La mia India – Il prezzo dello shopping

In by Simone

La classe media indiana è ormai risucchiata dallo shopping compulsivo, grazie alla sovrabbondanza di merci a basso costo disponibili sul mercato. E’ il caso del tessile indiano, specie ora che è iniziata la stagione dei matrimoni. Ecco cosa succede dietro alla produzione dei vestiti contraffatti.
Dicono sia iniziata la stagione dei matrimoni. Ovvero, per molta gente, è tempo di spendere e spendere come non ci fosse un domani. In verità, la nuova classe media indiana non ha nemmeno bisogno di aspettare festività o matrimoni. Lo shopping è l’intrattenimento del weekend.

Ciò è possibile in parte grazie alla sovrabbondanza di vestiti in vendita a prezzi stracciati. Ma anche per il fatto che ormai si compra il marchio, non il prodotto. Nessuno cerca più di crearsi un proprio stile, ci accontentiamo di comprare dei vestiti di marca, con logo ben in vista.

E così i mercatini di strada straripano di “reject maal” (“roba mandata indietro”, gli avanzi di fabbrica, ndt) o capi contraffatti ispirati alle tendenze modaiole americane o europee. I centri commerciali sono pieni zeppi di articoli griffati, la maggioranza dei quali nemmeno troppo costosi.

Vi siete mai chiesti come mai? Certo, l’India è piena di manodopera a basso costo. Ma quanto a basso costo?

Lo stipendio mensile medio di un operaio del tessile a Bangalore ammonta a 4.472 rupie (64 euro, ndt). E non è che i proprietari delle fabbriche vadano orgogliosamente a sbandierare questi numeri in giro. Ne siamo venuti a conoscenza solo grazie al Tribunale Permanente dei Popoli, progetto parte della Asia Floor Wage Alliance.

Secondo il rapporto, 4.472 rupie coprono solo il 43 per cento dei bisogni di una famiglia, considerando che ci devono pagare affitto, cibo, acqua, educazione dei figli e sanità.

Il tessile in India vale 55 miliardi di dollari. I dati dicono che due milioni di persone sono impiegate nel settore: l’80 per cento donne. Ora, testimoni provenienti da 250 fabbriche di indumenti hanno raccontato di salari troppo bassi, turni di lavoro sfiancanti, molestie sessuali e condizioni di lavoro estreme fino all’incatenamento o al lavoro forzato.

Per quanto riguarda la sicurezza, la maggior parte degli stabilimenti sono dei disastri in attesa di compimento. Uno di questi disastri si è recentemente verificato in Bangladesh, il secondo esportatore di vestiario al mondo.

Un incendio è scoppiato in una fabbrica nei pressi di Dhaka, sicuramente non per la prima volta nella zona. Sono morte 112 persone. Alcuni hanno provato a salvarsi lanciandosi dall’ottavo piano. Le guardie non hanno aperto i cancelli nemmeno quando il fumo è iniziato ad uscire dalla fabbrica.

Gli operai del tessile in Bangladesh, dopo l’incidente, si sono raccolti in una veglia silenziosa illuminata solo dalle candele, chiedendo condizioni di lavoro più sicure. Hanno raccontato ai giornali ed ai telegiornali che le fabbriche sono di per sé una minaccia alla sicurezza: hanno una sola entrata e non ci sono uscite d’emergenza.

Parte della responsabilità è da imputare ai grandi marchi internazionali che si riforniscono da queste fabbriche. Durante l’udienza del Tribunale a Bangalore, a parte la svedese H&M, delle multinazionali non si è presentato nessuno. Idem per i fornitori indiani.

La cosa non dovrebbe sorprenderci. Se non riescono a risolvere il problema degli incendi in Bangladesh, perché dovrebbero occuparsi della sicurezza in India? E’ responsabilità dell’India far sì che le leggi siano rispettate.

Ma purtroppo i lavoratori dicono che il dipartimento del Lavoro del Karnataka non riconosce nemmeno i sindacati. E in ogni caso, il dipartimento stesso non ha un gran curriculum in fatto di interventi per la tutela dei lavoratori.

Prendiamo ad esempio il progetto della metropolitana di Bangalore. Dopo una serie di incidenti, un gruppo di studenti nel 2010 ha chiesto: chi è responsabile della sicurezza dei siti della Bangalore Metro Rail Corporation Limited (Bmrcl)? La Bmrcl non ha risposto.

Nel 2011 gli studenti si sono rivolti al dipartimento del Lavoro del Karnataka, che ha scaricato la responsabilità sul Ministero dello Sviluppo Urbano. Nel settembre 2012 il Ministero ha detto che tocca al Bmrcl rispondere.

Cosa possiamo aspettarci allora dal dipartimento che dovrebbe proteggere i diritti dei lavoratori del tessile? Lo Stato farà il suo lavoro?

E noi, orde dello shopping? Attraverso le loro testimonianze le donne che fabbricano i nostri piaceri a buon mercato ci stanno parlando, raccontando i retroscena di quei vestiti. Le stiamo ascoltando?

*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.

[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]