Israele e Myanmar insieme per riscrivere la storia

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Israele e Myanmar potranno supervisionare e modificare i contenuti dei rispettivi libri di scuola. L’accordo suscita il timore che le violenze subite dai palestinesi e dai rohingya possano essere rimosse. E riaccende la polemica sulla cooperazione anche militare tra i due Stati.


Israele e Myanmar potranno d’ora in avanti supervisionare e, se necessario, modificare i contenuti dei rispettivi libri di testo scolastici, avendo l’ultima parola su cosa e come la storia dell’uno viene raccontata nei manuali di storia dell’altro. Le due parti hanno raggiunto l’accordo la scorsa settimana, firmando un documento bilaterale di cooperazione nel settore dell’istruzione.

La vice ministra agli esteri israeliana Tzipi Hotovely ha pubblicizzato la firma dell’accordo su Twitter, pubblicando una foto accompagnata dal messaggio una foto accompagnata dal messaggio «Accordo sull’istruzione con il Myanmar, portando avanti la cooperazione con i nostri amici nel mondo».

L’intesa tra Israele e Myanmar, promossa da Tel Aviv con l’obiettivo di insegnare in Myanmar “l’olocausto e le conseguenze negative di intolleranza, razzismo, antisemitismo e xenofobia” senza evidenziare la clausola censoria sottoscritta da entrambe le parti, ha riacceso le polemiche internazionali circa la vicinanza manifesta di due governi accusati di crimini contro palestinesi e rohingya, entrambe comunità a maggioranza musulmana.

Il governo birmano, responsabile di pogrom contro la comunità rohingya fuggita in massa dallo Stato Rakhine, è accusato dalle Nazioni Unite di pulizia etnica; Israele, non più di alcune settimane fa, ha represso nel sangue l’anniversario della Nakba, sparando su manifestanti e presunti attivisti palestinesi disarmati — secondo Tel Aviv vicini ad Hamas e uccidendo più di 100 persone. Il timore è che questi fatti storici, in virtù dell’accordo, saranno sistematicamente epurati dai capitoli dedicati alle rispettive storie nei libri di testo adottati in Israele e in Myanmar.

Penny Green, professoressa di legge e globalizzazione presso la Queen Mary University di Londra, ha dichiarato a Middle East Eye: «È chiaro che Israele veda il Myanmar come un amico. Entrambi condividono la medesima visione esclusionista del mondo. Entrambi hanno portato avanti crimini di Stato di massa contro chi hanno identificato come “non-cittadini”. Entrambi applicano sistemi di apartheid, discriminazione strutturale e brutalità di Stato senza limiti. È assolutamente prevedibile che ora inizieranno a portare avanti un programma condiviso di negazione dei crimini nei rispettivi ambiti d’istruzione».

La dichiarazione di vicinanza e amicizia tra Israele e Myanmar arriva a poco più di sei mesi da un’altra polemica che aveva coinvolto lo Stato mediorientale e i suoi rapporti con la giovanissima democrazia del sudestasiatico.
Lo scorso mese di ottobre, quando la tragedia del popolo rohingya e le responsabilità dell’esercito birmano nella mattanza già occupavano ampiamente l’agenda dell’informazione internazionale e degli organi transnazionali a tutela dei diritti umani, è riaffiorata sulla stampa una foto pubblicata dalla pagina Facebook della marina birmana in cui si dava il benvenuto a due motovedette armate di mitragliatrici di fabbricazione israeliana.

Attivisti per i diritti umani in Israele e nel resto del mondo hanno accusato lo Stato ebraico di aver continuato in segreto a vendere armamenti alla giunta militare sia prima che durante la repressione dei rohingya, approfittando dell’embargo di materiale bellico applicato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea verso il Myanmar.

Le motovedette, secondo quanto riportato da The Independent, si aggiungono alla vendita di almeno 100 mezzi corazzati, motovedette e armi leggere portata a termine dall’industria bellica israeliana in Myanmar. Nell’agosto del 2017, poco prima dell’inizio delle attività militaricontro i rohingya, una compagnia israeliana attiva nella sicurezza e nella difesa aveva postato delle foto in cui personale israeliano era immortalato mentre addestrava uomini dell’esercito birmano proprio nello Stato Rakhine.

Lo scorso mese di novembre, citando stralci di un rapporto riservato, il magazine francese Intelligence Online informava che, dopo aver negato ufficialmente di aver venduto armi o armamenti al Myanmar, «il ministero della difesa israeliana ha discretamente ma significativamente deciso di bloccare le licenze di esportazione di materiale bellico verso il Myanmar».

L’avvocato Eitay Mack, da anni impegnato in battaglie legali contro le aziende che vendono armi a regimi che violano i diritti umani, commentando lo scoop di Intelligence Online sul Times of Israel, ha ricordato come già in passato Israele avesse sospeso la vendita di «armamenti specifici», senza però «tagliare fuori completamente chi viola i diritti umani dal proprio mercato bellico». «Questa sarebbe la prima volta — ha chiosato Mack — e voglio dire che spero sia vero».

di Matteo Miavaldi

[Scritto su Eastwest]