La Cina non solo potenza tecnologica, ma anche innovatrice

In Cina, Innovazione e Business by Redazione

Il tema dello sviluppo tecnologico nazionale è un tema che accompagna la Repubblica Popolare fin dalla propria fondazione. Con la fase di apertura e riforma iniziata dopo la morte di Mao Zedong, e in particolar modo dopo l’ingresso nel WTO del 2001, per la Cina l’acquisizione di competenze tecnologiche è stata una delle priorità guida della propria politica industriale di sviluppo.

Da quando Xi Jinping è diventato segretario generale del partito comunista cinese però, la rincorsa all’acquisizione e allo sviluppo tecnologico è diventata un elemento di primaria importanza per lo sviluppo economico del paese. Il paese ereditato da Xi era infatti riuscito a trasformarsi nella “fabbrica del mondo” e aveva migliorato le condizioni di vita di centinaia di milioni di cittadini, ma i limiti del modello di sviluppo avevano già iniziato a mostrarsi in tutta la loro gravità: grandi disparità sociali e territoriali, intenso inquinamento ambientale, ristrettezza dei consumi interni e un basso collocamento nella catena del valore aggiunte erano infatti alcuni dei tratti caratteristici del modello di sviluppo concentrato sull’export.

In questo contesto la dirigenza cinese ha avvertito la necessità di ripensare i fondamenti del proprio piano di sviluppo per garantire la continuità della crescita economica. Già nel 2014, infatti ,Xi Jinping iniziava a parlare di una “nuova normalità” per l’economia cinese, caratterizzata da tassi di crescita magari più bassi ma fondati su una produzione qualitativamente migliore piuttosto che quantitativamente maggiore. In poche parole, il nuovo modello di sviluppo cinese doveva garantire un “salto” nella catena globale del valore che permettesse a Pechino di aumentare la propria produttività (innalzando conseguentemente anche il livello dei salari) e abbandonare così le attività produttive a basso valore aggiunto e spesso pesantemente inquinanti.

La chiave individuata dalla dirigenza cinese, ovviamente, è stata la tecnologia. Nel 2015 infatti, Pechino ha lanciato il piano industriale conosciuto come “Made in China 2025” (MIC2025), il quale disegnava per Pechino una strategia da seguire per portare le aziende nazionali a primeggiare nella produzione di alcuni settori industriali tecnologicamente d’avanguardia. Ciò riguarda sia comparti maturi ormai ben strutturati e regolamentati come quello cruciale dei semiconduttori, sia i comparti legati alle nuove tecnologie emergenti come quello dell’intelligenza artificiale, o del internet delle cose (IoT) o dei motori elettrici.

Tuttavia, l’autosufficienza tecnologica da raggiungere attraverso la concentrazione della produzione di tecnologie innovative all’interno dei propri confini (come previsto da MIC2025) non è che il primo obiettivo della strategia industriale per lo sviluppo nazionale e la realizzazione del cosiddetto “sogno cinese”. Seguendo la classificazione proposta dall’ex ministro dell’industria e delle tecnologie informatiche Miao Wei, la Cina al momento è ancora in larga parte una potenza industriale di terzo rango e cioè un paese che fabbrica prodotti ideati altrove. MIC2025 dovrebbe permettere alle aziende cinesi di compiere il salto rendendo così Pechino una potenza industriale di secondo rango, ossia di quelle che progettano prodotti ad alto contenuto tecnologico le cui componenti però verranno fabbricate e assemblate in altri paesi.

Il primo rango però, quello delle potenze industriali non solo capaci di produrre tecnologia e innovazione ma anche di stabilire quale “strada” dovranno prendere le tecnologie emergenti fissandone le regole e gli standard di base che verranno presi di riferimento dagli altri attori del settore, rimarrebbe ancora fuori portata. Ad oggi, infatti, la Cina è il secondo paese al mondo in termini di diritti di licenza pagati per l’utilizzo di standard brevettati, una condizione che rispecchia da vicino il primato in termini di avanguardia tecnologica detenuto dalle aziende non cinesi.

Per permettere all’economia cinese di compiere quest’ultimo salto, i decisori di Pechino nel 2018 hanno iniziato a lavorare a un nuovo piano industriale, concatenato a MIC2025 ma diretto non tanto a spingere la Cina verso la cuspide della produzione tecnologica mondiale quanto piuttosto a rendere il paese una potenza in termini di innovazione tecnologica. Questa strategia chiamata “China Standards 2035” (CS2035) e lanciata l’anno scorso mira da un lato a rafforzare il processo di standardizzazione interno, e dall’altro a favorire l’internazionalizzazione degli standard tecnici e industriali cinesi nel mondo entro il 2035.

Come evidenziato allora durante l’inaugurazione della fase di studio della strategia, l’emergere di nuove tecnologie rappresenta un’importantissima occasione per la Cina: caratterizzate da una continua e rapida innovazione, le tecnologie emergenti non possiedono ancora un corpus definito di standard tecnici riconosciuti in tutto il mondo e ciò permette a Pechino di inserirsi nel processo di definizione di tali parametri e, in una certa misura, guidarli. Non a caso, come esempio dei comparti su cui si concentrerà l’attenzione di CS2035, i funzionari cinesi hanno indicato l’intelligenza artificiale, il 5G, i nuovi materiali e le tecnologie verdi: tutte comparti emergenti che traineranno la prossima “rivoluzione industriale” e i cui standard tecnici sono ancora in via di definizione.

Proprio in considerazione della centralità strategica che queste tecnologie rivestiranno nel panorama produttivo del futuro, Pechino punta ad avere una voce in capitolo al tavolo dove verrà deciso come queste dovranno funzionare. Come avvenuto per MIC2025 è verosimile che il partito mobiliterà le proprie risorse – finanziarie, politiche e industriali – per il raggiungimento degli obiettivi di posti da CS2035, mentre una parte consistente della strategia di ripresa economica post-Covid è già stata indirizzata verso investimenti nel settore delle tecnologie emergenti, come ad esempio le auto a motore elettrico. Sotto l’egida del partito e con la concessione di agevolazioni e finanziamenti pubblici, le aziende cinesi avranno perciò tutti gli incentivi per concentrarsi sulla ricerca e sviluppo di queste tecnologie emergenti e costruire una capacità d’innovazione che possa consegnare alla Cina il primato in questi comparti.

Oltre a sviluppare la capacità cinese di “produrre innovazione”, però, CS2035 si propone anche di internazionalizzare i frutti di questa capacità, rendendo perciò le specifiche tecniche degli avanzamenti tecnologici compiuti in Cina gli standard riconosciuti a livello globale. Ciò dovrebbe avvenire sia attraverso la diffusione delle tecnologie cinesi all’estero che attraverso l’adozione degli standard elaborati in Cina da parte di aziende di paesi terzi. A tal fine, Pechino conta di far leva sul peso acquisito all’interno degli organismi internazionali dediti alla standardizzazione come l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU) o l’Commissione elettrotecnica internazionale (IEC). Un altro canale attraverso cui disseminare gli standard cinesi è poi la Belt and Road Initiative, nel quadro della quale Pechino ha già firmato diversi accordi che mirano a far riconoscere gli standard elaborati in Cina anche in altri paesi.

La strada per Pechino è tutt’altro che in discesa. In primis perché, sul fronte interno, la situazione  non è ordinata. Come spesso accade in Cina, le disposizioni nazionali vengono spesso tradotte localmente dai funzionari di partito secondo le esigenze locali. Ciò, unito a un’ancora (volutamente) imperfetta opera di standardizzazione tecnico-industriale, ha determinato una sostanziale mancanza di uniformità nella definizione degli standard in Cina, per cui all’interno dello stesso paese esistono standard nazionali, regionali, settoriali e aziendali divergenti tra loro. Mettere ordine in questo scenario sarà tutt’altro che semplice.

Anche sul fronte internazionale non mancano gli ostacoli. Il processo di definizione internazionale degli standard è infatti improntato ai principi di apertura, decisione consensuale, leadership delle aziende e accettazione volontaria degli standard internazionali. In altre parole, è la competizione e l’interazione tra i diversi attori del settore che riconoscono e accettano consensualmente quali degli standard proposti costituiscano la “buona pratica” migliore per il mercato. CS2035 probabilmente aumenterà la quantità di contributi al dibattito sui migliori standard tecnici da parte delle aziende cinesi, ma il vero elemento per il successo sarà la qualità di questi contributi. In parole più semplici, per Pechino si tratterebbe di sviluppare più aziende come Huawei, la cui capacità innovativa ha permesso al colosso tecnologico di essere riconosciuto internazionalmente come uno dei leader nello sviluppo del 5G e dei relativi standard a livello globale.

Pechino è ben consapevole di tutto ciò, ma come sottolinea l’esperta Naomi Wilson le strategie industriali come CS2035 sono sempre concepite in parte come ambizione reale, in parte come ispirazione, e in parte come propaganda per l’opinione pubblica. Il valore di questo piano infatti sta nell’indicare al paese e agli attori interessati la direzione e il ritmo al quale il partito si aspetta che tutti si muovano pubblicamente, coniugando così l’aspetto tecnico-industriale e quello politico. Perché lo status di potenza tecnologica e innovatrice non è solo un obiettivo tecnico-scientifico ma anche, e soprattutto, un traguardo ideale e storico che Xi Jinping ha promesso alla  Cina.

Di Guido Alberto Casanova*

*Ricercatore specializzato sui rapporti tra Stato e società civile in Cina e nei paesi dell’Asia orientale. Ha conseguito un master in Asian Politics alla School of Oriental and African Studies di Londra, dove si è laureato con una tesi sul ruolo della competizione tecnologica nel conflitto commerciale tra Cina e Stati Uniti.

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