Uomini in borghese vi prelevano da un luogo pubblico, vi mettono in cella, magari vi torturano, vi costringono a firmare una "confessione" senza avvocato e vi spediscono davanti ad un tribunale? Succede in India se voi o i vostri cari siete sospettati di fiancheggiare i maoisti.
Immaginate di andare a lavoro. La sera salutate tutti i colleghi, andate a casa e trovate qualcuno che vi sta aspettando. Qualcuno vestito in khaki (il colore della divisa della polizia indiana, ndt) che dice di essere della polizia.
Inizia a fare domande. Dove siete stati? Chi sono i vostri amici? Sapevate questo? Sapevate quello? Voi dite no e lui dice che dovete seguirlo alla centrale. Chiedete perché, lui non vi spiega nulla e vi fa salire in auto.
Ancora non sapete chi sia questo "poliziotto". Non porta nessun tesserino identificativo, non vi dice verso che stazione di polizia state andando e quando potrete tornare a casa.
Bene, ora immaginate di essere una donna e di avere vostro figlio tra le braccia. Salite su un treno per andare ad una conferenza. Delle persone si materializzano nel vostro scompartimento, dicono di essere agenti in borghese della polizia ferroviaria.
Ancora non sapete di essere in arresto ma presto vi ritrovate, senza alcuna spiegazione, nell’ufficio locale della Cbi (Central bureau of investigation, la Fbi indiana, ndt). Vi chiedono che rapporti abbiate con le milizie ribelli. Rispondete di non averne.
Vi portano in centrale e vi mettono in stato di fermo per la notte. La cella è controllata a vista da un uomo. Non vi fanno nemmeno andare in bagno. Avete ancora con voi vostro figlio, assieme al resto delle persone in cella.
Il mattino seguente vi interrogano da soli. Fanno pressione per farvi firmare un documento. Poi vi portano davanti ad un tribunale e la vostra “confessione” viene presentata come una prova contro di voi.
In India può succedere molto, molto facilmente. Se siete impegnati attivamente nel campo dei diritti della terra, della foresta, dell’acqua, questo scenario suona terribilmente reale.
L’8 dicembre 2012 qualcosa di molto simile è successo a Ranchi, portando alla detenzione di Aparna Marandi. Lo ha raccontato Baby Turi, capo del panchayat di Jitpur, nel distretto di Dhanbad, Jharkhand.
Baby ha spiegato di esser stata prelevata assieme ad Aparna, suo figlio di 4 anni e Sushila Ekka.
Baby e Sushila non hanno firmato nessuna confessione e sono state rilasciate il 10 dicembre. Aparna, temendo per la sua vita, ha firmato ed è finita in carcere.
Cosa hanno in comune queste donne? I loro mariti – Damodar Turi e Jiten Marandi – furono arrestati nel 2008 ed accusati di attività maoiste. Secondo una dichiarazione di Damodar, delegato statale della Visthapan Virodhi Janvikas Andolan (Campagna del Popolo contro i Trasferimenti forzati, ndt), al momento del suo arresto non fu presentato nessun mandato.
Fu torturato e costretto a firmare una confessione. Nella conferenza stampa della polizia furono mostrati dei libretti maoisti, ritrovati – secondo le forze dell’ordine – negli uffici dell’ong di Damodar.
Jiten invece è ancora in carcere. E’ stato assolto dall’Alta Corte, ma è tenuto ancora dietro le sbarre secondo il Jharkhand Crime Control Act del 2002.
Se Jiten o Damodar o Aparna siano o meno colpevoli di qualche crimine o in qualche modo legati ai maoisti sono questioni secondarie. La procedura della polizia rappresenta un pericolo di gran lunga maggiore per la popolazione indiana.
La polizia deve fare il proprio lavoro, ma sembra che necessiti sempre più di qualcuno che la controlli.
Si leggono di continuo notizie di gravi violazioni dei diritti in ogni Stato e di certo non possiamo permetterci di spedire alle calcagna di ogni poliziotto in India un attivista per i diritti umani.
Eppure abbiamo tutto il diritto di sapere chi sta arrestando chi e, soprattutto, per quale crimine. Ogni cittadino ha diritto ad un avvocato prima di firmare qualsiasi documento.
Forse con l’uso delle nuove tecnologie controllare la polizia potrebbe essere più semplice. Forse è proprio l’unico modo per essere sicuri della buona fede della polizia. Perché se non possiamo fidarci nemmeno della polizia, su chi possiamo fare affidamento?
*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.
[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]