Zhang Yimou e Wang Xiaoshuai a confronto. Attraverso i loro ultimi lavori, due tra i maggiori registi cinesi contemporanei si sono avvicinati ai difficili e drammatici anni della Rivoluzione culturale, segnando nuovi percorsi nel complesso e controverso rapporto tra il cinema d’autore cinese e l’ultima rivoluzione maoista.
Già dai primi anni Cinquanta, con l’instaurarsi del potere comunista, le case di produzione cinematografiche cinesi andarono incontro alla nazionalizzazione, che segnò la fine del cinema di intrattenimento a favore di quello di propaganda. La tendenza non poté che essere accentuata durante la Rivoluzione culturale: uno degli ambienti da cui prese forma la lotta politica tra fazioni fu proprio quello della cultura, dove operava Jiang Qing, moglie del Presidente Mao e tra le figure guida dell’impeto rivoluzionario.
L’estetica socialista fu applicata senza eccezioni al cinema, soppiantando in maniera totale ogni forma di creatività artistica e di cinema indipendente. La censura, le sedute di autocritica e le campagne di rettificazione delinearono così un’atmosfera di rigore ideologico e di omologazione culturale pressoché totalizzanti.
A distanza di più di tre decenni dall’inizio delle politiche di apertura, il rapporto tra cinema e Rivoluzione culturale resta contraddittorio: come osservato in un articolo da Maria Barbieri, tra i maggiori esperti italiani di cinema cinese, “in Cina la Rivoluzione culturale è considerata ancora un tema molto delicato, quasi un non-soggetto, e nonostante siano numerosi i film che hanno toccato l’argomento, qualunque rappresentazione del periodo è stata soggetta a pesanti ingerenze censoriali”
Questo perché il cinema indipendente cinese si è impegnato dall’inizio delle riforme di Deng Xiaoping in un’opera di recupero della memoria storica, figlia delle ferite sofferte dal cinema, dalla gente comune e dalle famiglie stesse dei registi. Dai primi registi impegnati in questo filone (Yang Yanjin, Huang Zumu, Wu Tianming, Xie Jin…), ai lavori più recenti (su tutti Tian Zhuangzhuang con Blue Kite del 1993, Chen Kaige con Farewell My Concubine del 1993 e Wang Bing con He Fengming del 2007 e The Ditch del 2010), il rapporto dei registi cinesi con la Rivoluzione culturale ha presupposto una funzione storico-culturale, di denuncia della sofferenza generata e nascosta dal Partito.
Negli ultimi due anni la Rivoluzione culturale è tornata a ispirare due dei più importanti registi contemporanei cinesi, Wang Xiaoshuai (Beijing Bicycle, Shanghai Dreams) e Zhang Yimou (Sorgo rosso, Lanterne rosse, Hero). La dodicesima edizione di Asiaticafilmmediale Festival ha accolto a Roma Wang Xiaoshuai, il cui ultimo lavoro –11 Flowers (Wo shiyi, 2011)- ha ottenuto il premio del pubblico come migliore film.
Durante la rassegna è stato poi proiettato il delicato e commovente Under the Hawthorn Tree (Shanzha shu zhi lian, 2010), penultima fatica di Zhang Yimou (non distribuita nelle sale italiane).
A colpire è il distacco che entrambi i film hanno assunto dalla drammaticità degli eventi della Rivoluzione culturale, che appare come uno sfondo per il racconto di due storie d’amore, per quanto ben distinte nella natura e negli intenti.
Le conseguenze del clima politico influiscono nelle vite dei protagonisti, lasciando però emergere come anche in un periodo oscuro della storia cinese potessero trovare piena espressione dei valori positivi, a turno nell’educazione familiare e nella purezza di un amore giovanile. Una spensieratezza che ha il solo precedente illustre nel film di Jiang Wen In the Heat of the Sun (1994)
In un certo senso il valore dei due film è quello di avere superato il coinvolgimento emotivo dettato da un senso di rivalsa verso gli eccessi del maoismo; nell’avere reso un periodo storico alla propria complessità, emancipandolo da etichette negative assolute, rappresentandolo con una sensibilità profondamente umana e offrendone in ultima analisi una rappresentazione meno ideologizzata, più obiettiva e –soprattutto- strettamente legata all’esperienza umana.
La constatazione assume tanto più valore se si tengono presenti i riferimenti alla realtà che vantano i due film, dal momento che 11 Flowers è una storia autobiografica che rievoca alcuni momenti dell’infanzia di Wang Xiaoshuai e Under the Hawthorn Tree è ispirato da una storia vera.
Le convergenze si esauriscono però in questo presupposto. Wang Xiaoshuai, giunto a Roma per la presentazione del suo film ad Asiaticafilmmediale, ha ribadito a più riprese le grandi difficoltà incontrate dal cinema indipendente cinese per via dello sviluppo senza precedenti del cinema commerciale in Cina, in grado di sovrapporsi e persino oltrepassare per gravità le limitazioni imposte dalla censura governativa.
Pur non facendo riferimenti espliciti a Zhang Yimou, Wang ha puntato il dito contro un certo cinema che da alcuni anni si piega alle esigenze del mercato e delle case di produzione, un fenomeno di cui le ultime produzioni di Zhang Yimou sono state l’esempio più esplicito e in cui rientra a tutti gli effetti anche Under the Hawthorn Tree.
Con questo film Zhang Yimou si è lasciato alle spalle un certo tipo di cinema fatto di effetti speciali e poderosi mezzi tecnici –stile che ha contraddistinto le sue ultime produzioni- per ritornare a un cinema d’autore intimista, dedito a dipingere con grande sensibilità la storia d’amore e di purezza tra i due giovani protagonisti Lao San e Jing Qiu.
Nonostante ciò, il tessuto narrativo si è mosso entro binari ben familiari a un pubblico di appassionati di un certo tipo di serie televisive sud coreane, di gran moda oggi in Cina, tracciando una storia d’amore incredibilmente innocente, dapprima sfiorata, quindi segnata da difficoltà che ne impediscono la piena realizzazione e infine spenta da un drammatico e coinvolgente finale in grado di commuovere la platea di gran parte del pubblico di Asiaticafilmmediale.
Per questi motivi il film non ha avuto una grande ricezione negli ambienti cinematografici, né tra il pubblico colto cinese; lo stesso Wang Xiaoshuai non ha negato a telecamere spente di non avere apprezzato il film, trovandolo poco genuino e troppo artificioso.
11 Flowers è un film che parte da intenti diversi e che ha avuto una gestazione lunghissima: il regista aveva intenzione da anni di girare un film sulla sua infanzia, scontrandosi però con un problemi di finanziamenti e di censura (anche oggi il film ha ricevuto finanziamenti solo dalla Francia ed è stato realizzato solo grazie a investimenti fatti da Wang in prima persona).
La dimensione storica è tutt’altro che assente, poiché il regista ha voluto raccontare lo spostamento forzato –per paura dei bombardamenti sovietici- della popolazione dalle principali città cinesi alla Cina interna, un fatto avvenuto negli anni della Rivoluzione culturale e non ancora riconosciuto ufficialmente dalle autorità cinesi.
Tuttavia il film rimane incentrato sul passaggio dall’infanzia all’età adulta dell’undicenne Wang Han, attraverso i valori tradizionali cinesi –come la cultura dell’educazione fisica- l’educazione alle arti –data dal padre pittore- o la spensierata amicizia di strada condivisa con i compagni di scuola.
Il risultato auspicato è da ricercare nel racconto di un’epoca attraverso una storia di singoli, intrisa di nostalgia non solo in quanto rievocazione autobiografica ma anche per la delicata celebrazione di valori che l’avvento della società di mercato e dei consumi avrebbe ben presto messo in discussione.
A uscirne parzialmente “riabilitato” è –paradossalmente- proprio un periodo storico fosco della storia cinese: nonostante i due film non esitino a mettere a nudo l’oppressione ideologica e i drammatici soprusi che avvennero durante la Rivoluzione culturale, lasciano emergere la genuinità del vivere di un’epoca in cui non era ancora possibile intravedere le contraddizioni sociali che la demaoizzazione, l’occidentalizzazione e l’apertura dell’economia avrebbero portato in Cina.