Binayak Sen faceva il medico tra i più poveri. Fu accusato ingiustamente di danneggiare la sua stessa nazione e incarcerato perché legato a un attivista maoista/naxalita in carcere. La vicenda di Aseem Trivedi sembra seguire la stessa falsa riga. A vincere, in India non è sempre la verità, ma la corruzione. Una volta, tanto tempo fa, c’era un uomo che scriveva tre lettere. Scriveva che da un po’ di tempo non aveva notizie dal suo corrispondente. Parlava dell’abisso che separa i ricchi dai poveri, del bisogno di propaganda, di come la loro organizzazione aveva bisogno di fare di più per raggiungere i propri scopi.
Queste lettere erano portate da un medico. Che dopo un po’ fu arrestato. Per sedizione. Ovvero perché le sue azioni danneggiavano la nazione.
Il dottor Binayak Sen era già noto per gli anni che aveva trascorso al servizio dei poveri, fornendo quell’ assistenza medica che il governo avrebbe dovuto fornire. Fu allora che fu accusato di dichiarare guerra a tutti noi. Quelle lettere che portava erano scritte da un anziano e malato cittadino di nome Narayan Sanyal, in carcere per attività maoiste/naxalite.
In un nuovo libro, The Curious Case of Binayak Sen, il giornalista Dilip D’Souza fa notare che secondo il giudice che condannò Binayak Sen una di quelle lettere – questa la sua interpretazione – descriveva alcuni omicidi come "reazionari". Ma nella lettera la parola "omicidio" non compariva nemmeno una volta.
In un altro passaggio, l’ordine delle parole era stato rigirato. Invece di una richiesta a "MR" di mandare fondi per "amici di qui", il giudice aveva visto una richiesta di mandare denaro a una persona o a un gruppo chiamato MR.
D’Souza scrive che c’erano persone a cui il Dr Sen non piaceva per il suo supposto appoggio ai Maoisti. O addirittura perché stava provando ad aiutare Sanyal in prigione. L’autore descrive poi il suo personale breve incontro con la legge.
D’ Souza scrive che, una volta a Mumbai, fu arrestato – insieme ad alcuni altri –per aver viaggiato nello scompartimento riservato alle donne di un treno locale. Fu rilasciato su cauzione e citato a giudizio. Gli altri arrestati non comparvero in tribunale. Si erano già comprati la via verso la libertà.
E veniamo a questo scomodo affare di corruzione. Un vignettista di nome Aseem Trivedi è accusato di danneggiare la nazione. Ha disegnato una vignetta in cui pare suggerire che i leoni del nostro stemma nazionale si siano trasformati in lupi, con la bocca che gronda sangue. Il loro motto recita: "Bhrashtamev Jayate". Trionfa il corrotto.
Che la sua fosse o meno una buona vignetta è un altro discorso. Ma non ha fatto nessun male ai cittadini indiani. Non ha fatto nessun male allo stemma nazionale. Questo rimane dov’era, scolpito su una colonna. E per quanto riguarda il nostro motto, Satyamev Jayate (La verità trionfa), questo dovrebbe essere scolpito nel nostro cuore.
Ma nel vedere quanto corrotti effettivamente siamo, quanto ogni legge si trasforma in un’opportunità per qualcuno al governo o nella pubblica amministrazione di cavare illegalmente soldi da cittadini vessati, Trivedi stava con tutta probabilità dicendo semplicemente la verità per come la vede lui.
Allora, a chi quella vignetta ha arrecato danno? Forse, credo, all’ immagine che abbiamo di noi stessi. Quell’immagine di noi con il nostro cuore di leone, a difesa della verità.
Se solo quel cuore fosse il nostro. Se solo la nostra polizia arrestasse chi davvero fa danno alla nazione. Se solo la stessa polizia non facesse danno alla nazione.
Nel suo nuovo libro D’Souza cita lo storico Ramchandra Guha, che ha scritto del suo incontro con un appartenente alla tribù Muria in un carcere del Chhattisgarh. Dabba Boomaiah aveva un lavoro come operaio in un progetto di impianto di irrigazione .
Un giorno si offrì di accompagnare una squadra di operai impegnati nella costruzione di una strada alla stazione di polizia di Bhopalpatnam. La polizia iniziò a fargli domande sull’attività naxalita nell’area e fecero pressione su di lui per trasformarlo in un vigilante tra le fila del Salwa Judum(milizia supportata dal governo attiva in Chhattisgarh per combattere i naxaliti, illegale dal 2011, ndt). Al suo rifiuto, venne arrestato.
Né Guha né D’Souza e nemmeno io sappiamo che cosa è successo poi al povero Dabba. Speriamo che sia fuori di galera, a casa, al sicuro. Forse sta pensando di incidere sul suo cuore di leone le parole: Satyamev Jayate.
*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.
[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]