La nuova battaglia del Pacifico

In by Simone

L’ Air Defense Identification Zone di Pechino è solo l’ultima arrivata. Usa, Giappone e Corea ce l’hanno da decenni, ma la decisione di Pechino ha sollevato la tensione nell’area del Pacifico. La Cina risponde agli Usa, che da anni l’accerchiano con le proprie basi. La contesa del Pacifico entra nel vivo. Lo speciale di China Files.

È arrivata nella giornata di giovedì la prima risposta ufficiale cinese alla provocazione Usa di lunedì, quando due B-52 di ritorno dalla base di Guam hanno sorvolato la nuova Adiz (Air Defense Identification Zone) stabilita da Pechino. La “zona di identificazione aerea” della Cina – la cui istituzione è stata comunicata sabato scorso – aveva suscitato le reazioni giapponesi e statunitensi, con richieste di revoca in quanto “destabilizzante” in un’area già percorsa da tensioni territoriali.

I due B-52 Usa che hanno sorvolato la zona lunedì “erano disarmati”, ha specificato Washington, lasciando comunque intendere che il Pentagono continuerà a non tenere conto delle richieste cinesi di identificazione dei voli e farà come ha sempre fatto: tratterà l’Asia Orientale come il cortile di casa. Obama ha poi corretto parzialmente il tiro venerdì, "consigliando" alle compagnie aeree commerciali a stelle e strisce di adeguarsi alle richieste cinesi, ma quello che per Washington conta è che i propri aerei militari non debbano rendere conto a nessuno.
La stampa occidentale ha perlopiù sposato la tesi dello “schiaffone” Usa alla Cina, giusto per far capire chi comanda. Giovedì mattina, anche giapponesi e sudcoreani hanno spedito aerei da guerra nella zona senza seguire le procedure stabilite da Pechino. Nel pomeriggio, mentre l’aviazione cinese ha mandato in volo alcuni caccia che hanno svolto “un pattugliamento di routine come misura difensiva e in linea con le comuni pratiche internazionali”, il portavoce del ministero della Difesa, Yang Yujun, ha dichiarato – non senza una certa ironia – che prima di rinunciare alla propria zona di identificazione, Pechino chiederà a Tokyo di togliere la sua, dopo di che “prenderà in considerazione la richiesta giapponese [di revocare la Adiz] nel giro di 44 anni”.
Tokyo ha infatti stabilito la sua Adiz proprio 44 anni fa, nel 1969.

Al di là del confronto muscolare, a oggi, bisogna chiarire un fatto: la Adiz non è né una “no fly zone” né una estensione dello spazio territoriale. Si tratta di una “zona di sicurezza” ampia quanto basta per scongiurare eventuali attacchi al proprio territorio. È definita dalla velocità dei moderni jet e dal tempo necessario per identificare intenzioni ostili e preparare le adeguate difese aeree.
Nello specifico, l’agenzia ufficiale cinese Xinhua aveva riportato, all’indomani dell’istituzione della Adiz, che gli aerei che la sorvolano devono seguire le seguenti procedure:

1) Identificazione del piano di volo
2) Identificazione radio (devono mantenere le comunicazioni radio a due vie per l’intero sorvolo)
3) Identificazione via transponder (se il velivolo è dotato dello specifico device che trasmette un codice numerico al radar a terra)
4) Identificazione del “logo” (cioè la nazionalità e la registrazione).
In pratica, si crea una zona in cui velivoli non identificati sono tenuti a identificarsi alle autorità cinesi. Su un punto, la Cina ha senz’altro ragione: sia Stati Uniti sia Giappone (come si è visto) hanno già da tempo le loro brave Adiz. Quella statunitense – congiunta con il Canada – risale al 1950. Quella giapponese fu creata proprio da Washington ai tempi dell’occupazione postbellica del Sol Levante e quindi trasferita ai nipponici nel 1969 ed è ben più ampia di quella cinese, sfiorando la Corea del Sud e Taiwan senza problemi. (nel link, in blu quella giapponese, in fucsia quella cinese)

Non è ufficialmente riconosciuta da Russia e Cina. La Corea del Sud ha stabilito la propria nel 1951. Ma non si trovano queste informazioni sui media corporate occidentali, fedeli invece nel riportare le reazioni allarmate di Giappone e Stati Uniti, che hanno accusato la Cina di cambiare “unilateralmente” lo status quo nel Mar Cinese Orientale. Sotto accusa, è soprattutto il fatto che la Adiz stabilita dalla Cina si sovrappone a quella nipponica già esistente. Non solo: la delimitazione cinese ingloba anche le isole Diaoyu/Senkaku, il mini arcipelago al centro da anni di una contesa territoriale tra Tokyo e Pechino.

A questo punto, in teoria, un aereo che sorvolasse l’arcipelago conteso dovrebbe segnalare la propria presenza sia al Giappone, sia alla Cina. Nulla di destabilizzante, a ben vedere. Anzi. Tutto diventa più complicato se si considera che un eventuale velivolo che sorvolasse le due zone sovrapposte dovrebbe seguire le indicazioni sia dei cinesi sia dei giapponesi. E se fossero diametralmente opposte?

Secondo i più avveduti critici della mossa “unilaterale” della Cina, la Adiz cinese si distinguerebbe da quella statunitense per un motivo: da quanto si capisce, le norme cinesi per il sorvolo della zona non fanno distinzione tra aerei in volo parallelo rispetto alla costa della Cina e quelli che invece si dirigono verso lo spazio aereo territoriale del Paese, a differenza di quelle Usa.
Cioè, in pratica, se un aereo è diretto da tutt’altra parte ma passa comunque per la Adiz cinese, deve comunque sottostare alle regole stabilite da Pechino.
Peter Lee, esperto statunitense di studi strategici e voce fuori dal coro rispetto sulla narrativa mainstream, ci ha tuttavia detto che le normative Usa relative alla Adiz non fanno cenno alcuno a “voli verso il continente” contrapposti a “voli paralleli”, citando il passaggio che recita: “Tutti gli aeromobili che entrano nello spazio aereo nazionale statunitense dall’esterno devono provvedere all’identificazione prima di entrare”. Tutti.
Lee aggiunge una lettura politica: “Forse John Kerry vuole semplicemente lanciare ai cinesi un osso”. Secondo lui, il messaggio del segretario di Stato Usa a Pechino potrebbe essere: “D’accordo, una Adiz è ragionevole per gli aerei che penetrano il territorio cinese, ma non deve per nessuna ragione riguardare quelli in transito su una rotta parallela”. Detta altrimenti: niente ostacoli ai velivoli militari Usa. Il che sarebbe confermato dalla parziale "concessione" di Obama arrivata venerdì.
Si attendono futuri chiarimenti, se mai ci saranno.

I media cinesi per ora abbassano i toni e fanno spiegare da diversi esperti che l’Adiz non vuole essere una minaccia per nessun Paese limitrofo.
Pechino ha inoltre ribadito che i normali voli di linea non dovranno cambiare nulla delle procedure che già utilizzano quando si dirigono verso il territorio cinese, ma la stampa occidentale ha dato grande enfasi all’indicazione data dal governo di Tokyo alle compagnie aeree nipponiche di non rispettare le richieste del comando di terra cinese.

Il Global Times dà della vicenda una lettura interessante.
La versione pop del Quotidiano del Popolo ritiene che l’atteggiamento di sfida degli Usa sia poco meno che puerile e afferma che ciò che realmente conta è il fatto che il comando cinese abbia monitorato il volo dei due B-52 Usa lungo tutto il tratto della Adiz. L’esibizione di muscoli di Washington e la lettura che ne danno i media occidentali hanno soprattutto a che fare con una questione di indirizzo dell’”opinione pubblica” (la capacità di esercitare soft power, potremmo dire). Ed è lì – più che su una situazione strategica tutto sommato sotto controllo – che Pechino deve soprattutto investire, sembrerebbe dire il giornale cinese.
In ballo, a questo punto, c’è un discorso di “faccia”, mianzi in cinese, quella cosa che non si può perdere per nessuna ragione al mondo.

Con il volo dei due B-52, gli Usa hanno fatto capire che non intendono subordinare la propria presenza militare nell’area al beneplacito di Pechino e rispettare le procedure della Adiz.
Per aggiungere pepe, la Casa Bianca ha comunicato che, pur non avendo mai preso posizione ufficiale sul contenzioso relativo alle isole Diaoyu/Senkaku, si sente vincolata dal trattato che le impone di “proteggere” il Giappone. Pechino non ha al momento strumenti militari – e ancor più tecnologico-militari – per imporre a Washington il rispetto delle procedure previste dalla propria Adiz. Che quindi, per ora, sembra più che altro un’affermazione di principio. Ma intanto c’è. Si sa, la Cina di solito la prende lunga e ha la memoria di ferro.

Gli altri articoli dello speciale:

La risposta cinese
– Le basi americane in Asia