicato uno sblocco da parte della Cina nelle esportazioni nei confronti del Giappone, delle terre rare.

Ripristinati i rifornimenti di terre rare al Giappone. Dopo più di due mesi di ferrea ‘dieta’ cui si sarebbero alternati periodi di vero e proprio embargo – un’accusa mossa più volte mossa da Tokyo, ma mai confermata da Pechino – il flusso di questi preziosi metalli sembra essere sulla via della normalizzazione. Lo ha reso noto venerdì il ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese Akihiro Ohata dichiarando che “Tokyo ha registrato segnali di miglioramento nei rifornimenti di terre rare provenienti dalla Cina”.

 “Ho l’impressione che questa situazione si risolverà presto” aveva riferito alla stampa Ohata la scorsa settimana in seguito a un colloquio con il presidente della Commissione per le Riforme e lo Sviluppo cinese Zhang Ping nell’ambito del vertice APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) che si è tenuto a Yokohama il 13 e 14 novembre. A margine del forum, Ohata aveva fatto sapere che Zhang Ping aveva acconsentito a un’accelerazione delle esportazioni di terre rare al Giappone. La previsione del ministro giapponese ha trovato conferma in un’indagine condotta dal Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese che da martedì a giovedì ha coinvolto trenta aziende del Sol Levante che utilizzano questi metalli rari. Il 60% delle compagnie hanno dichiarato di aver notato un incremento nei rifornimenti. Sono in molti a ritenere che dietro la decisione del Dragone, più che un disgelo nei rapporti tra i due giganti asiatici, ci sia il timore della Cina di veder fiorire il contrabbando di terre rare (che secondo fonti ufficiali cinesi ha già mostrato i primi segni) alimentato dalla scarsa reperibilità di queste risorse minerarie proprio in seguito all’annuncio del governo cinese di voler diminuire le quote di esportazioni del 40% rispetto a 2009.

Intanto Pechino tace. Funzionari dell’Amministrazione Doganale cinese contattati al telefono dal New York Times si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni a proposito della ripresa delle esportazioni verso il Giappone.

Il blocco delle esportazioni di terre rare denunciato da Tokyo è iniziato due mesi fa con la vicenda dell’incidente tra un peschereccio cinese e due motovedette giapponesi avvenuto al largo delle isole Diaoyu-Senkaku, arcipelago oggetto di una secolare contesa tra i due Paesi il cui sottosuolo è ricco di petrolio e gas naturale. L’arresto del capitano del peschereccio ha dato il via a un lungo braccio di ferro tra la Cina e il Giappone che ha incrinato seriamente i rapporti diplomatici tra le due potenze. Chiusi i dialoghi e annullati tutti gli appuntamenti in agenda, la Cina ha optato per la politica del pugno fermo fino al rilascio del capitano. In concomitanza con la questione del peschereccio, Pechino avrebbe iniziato a centellinare le scorte di terre rare. Una mossa che le ha fatto guadagnare le critiche non solo del Giappone, ma anche delle potenze occidentali che accusano Pechino di utilizzare le terre rare come strumento politico.

Questi metalli indispensabili per la produzione di macchine ibride, schermi piatti, prodotti tecnologici di ultima generazione, turbine eoliche e perfino missili, di cui la Cina detiene il 60% delle riserve mondiali e il 90% della produzione si stanno guadagnando lentamente un posto d’onore nel settore industriale e nell’economia di qualsiasi Paese industrializzato. Un calo dei rifornimenti potrebbe portare l’intero settore industriale al collasso, da qui il motivo di tale contesa.  E per limitare la dipendenza dalla Cina e mettere al sicuro le proprie imprese, il Giappone ha già avviato una cooperazione con l’India e la Mongolia (venerdì il premier Naoto Kan e il presidente mongolo Tsakhiagiin Elbegdorj hanno firmato un accordo di partnership strategica) per la ricerca e lo sfruttamento di risorse minerarie. Di pari passo, Tokyo ha ideato un progetto congiunto con gli Stati Uniti per lo sviluppo di materiali alternativi. Ohata e Steven Chu, segretario statunitense per l’Energia, hanno siglato giovedì l’accordo le cui attività saranno condotte nell’ambito del progetto Japan-U.S. Clean Energy Policy Dialogue.
[Pubblicato su AGICHINA24 il 18 novembre 2010]