«Come nel mondo reale, la libertà e l’ordine sono entrambi necessari nel cyberspazio», ha affermato il presidente Xi Jinping durante l’apertura della Conferenza mondiale di internet. «La libertà è ordine, e l’ordine è la garanzia della libertà. Dovremmo rispettare il diritto degli utenti di scambiarsi idee ed esprimere le proprie opinioni, e dobbiamo anche costruire buon ordine nel cyberspazio in conformità con la legge, in quanto questa aiuterà a proteggere i legittimi diritti e gli interessi di tutti gli utenti internet».Partiamo da un primo dato. Come sottolineato dal New York Times, il discorso di Xi Jinping è stato effettuato a poche ore dal processo ad un utente di internet colpevole di aver di «postato» sette post sgraditi alla dirigenza del Partito. Non proprio un esempio di «libertà».
Come ricorda il quotidiano statunitense, «A incombere, sul discorso di Xi è stato il processo di Pu Zhiqiang, avvocato per i diritti civili esperto di internet, che sta affrontando otto anni di carcere per sette post pubblicati su Weibo, il Twitter cinese, in cui ha criticato il partito comunista. Gli attivisti ritengono che il processo a Pu, tenutosi lunedì a Pechino, diventerà un punto di riferimento per la libertà di espressione e che contribuirà a definire ciò che possa e non possa essere detto sull’internet cinese in futuro. L’esperto avvocato ha 138.000 follower su Twitter e ha un altrettanto grande seguito sui social network cinesi, dove i suoi profili sono stati chiusi più volte dalla censura del governo».
La questione è la seguente: la Cina finisce infatti per muoversi sul terreno della terminologia con la consueta astuzia. A Pechino sanno bene che quanto Xi Jinping ha definito «interessi legittimi», non significa indicare gli «interessi legittimi», comunemente intesi in Occidente.
Noi pensiamo alla libertà di espressione, la Cina pensa alla libertà di fare affari, di muovere denaro, di svilupparsi e — perché no — di allargare all’estero la propria influenza commerciale. Con un punto fermo: non si entra in questioni di altri paesi, non ci sarà mai «ingerenza» cinese negli «affari», anche quelli riguardanti internet, di un altro paese.
La stampa cinese ha sottolineato il concetto: «Esistono — ha scritto il Global Times – diversi pareri su come Internet dovrebbe essere gestito. La Cina crede che la sovranità di Internet debba essere rispettata e il cyberspazio essere multilaterale. Coloro che hanno fatto i soldi in Cina, ma vogliono irritare i cinesi, non sono i benvenuti».
Internet in Cina, infatti, significa quasi 700 milioni di persone collegate alla rete.
Un mercato vastissimo che è già il primo al mondo in termini di numeri, di business. Pechino vieta ai suoi cittadini di postare e pubblicare critiche al governo ma non pone limiti al commercio, all’acquisto, all’utilizzo della rete per sviluppare quelle energie liberatrici di cui il paese ha bisogno per passare da un’economia degli investimenti e basata sull’esportazione, ad un sistema fondato su innovazione, servizi, alta tecnologia, creatività.
Niente male per aziende che altro non chiedono se non «acquisti» e non certo una critica ai propri sistemi di marketing.
Xi Jinping nel suo discorso inaugurale ha esplicitamente affermato il concetto di cyber-sovranity, specificando che ogni paese ha il diritto di scegliere in modo indipendente come «procedere lungo il cammino dello sviluppo tecnologico, così come decidere le proprie regolamentazioni e politiche e nessun paese dovrebbe perseguire l’egemonia informatica, interferire negli affari di un altro paese o sostenere attività che minano la sicurezza nazionale di altri paesi».
[Scritto per East online; foto credit: voanews.com]