La mia India – Siamo davvero razzisti?

In by Simone

Un sondaggio del Washington Post indica che gli indiani sono una delle popolazioni più razziste del pianeta. Al massimo bigotti e castisti, dicono in India, ma razzisti proprio no. Annie Zaidi prova a spiegare perché considerare la discriminazione castale un "razzismo soft" sia una fesseria.
Alcuni anni fa, mi ricordo, ero in viaggio e stavo leggendo un libro. La famiglia seduta davanti a me iniziò a mangiare e si offrì di dividere il proprio cibo con me. Io declinai, ma la giovane moglie continuava ad insistere. Dopo il mio secondo “no”, mi disse: “Non preoccuparti, non siamo di una casta bassa, siamo di casta alta!”

Quella ragazza mi è tornata in mente leggendo di un sondaggio del Washington Post dove si indica che l’India è tra le nazioni più razziste della Terra. E, qui in India, abbiamo iniziato subito ad avanzare i vari distinguo – certo, siamo bigotti e castisti, ma non siamo “razzisti” in senso stretto. E, scusate, quale sarebbe la differenza?

Tradizionalmente, gli occidentali descrivono il razzismo come discriminazione basata su differenza razziali (genetiche, fisiologiche). Il colore della pelle o degli occhi, la fibra dei capelli, la forma del naso, sono tutte caratteristiche che tradiscono la storia genetica di un individuo.

Ci sono decisamente troppe persone nel mondo che credono siano i loro nasi a conferir loro un certo prestigio, o che per colpa di nasi grossi o capelli crespi sia giusto condannare qualcuno a un’eternità di "meno": meno cibo, meno acqua, meno comodità, meno educazione, meno proprietà, meno spazio culturale. E chi ha una diversa storia genetica, ça va sans dire, non può sposarsi.

Sembra di sentire la descrizione della discriminazione castale, no? In effetti, le caste sono comprese nell’elenco della Convenzione Onu sulle discriminazioni razziali, anche se se ne parla molto poco.

Con un tuffo nella storia dell’antica India ci si rende conto che le radici della divisione in caste sono squisitamente razziali. Gli Arii e le popolazioni del ceppo dravidico facevano parte di due razze diverse, con culture ed usanze diverse. Una, quella degli Arii, iniziò a dominare sul territorio e schiacciò l’altra.

Nei secoli si verificarono numerose conversioni tra caste e religioni, molti matrimoni misti, migrazioni e prese di distanza dalle funzioni religiose a sfondo castale. Le cose si fecero quindi più complicate ed è per questo che oggi gli indiani non sono più in grado di riconoscere una casta dall’altra semplicemente guardandosi in faccia. Per questo quella donna sul treno sentiva il bisogno di chiarire che lei non era di una casta inferiore.

Sospetto che ci piaccia molto pensare che il castismo sia in qualche modo un razzismo soft, meno pericoloso. Ma non c’è alcuna differenza tra ammazzare un ragazzo nero che flirta con una ragazza bianca ed ammazzare un ragazzo di una casta inferiore perché vuole sposare tua figlia.

Per scoprire il grado di razzismo che attraversa oggi il Paese basta dare un’occhiata online ai siti per trovare la propria anima gemella, che in India equivale a sposarsi.

Siamo “i più razzisti” sulla Terra? Beh, non voglio crederci ma c’è da dire che l’India è ben troppo tollerante verso ogni intolleranza, razzismo compreso.

Prendete ad esempio la decisione del portale matrimoniale Shaadi.com di dare un premio ad una donna che ha twittato di non volere “bambini neri”.

Altri amici mi hanno deliziato con lunghe descrizioni delle “feste” di Shaadi.com, dove la bandiera della discriminazione castale è sventolata con orgoglio, senza alcuna vergogna. Inutile anche solo pensare di fare pressioni sulla compagnia per prendere una posizione forte sulla questione delle caste.

Se un sito web negli Usa incoraggiasse a sposarsi all’interno del proprio gruppo etnico ed ammettesse una piattaforma dove possono scorrere una serie di osservazioni razziste, la gente si sarebbe indignata, almeno un po’. Qui in India, invece, siamo in gran parte sollevati dall’esistenza di una piattaforma del genere. E credo questo faccia di noi un popolo più razzista.

[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]

*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.