La Cina raccontata per immagini – Lijiang

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Cinque cose in breve su Lijiang:

– Dopo il terremoto del 1996, parte della città antica viene inserita nei siti patrimonio UNESCO dal 1997;
– L’antica Via del tè e dei cavalli, che collegava Yunnan e Tibet, passava anche per Lijiang;
– Patria della minoranza Naxi, una delle 56 minoranze etniche riconosciute dalla Repubblica Popolare Cinese;
– Il sistema di canali, che attraversa l’intero centro storico [e oltre], fornisce acqua a tutta la città;
– Alcune delle [ri]costruzioni interne della città riprendono strutture che appartengono non solo alla minoranza di casa, quella dei Naxi, ma hanno anche influenze successive di Han e Tibetani.

Puntate precedenti: Chongqing (I parte)Chongqing (II parte)Shenzhen, 

Chengdu (I parte), Chengdu (II parte), Kangding

Lijiang è un reticolo di canali e stradine ciottolose che si intersecano l’un l’altra come fosse un labirinto. La città vecchia è chiusa al traffico, più per motivi logistici [probabilmente] che altro: le strade sono così strette che, anche per l’autista più esperto, sarebbe impossibile addentrarsi. I tassisti lo sanno ed è per questo che se ne stanno tutti ad aspettare all’entrata sud o a quella nord. Le strade, in pietra, durante le stagioni di pioggia sono scivolose e andarsene in giro trascinando valigie o con zaini pesanti in spalla diventa un’impresa ardua. Per questo motivo i proprietari dei B&B forniscono sempre assistenza ai clienti: muniti di carretti vanno a recuperare i loro ospiti all’ingresso della città. Una bici con carrello di ferro un po’ arrugginito che, ad ogni strattone del proprietario, cigola come se volesse cedere. In caso di pioggia viene coperto con un telo per evitare che le valigie si bagnino. Agli ospiti, invece, vengono forniti k-way e ombrelli.

La città vecchia conta più turisti che gente del luogo e quando si lascia la via principale dello street food, si è immersi in una realtà che sembra lontana secoli: una parte di città vecchia rimasta immune allo scorrere del tempo [o così sembra]. Lontani dalle urla dei venditori, dai subwoofer fuori dai negozi con musica di dubbio gusto per attirare clienti e turisti muniti di reflex, l’unico suono percepito sono le stoviglie delle nonne sempre in cucina, risate di bambini, qualche pianto dei neonati e la sigla in sottofondo di una soap opera cinese. È qui, nelle strade secondarie, che si trovano i B&B. Non appena si gira l’angolo ci si ritrova immersi in un silenzio che ha un fascino particolare. Passando davanti all’ingresso tutti salutano piano, con un cenno del capo e della mano. Il venditore che due minuti prima urlava a squarciagola i prezzi del suo tè davanti all’ingresso della sua bettola, adesso se ne sta in silenzio a giocare con lo smartphone seduto sul divano nel giardino dell’albergo. Sta aspettando che il proprietario paghi il rifornimento di qualche kg di pregiato pǔ’ěr per poi rientrare al negozio e continuare le trattative con i suoi clienti.

Lijiang è famosa per lo scorrere incessante dell’acqua nei suoi canali. Un complesso e antico sistema idrico porta l’acqua da nord a sud, dalla montagna fino all’interno della città. Con la costruzione di piccoli bacini, laghetti e mulini, l’acqua scorre fin dentro ai cortili delle abitazioni. Ogni negozio è circondato da un mini fossato a fortificare l’ingresso, una roccaforte che può essere aggirata tramite pedane mobili che vengono posizionate al mattino e tolte la sera. Se dal centro città si risale il corso di qualsiasi canale ci si ritrova in un percorso di montagna che finisce al Parco dello Stagno del Drago Nero [Hēi lóngtán]. È da qui che, guardando verso nord, si vede il Padiglione delle Cinque Fenici [Wǔ fèng lóu] e, se si è fortunati, si può ammirare riflessa nello stagno la vetta delle Montagne Nevose del Parco di Giada [Yùlóng xuěshān] con i suoi 4680 m. Le escursioni in montagna, le passeggiate in collina e i paesaggi naturalistici rendono Lijiang perfetta per chi cerca un po’ di calma e tranquillità.

Il verde, infatti, è un’altra delle peculiarità di Lijiang. Le strade sono colorate da girasoli gialli, begonie rosa, bouganville viola e rampicanti sempreverdi. La sera, poi, mille luci si accendono per non perdere il senso di festa che la circonda. Le lanterne diventano rosso fuoco e nei locali del centro ci si ritrova per assaporare i liquori fatti con erbe e radici. Il nǎichá – famoso tè con latte – diventa di un sapore aspro a causa del latte di yak e l’aggiunta di tè nero consigliato dal proprietario. La cucina è saporita, a volte dolce con accenni più aspri e mai piccante. Le tortine al forno ripiene di petali di rose sono una specialità locale. Appena sfornate profumano di pane, decorate con qualche seme di sesamo nero e dentro, al primo morso, le rose sprigionano un odore dolce e delicato. È dolce anche la frittata: uova strapazzate con baccelli di rose fresche. Funghi essiccati croccanti, pesce e funghi, tofu con funghi trifolati, zuppa di funghi. Lijiang vanta un’eccellente varietà di funghi e non è raro, in un solo ristorante, riuscire a gustarne almeno dieci diverse specie.

Lijiang è il profumo del tè pǔ’ěr avvolto dai mandarini. È tutti i cinesi che hanno deciso, per amore o per passione, di vivere una Cina lontana dal caos di città. È una bellezza fatta di accoglienza e gentilezza che ti allarga il cuore. Dall’alto, che sia l’alba o il tramonto, è tetti che si accavallano e si rincorrono lungo le sponde del fiume Jinsha e finiscono a perdita d’occhio ai piedi delle bellissime Montagne Nevose del Parco di Giada fino alla Gola del salto della Tigre [Hǔtiào Xiá]. Lijiang, nonostante i periodi di forti piogge e il tipico cielo bianco nuvoloso, è sempre colorata. Di colori così intensi che accecano. È festa e balli attorno al fuoco acceso al tramonto, dopo cena. È la minoranza Naxi che canta e a cui non basta che tu stia lì a guardare, devi festeggiare insieme a loro.

Di Martina Bucolo*

*Laurea magistrale in relazioni internazionali e comunicazione interculturale all’università di Enna (Kore). Ha insegnato cinese ai bambini di una scuola dell’infanzia tramite un progetto in collaborazione con l’Istituto Confucio di Enna. Dopo la laurea si è trasferita in Cina, dove ha insegnato italiano ai cinesi, prima a Chongqing in una scuola elementare e poi a Chengdu alla Sichuan Normal University (dove è tutt’ora)