La gioventù arrabbiata

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24)

Lunedì 18 ottobre, il primo ministro giapponese, il democratico Naoto Kan, aveva espresso la sua preoccupazione per le proteste antinipponiche dello scorso fine settimana in Cina. Migliaia di giovani erano scesi per strada a Chengdu, Xi’an, Zhengzhou ed in altre città: si trattava della risposta ai manifestanti anti-Pechino che sabato avevano sfilato a Tokyo al grido di «salviamo il Giappone» e «Non dimentichiamoci dell’invasore cinese». A tenere banco tra i due Paesi è sempre la questione Diaoyu, o Senkaku secondo la versione giapponese, il gruppo di isole contese tra i due governi che puntano al petrolio scoperto trent’anni fa nei fondali di quel tratto di Mar cinese orientale. La disputa era riesplosa ai primi di settembre con l’arresto del capitano di un peschereccio cinese fermato dalla guardia costiera di Tokyo per una collisione con due motovedette nipponiche al largo delle isole. Nei giorni seguenti l’arresto, centinaia di manifestanti hanno protestato di fronte alle principali sedi istituzionali giapponesi in Cina, le stesse che si sono ripetute nel fine settimana.

I fenqing

Ad animarle sono i cosiddetti “fenqing”, i “giovani arrabbiati”. Nati negli anni Ottanta, sono cresciuti nel mito della grande ascesa della Cina a potenza mondiale. «Il governo ha fomentato il nazionalismo per sviare l’attenzione dai problemi interni e ha aggiunto una buona dose di vittimismo», ha scritto Jason Miks, analista del quotidiano online The Diplomat. Bersaglio principale della rabbia delle nuove generazioni è proprio il Sol Levante. Un risentimento frutto di nodi storici mai completamente risolti: le atrocità dell’esercito imperiale negli anni Trenta e Quaranta. «Combattiamo il Giappone», si legge nei cartelli issati dai giovani manifestanti. Sono gli stessi slogan che riecheggiavano nel 2005 quando a scatenare le manifestazioni fu la decisione dell’allora governo nipponico, guidato dal liberaldemocratico Junichiro Koizumi, di adottare nelle scuole manuali di storia revisionisti sulla condotta dei soldati giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale.

«I giovani di entrambi i Paesi hanno bisogno di conoscersi reciprocamente», ha scritto l’editorialista Xie Tianwu, sul portale China.org. Una riflessione motivata dai risultati di un recente ricerca dell’Università Tongji: soltanto il 55 per cento dei cinesi conosce la storia del Giappone e, viceversa, soltanto il 28 per cento dei nipponici quella della Cina. È proprio tra i giovani istruiti delle città che il fenomeno sembra maggiormente radicato. Come notava nel 2008 Josh Kurlantzick del centro studi Carnegie Endowment: «Sono loro ad aver beneficiato di tre decenni di sviluppo e ad aver perso ogni remora reverenziale contro l’Occidente». La prova è arrivata nella primavera di due anni fa quando il supporto dei governi e dei media occidentali – soprattutto statunitensi e francesi – alle proteste dei tibetani, scatenarono un’ondata di risentimento che culminò nel boicottaggio della catena di supermercati Carrefour e dei prodotti “made in France” e nella campagna anti-Cnn.  

In mezzo, il Partito
Non mancano le critiche alle azioni dei giovani arrabbiati. Il carattere “fen” di “fenqing” è spesso sostituito con un suo omofono, il cui significato è “feccia”. In alternativa, ha sottolineato l’anno scorso Kai Fu Lee, può essere usato anche un altro carattere “fen”, ovvero quello di “lotta”. In questo caso, ha spiegato l’ex presidente di Google China, il termine rappresenterebbe giovani con delle aspirazioni «che indicano i problemi per trovare delle soluzioni». A giudicare però dai toni, questa gioventù impegnata libera di sfogare nelle piazze, sia fisiche che virtuali, le proprie rimostranze, finché controllata a distanza dalle autorità si è sempre rivelata uno strumento doppiamente contundente: da un lato, lasciare alla piazza le istanze più istintive permette ai diplomatici cinesi di ritagliarsi un ruolo da paciere in sede internazionale.

Mentre la popolazione insorge inneggiando al boicottaggio giapponese, o a fantascientifiche misure extra-legali per punire «gli invasori giapponesi che navigano nelle nostre acque» – come consigliano i netizen più irriducibili nei forum online –, i portavoce del ministero degli Esteri cinese, capitanati dal solerte Ma Zhaoxu, sono liberi di alternare accorati appelli alla calma ed alla reciproca comprensione –lodando il comune destino delle due superpotenze asiatiche – a rimbrotti per le proteste anti-cinesi in Giappone, che vanno a danneggiare i delicati rapporti bilaterali e regionali.

Dall’altro lato invece, l’apertura delle maglie del controllo sociale funziona egregiamente come valvola di sfogo per le frustrazioni di una generazione, i nati post-riforma di apertura, ubriacata di aspettative e spesso disillusa dai riscontri reali nell’ambito lavorativo; agisce da collante sociale, rilanciando le tematiche dell’unità nazionale e dell’attacco all’onorabilità della Patria e dei compatrioti, mettendo in secondo piano una serie di problematiche più locali e sfaccettate, come gli sfratti coatti e le iniquità alle quali sono sottoposti i lavoratori migranti, vera spina dorsale della prosperità cinese; infine, in un Paese dove la censura telematica è precisa e puntuale, permette di dimostrare come l’internet cinese sia invece un’oasi di libertà, scambi di opinione ed organizzazione spontanea, nel caso dei giovani manifestanti che si organizzano sfruttando proprio i microblog.

Il fenomeno dei “giovani arrabbiati”, fino ad ora, sembra essere ancora sotto il saldo controllo del Partito, che non fomenta le manifestazioni, ma si limita ad arginarle nel perimetro utile alla realpolitik di Pechino. I problemi, in futuro, potrebbero sorgere se le manifestazioni spontanee andassero a concentrarsi su tematiche non condivise dall’anima più conservatrice del PCC. Un’evenienza più volte scongiurata dal Partito ricorrendo al black out dell’informazione, come nel caso recente di Liu Xiaobo, o alle pressioni fatte alle aziende straniere per alzare i salari dei propri operai, come successo nella scorsa calda primavera delle proteste dei lavoratori.

La Cina a due marce, quella dell’economia fulminea e della democrazia letargica, ha cresciuto una generazione di figli unici nervosa e insoddisfatta, che guarda ad un futuro personale senza la carica epica dei loro padri: il controllo di questi “giovani arrabbiati”, insieme alle geometrie economiche e valutarie, sarà il leit motiv della Cina che verrà.

[Pubblicato su AGICHINA24 il 21 ottobre 2010]