La guerra dei motori di ricerca

In by Simone

Il 12 dicembre del 2009 il China Daily sottolineava lo stile e la generosità di Google. Il motore di ricerca statunitense aveva pubblicato il documento con i termini più ricercati sulle proprie pagine. E in Cina la parola più volte scritta su Google.cn è risultata essere «Baidu», ovvero il nome del principale competitor dell’azienda Usa. Un destino ridicolo, perché comunque la si pensi, la diatriba tra Google e la Cina ha un retrogusto storico: come osservare qualcosa che da lì in poi sarà diverso e che pone in una luce differente tutto quanto c’è stato prima. Le dimissioni di un manager, le strane premonizioni di qualche anno fa di un altro illustre Ceo (guarda caso di Baidu), secondo il quale «Google in Cina tra cinque anni non ci sarà più», guerre di mercato all’insegna della censura, delle accuse di favorire la pornografia e una minoranza di navigatori che, all’interno del numero più alto di utenti internet al mondo, 384 milioni, si sta ritagliando uno spazio poco visibile ai governi, ma ben più evidente per un’azienda con le caratteristiche di Google.

La censura cinese, come ha scritto qualche blogger, era perfetta. Peccato, ha aggiunto, non avessero previsto il web 2.0. Twitter più di ogni altro strumento di social network ha cambiato molto nello strato dell’internet cinese. In mezzo alle prospettive e agli immaginari aperti dalla ricchezza del web, è finito pure Google, l’unica organizzazione (aziendale) al mondo che ha sfidato pubblicamente la censura cinese, fino a portare gli stessi censori ad ammetterla e a definirla necessaria per il mantenimento della pace sociale in Cina. Per molti cinesi, da tempo alla prese con una battaglia continua per sfuggire alle tecniche censorie del governo, uno spiraglio mica da poco.

Ora si attendono i colloqui e le trattative tra il gigante di Mountain View e il gigante del mondo e già il fatto che di fronte ci siano un governo e un’azienda, dovrebbe allertare. E la storia si ammanta di sguardi all’indietro e quanto è accaduto negli ultimi anni nel web cinese. E si scoprirà che Google e la sua decisione di eliminare i filtri alla navigazione, dopo un attacco informatico massiccio subito dalla Cina, sono pienamente inseriti in una storia, la cui linea distorta è subissata di eventi, stranezze, bizzarrie cinesi e destini incrociati di persone e fatti. E se si è sviluppata una guerra, è stato tempo fa, e si trattava di motori di ricerca. Senza che la parola fine sia stata ancora scritta.

Google in Cina: solo un accordo col Governo?
La storia di Google in Cina passa quasi sempre attraverso il ricordo del patto sancito tra Mountain View e governo cinese, nel 2006, circa i filtri alla ricerche, per evitare contenuti sgraditi a Pechino. In realtà c’è molto di più e il contenuto degli anni cinesi di Google non può che porre in dubbio chi ritiene che lo strappo compiuto dai vertici dell’azienda, sia dovuto ad un mercato poco interessante. Vero che Baidu è leader, ma è anche vero che i motori di ricerca in Cina costituiscono un mercato in rapida ascesa. Non si tratta solo di search engine: si tratta di suite di navigazione, di mail, di download, di servizi e di telefonia mobile. In parole povere: pubblicità e informazioni. Google nel 2005 pose alla propria guida cinese Lee Kai Fu: la notizia rimbombò da Pechino a Redmond, sede della Microsoft. Lee era infatti il vice presidente cinese dell’azienda di Bill Gates e il suo passaggio a Google sembrò sancire una svolta epocale negli equilibri mondiali delle aziende internet. Con la sua presenza Google sembrava avere trovato la chiave per scardinare il mercato cinese. Lee si mise al lavoro pronosticando tempi lunghi, da buon cinese, per l’affermazione nella Terra di Mezzo del motore di ricerca Usa.

Nel 2006 attivò google.cn con gli accordi del caso e poi iniziò il proprio cammino in Cina, come gu ge, nome cinese annunciato da Eric Schmidt nel 2006: nel 2007 avvia la partnership con China Mobile, investe in Xunlei, un downloader di file cinesi, acquisisce 265.com un sito dall’altro traffico (contemporaneamente Baidu acquisisce qualcosa di simile, hao123.com), investe poi in Tianya, la principale BBS cinese con cui lancia un servizio simile a quello di Yahoo! Answer e annuncia una partnership con Sina.com il principale portale della Cina. Tra il 2008 e il 2009 lancia i propri servizi di mp3 attraverso accordi con siti cinesi. Poi dal giugno 2009 i primi scricchiolii: in primis l’accusa di veicolare contenuti pornografici, poi a settembre le clamorose dimissioni del boss cinese Lee Kaifu, via twitter. Proprio lui, il giorno dello strappo di Google con la Cina, ha twittato un messaggio che sancisce una delle letture in voga nel web cinese: «un capitano non dovrebbe mai sfuggire ai propri doveri, specie se a conoscenza del fatto che la nave sta affondando».

La censura: meno porno per tutti
«Usa Baidu e saprai delle cose, usa Google e saprai…troppe cose». E’ una delle tante frasi che circolano nei social network cinesi: l’internet locale si interroga e pone tanti punti di domanda sul caso Google, che provano a interpretare gli ultimi avvenimenti della rete cinese. C’è anche chi cerca alcune giustificazioni: una delle teorie in voga, sarcastica, è quella secondo la quale in realtà i vertici di Google sono degli alieni, il cui algoritmo è stato sventrato da Al Quaeda. La vicenda cinese servirebbe a distogliere l’attenzione da altri problemi. Rimane il fatto che per Google i fastidi, seri, con il governo cinese sono iniziati con il tentativo da parte delle autorità di fare passare la nota Green Dam Youth Escort. Il progetto del software che doveva essere installato in tutti i pc venduti in Cina dal primo luglio 2009 è stato accantonato: un po’ per il boicottaggio di molti utenti, un po’ perché le aziende produttrici di pc si sono dimostrate refrattarie a pre installare un software che dai primi test mandava in tilt tutti i computer, causa svariati bachi e una incompatibilità con Windows. Il governo cinese è allora passato al contrattacco rasando centinaia di siti e Google è finito nella rete.

L’accusa di diffondere materiale pornografico ha messo Google in cattiva luce presso l’opinione pubblica cinese, evidenziando una diversità di trattamento rispetto al locale Baidu, che ha fatto sorgere non pochi dubbi sulle azioni governative. In primo luogo perché anche Baidu veicolava materiale pornografico, in secondo luogo perché da un’attenta analisi del traffico, un blogger piuttosto famoso, Keso, aveva fatto notare come gli accessi alla versione giapponese di Baidu fossero prevalentemente cinesi. «Che cosa cercano i cinesi, si chiedeva, nella versione giapponese di Baidu?» Il porno, naturalmente.

La guerra dei motori di ricerca e lo spettro Android
A dicembre del 2009 alcuni analisti avevano sancito il momento delicato per Google in Cina: Baidu aveva annunciato le proprie quote di mercato, salite fino al 77%, con Google fermo ad un 19%, ma in crescita rispetto al precedente 17%. Baidu fornisce ai propri utenti 740 milioni di pagine web, già nel 2008 oltre cinque milioni di cinesi hanno visitato il suo sito. Tra i vari servizi offre anche una enciclopedia on-line (la Wikipedia cinese). Conta oltre seimila dipendenti e nel 2009 ha dovuto fronteggiare la crisi, resa evidente da alcune manifestazioni, come quella del 15 maggio scorso, quando migliaia di dipendenti sono scesi in strada a Shenzhen, uno dei polmoni dell’economia cinese, per protestare contro la riduzione di stipendio del 30% decisa dall’azienda.

In mezzo a questi dati non erano pochi quelli che sottolineavano le grandi potenzialità di Google: dopo la fallimentare esperienza russa, dove a causa della peculiarità della lingua, Yandex domina in modo incontrastato, in Cina l’approccio era stato diverso, tanto che Eric Schmidt, Ceo di Google, tempo fa aveva affermato, «nei prossimi cinque anni la Rete parlerà cinese». Specialmente nei servizi sui cellulari, Google, grazie alla partnership con il principale operatore di telefonia cinese, China Mobile, stava erodendo non poche quote alla concorrenza. Baidu del resto beneficia dallo status di operatore storico (è nata nel 2000) e, secondo i suoi dirigenti, è in grado di mettere insieme gli strumenti necessari affinché i cinesi possano ottenere informazioni e non solo risultati della ricerca, anche attraverso alcuni strumenti di social networking, come Baidu Post Bar. Così, mentre Baidu, perfettamente allineato alle esigenze del governo cinese, per ora sembra concentrarsi sulla ricerca, le ambizioni di Google in Cina sembravano andare ben al di là della linea tradizionale che unisce pubblicità e search.
Il vero asso nella manica era costituito dalla piattaforma operativa e open source di telefonia mobile Android, pronta a sbarcare in Cina. Forse un’intenzione che ha preoccupato non poco competitors e governo cinese. Una delle tante chiavi interpretative di un labirinto di cui ancora non si intravede un’uscita, ma in cui attori principali potrebbero essere gli utenti cinesi, molto più vivi e creativi di quanto si pensi o di quanto venga spesso comunicato.

[Pubblicato su Il Manifesto il 21 gennaio 2010]