Il neo-segretario di Stato americano John Kerry, si è recato in visita a Pechino per incontrare la nuova leadership e dimostrare la volontà di Washington di cooperare il più possibile, soprattutto sulla Corea, con Pechino. Che, intanto, cerca di non accumulare ulteriori svantaggi nei confronti degli Usa. Dai a John (Kerry) per togliere a Hillary (Clinton). La visita del nuovo segretario di Stato Usa in Cina, nel bel mezzo della crisi coreana e della nuova emergenza aviaria, è commentata dai media cinesi positivamente e c’è chi si sbilancia addirittura fino ad affermare che si è aperta una nuova stagione dei rapporti sino-statunitensi.
Hillary Clinton, che ha preceduto Kerry nel ruolo, non è mai piaciuta alla Cina, diciamocelo. Troppo assertiva su alcuni “valori” che Washington giudica “universali”, troppo identificata con l’offensiva diplomatica in Asia-Pacifico dell’amministrazione Obama, troppo protagonista (probabilmente nell’intenzione di prepararsi il terreno per la futura ricandidatura alla presidenza) per lo stile diplomatico sottotono che piace ai cinesi.
Kerry, con il suo sorriso da simpatico ragazzone americano, ha invece gettato le premesse per una nuova stagione di rapporti più “morbidi” tra le due superpotenze. O almeno così la vedono i maggiori media cinesi.
Il Global Times, per esempio, riporta le parole dell’analista Han Lei, secondo cui “dopo che Kerry ha assunto il ruolo di segretario di Stato, la strategia [Usa] di ristrutturare gli equilibri di potere in Asia non è cambiata. Ma invece di ostacolare lo sviluppo della Cina, il cardine della strategia degli Stati Uniti consisterà nel rafforzare la cooperazione con Pechino per raggiungere una situazione win-win” (formula magica della diplomazia cinese per indicare qualsiasi rapporto bilaterale in cui entrambi i partner ci guadagnano). Si noti, in queste parole, l’implicita critica alla precedente gestione della politica estera Usa.
China Daily, dal canto suo, riporta le parole di un altro analista, George Koo, secondo cui “Kerry ha manifestato la volontà di abbandonare o almeno de-enfatizzare la strategia Usa di ‘pivot to Asia’ intesa come manovra per contrastare gli interessi della Cina”. Pivot to Asia, ricordiamolo, è la formula con cui si identifica la politica estera inaugurata da Obama, in base alla quale l’area che va dal Medioriente al Pacifico diventa il nuovo fulcro dell’interesse statunitense.
“Non è possibile costruire relazioni positive in un clima di reciproca diffidenza – ha aggiunto Koo – La sfida più grande per il Segretario di Stato Kerry è di passare da una situazione di contrapposizione a una di collaborazione reciproca sulle molte questioni di interesse comune, e di non permettere che le differenze si traducano in esplicito attrito”.
Da “frenemies” a friends, dunque. Almeno così pare. Ma China Daily ricorda anche che siamo solo alle premesse di un rinnovato rapporto; e alle belle parole. Ora, contano i fatti. Che cosa è scaturito dunque dalla tappa cinese di Kerry (che ha poi concluso il suo viaggio in Giappone)?
Sul tema incombente, il consigliere di Stato cinese Yang Jiechi ha detto a China Daily che Pechino si è impegnata a “far avanzare il processo di denuclearizzazione della penisola coreana” e che “lavorerà con le parti interessate, compresi gli Stati Uniti, per svolgere un ruolo costruttivo”. Attenzione: su questo punto anche Kerry si è dichiarato disponibile ad aperture verso Pyongyang in caso rinunci al nucleare. È difficile che il regime nordcoreano faccia una piega, ma per la prima volta Cina e Usa sembrano concordi sulla linea della denuclearizzazione della penisola.
C’è stata poi una dichiarazione congiunta sul cambiamento climatico e Kerry ha annunciato che i due Paesi istituiranno un gruppo di lavoro sull’emergenza ambientale nel quadro del “dialogo economico-strategico Cina-Usa”, la cui quinta sessione si terrà negli Stati Uniti a luglio.
La Cina ha poi promosso “un dialogo sereno e obiettivo sul cyberspazio”, secondo le parole del ministro degli Esteri Wang Yi. Ricordiamo che negli ultimi mesi Pechino e Washington si sono accusate reciprocamente di massicci attacchi di hacker a segreti d’impresa e agenzie governative.
Da ultimo, una vera e propria fissazione cinese, riportata da Global Times. Il neopremier Li Keqiang ha auspicato che “da parte degli Stati Uniti si intraprendano azioni sostanziali per revocare il divieto di esportazione di prodotti high-tech in Cina”. Una frase che rivela tutta la sete di tecnologie avanzate del Dragone, alle prese con la ciclopica trasformazione della propria economia. Sul piano diplomatico, è un possibile strumento in mano a Washington per costruire relazioni davvero “win-win”.
[Scritto per Lettera43; foto credits: csmonitor.com ]