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La Cina annuncia ritorsioni immediate ai dazi di Trump

In Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Pechino ha annunciato un ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio, tasse aggiuntive del 34% su tutte le importazioni degli Stati uniti e una serie di altre misure. Tra queste, una nuova stretta sulle esportazioni di alcuni prodotti legati alle terre rare. Un salto di qualità che segnala che la Cina è pronta a combattere una guerra commerciale che avrebbe voluto evitare

L’escalation è servita. La Cina non porge l’altra guancia di fronte ai dazi di Donald Trump e risponde a tono, mostrandosi pronta a una guerra commerciale che sperava di non dover combattere. In netto anticipo sui tempi previsti, ieri il governo cinese ha annunciato un ampio e variegato pacchetto di ritorsioni contro quella che ha definito “pratica di bullismo unilaterale” che mette a repentaglio la globalizzazione e il libero commercio. Ed ecco allora l’atteso ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio, che nel trilaterale dello scorso fine settimana con Giappone e Corea del sud ha proposto di riformare per rafforzarne il ruolo. Ma, soprattutto, ecco i dazi del 34% sulle importazioni di tutti i prodotti degli Stati uniti. È un salto di qualità importante: usare la stessa percentuale imposta il giorno prima di Trump è già una dichiarazione di intenti, con cui la Cina mostra di essere pronta a seguire la Casa bianca nell’eventuale escalation.

Soprattutto, è la prima volta che Pechino colpisce a tappeto tutti i prodotti americani, così come ha sempre fatto Trump con i prodotti cinesi. Nei due precedenti round di febbraio e marzo, il gigante asiatico si era invece limitato a contromisure mirate contro settori specifici come petrolio, gas e agroalimentare. Non è finita qui. L’autorità doganale cinese ha sospeso l’autorizzazione a sei aziende statunitensi per esportare nella Repubblica popolare, mentre altre 11 imprese sono state aggiunte alla lista delle “entità inaffidabili”, rischiando sanzioni e blocchi agli scambi. Il ministero del Commercio ha inoltre avviato un’indagine anti-dumping sui tubi medicali americani, mentre l’autorità di regolamentazione del mercato ha predisposto un’inchiesta anti monopolio contro DuPont, gigante dei prodotti chimici. Si tratta di uno dei settori di punta dell’export statunitense in Cina, insieme all’agroalimentare.

Nonostante il calo degli ultimi anni, quello cinese è il principale mercato per i prodotti agricoli statunitensi, per un valore di 29,25 miliardi di dollari nel 2024. Ora Pechino è destinata ad aumentare le importazioni da partner alternativi come il Brasile, soprattutto per quanto riguarda la soia. In ballo c’è un interscambio totale di 688,3 miliardi di dollari. Escludendo i blocchi dei Paesi ASEAN e dell’Unione europea, nel 2024 gli Stati uniti sono stati il primo partner commerciale della Cina, che mantiene peraltro un surplus commerciale record di 361,1 miliardi con Washington.

Tradotto: Pechino ha parecchio da perdere. Ma, in caso di scontro totale, ha anche carte importanti da giocarsi. Oltre alla possibile svalutazione della moneta, va tenuta in considerazione la possibilità della vendita di titoli del tesoro degli Stati uniti, di cui la Cina è il secondo detentore al mondo, alle spalle del solo Giappone. E poi c’è un’altra leva strategica, quella delle terre rare e delle risorse minerarie. Ieri, Pechino ha vietato l’esportazione di alcuni prodotti collegati, in particolare quelli passibili a un duplice uso. Tra questi il gadolinio, utilizzato in ambito sanitario per le risonanze magnetiche, e l’ittrio, fondamentale per diversi settori dell’elettronica di consumo.

Non è la prima volta. Negli scorsi mesi erano stati introdotti controlli aggiuntivi alle spedizioni di prodotti legati ad antimonio, gallio, germanio e grafite. Tutte risorse utili a settori cruciali dell’industria tecnologica verde come energia solare, batterie agli ioni di litio, veicoli elettrici e turbine eoliche, ma anche alla produzione di chip avanzati e munizioni. L’entità della stretta sarà modulata a seconda dell’andamento degli eventuali negoziati commerciali con la Casa bianca, di cui però sin qui non si scorgono ancora le fattezze. D’altronde, nei giorni precedenti i media di stato cinesi lo avevano detto: “Cedere a Trump significa essere bullizzati ancora di più”. Pechino ha scelto di mostrarsi forte. Non sarà l’ultimo capitolo.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]