Cina e India non sono propriamente nazioni amiche. La visita di Narendra Modi presso Xi Jinping dovrebbe portare ad una relazione basata sulla conoscenza reciproca dei due numeri uno e in grado di chiudere consistenti accordi commerciali. Come dire che anche nell’esotica Asia, secondo i racconti più in voga sul mainstream, la praticità degli affari finisce per affogare le incomprensioni storiche, territoriali e di rispetto internazionale.
Al termine degli incontri sino-indiani sarebbero almeno 24 gli accordi firmati per un valore complessivo di oltre 22 miliardi di dollari. «Le intese – si legge in un comunicato congiunto – riguardano industrie di diversi comparti, tra cui energie pulite, infrastrutture, acciaio e piccole medie imprese, e riflettono l’interesse delle società cinesi a investire in India e a contribuire all’iniziativa Make in India».
Avviata anche una una collaborazione nel settore cinematografico per far conoscere Bollywood in Cina. Tra gli accordi spicca quello siglato da Bharti Airtel (principale operatore telefonico indiano) con una banca cinese per una linea di credito di 2,5 miliardi di dollari per potenziare la rete internet in India e in altri 20 Paesi in Asia e Africa dove è presente.
Si parla già di diplomazia personale, tra Xi Jinping e Modi. Il presidente cinese Xi Jinping e il premier indiano Narendra Modi si sono incontrati la scorsa settimana a Xi’an, nota per i suoi guerrieri di terracotta nel nord della Cina. Secondo i media internazionali, i due sono considerati i leader più «forti» che i due Paesi abbiano prodotto negli ultimi decenni. «Il tentativo di costruire tra di loro una relazione personale solida – ha scritto Ansa – è stato sancito dalla visita di Xi Jinping nel Gujarat, la regione della quale è originario Modi (quattro mesi fa, nel corso del suo viaggio ufficiale in India) e confermato dalla presenza di Modi a Xian, patria della famiglia del leader cinese».
Quest’ultima è una scelta particolare: «originale» secondo i media cinesi, non abituati a veder ricevere importanti uomini politici, in una cornice differente da quella di Pechino.
Una bella gara a stupirsi. Anche perché – forse in risposta all’iscrizione di Modi a Weibo, il Twitter cinese ipercontrollato dalla censura locale – dopo l’esercito di terracotta, il giro turistico di Modi è proseguito al tempio buddista di Daxingshan, dove monaci indiani tradussero in cinesi alcune iscrizioni religiose e poi è stato infine protagonista di una cerimonia di benvenuto all’interno di una esibizione che riecheggiava la dinastia cinese Tang.
Modi e Xi hanno alcune cose in comune, una di queste è quella di essere considerati dei modernizzatori. Un appellativo che stenta a riconoscersi nella loro azione di governo. Sicuramente Xi Jinping si è presentato al mondo come un riformatore, ma nel suo primo biennio di governo ha ingaggiato una lotta senza tentennamenti nei confronti della libertà di espressione e della corruzione. Due facce della stessa medaglia, insieme alla volontà di gestire in modo energico il rallentamento economico cinese.
Quanto all’India, la Cina ha pensato a fondo ai propri interessi. I colllqui bilaterali, infatti, si sono concentrati prevalentemente sul business. Pechino è infatti il maggior partner economico di Nuova Delhi, con un volume degli scambi reciproci di 71 miliardi di dollari e un deficit del commercio indiano cresciuto in modo clamoroso nel giro di poco di un decennio, passando dal miliardo di dollari del 2004-2002 ai 38 del 2014. Sul tavolo, accordi commerciali per 22 miliardi di dollari. «Sono sicuro che la mia visita getterà le basi per un ulteriore miglioramento della cooperazione con la Cina in molti settori», ha twittato Modi.
Tutto bene? Quasi, perché non ultimo il terremoto in Nepal, con la cinica gara tra India (Modi è già stato due volte a Katmandu) e Cina per aiuti e interessato sostegno, ha reso evidenti le frizioni dei due paesi. Entrambi si considerano player geopolitici e la mossa di un paese non passa inosservato nell’altro.
L’India è entrata nella banca di investimenti cinesi, e questo è un segno di buon auspicio. Ma mentre la Cina arrangiava con il Pakistan un piano di 60 miliardi per arrivare fino a Gwadar, che gli indiani danno ormai per persa, Modi (oltre al Vietnam) si è avvicinato all’Iran. Il Wall Street Journal ha riportato che «La scorsa settimana l’India ha firmato un accordo con l’Iran per sviluppare un porto non lontano da un porto cinese costruito in Pakistan.
Nel suo viaggio, Modi sosterà anche in Mongolia e Corea del Sud, uno stretto alleato americano. «Modi ha una politica dura con la Cina, e la Cina l’ha notato» – ha detto Jayadeva Ranade, un esperto di Cina ed ex membro del National Security Advisory Board dell’India.
[Pubblicato in versione ridotta su East online; foto credit: scmp.com]