Lo scorso ottobre il giornalista cinese Yao Haiying manda un messaggio on line sul popolare forum di tianya.cn, nel quale scrive: «aiuto, a causa di un articolo che ho scritto sono stato convocato dal tribunale di Wuhan». Mai post fu più importante: la notizia fa il giro della rete, con tutti i dettagli del caso, se ne occupa anche il giornale per il quale il reporter lavora, se ne parla on line e alla fine tutto rientra. Se non fosse stato per il coraggio di Yao, forse gli sarebbe andata peggio. Una settimana dopo l’annuncio, tutto risolto, pericolo rientrato. Ma che paura.
Anche perché i fatti si incastrano nel vivace dibattito in Cina circa la libertà di informazione: quasi un mese fa a Pechino la Xinhua, l’agenzia governativa, ha organizzato un simposio mondiale per discutere dei media, argomento decisamente delicato da queste parti. Chi pensava, infatti, che dopo le celebrazioni del sessantesimo anniversario della repubblica popolare, l’attenzione spasmodica alla comunicazione da parte del governo di Pechino si sarebbe attenuata, è rimasto deluso. La nuova moda, nonché kit di sopravvivenza per molti mestieri, è comprarsi un proxy e superare una volta per tutte le barriere della censura cinese. 5 dollari al mese: poco per un occidentale, meno agevole per un cinese. Ad oggi senza proxy non funzionano youtube, facebook, twitter, un’infinità di piattaforme di blog e server, nonché molte delle applicazioni di Google (su tutte la ricerca immagini e la sezione Documenti). Addirittura, dopo il summit mondiale e le parole di Hu Jintao, presidente cinese, sull’importanza di una informazione libera e attenta, alcuni quotidiani cinesi hanno pubblicato articoli secondo i quali il governo starebbe studiando nuove strategie di chiusura della rete. Lo scorso anno, con il filtro anti porno, la Green Dam Youth Escort, gli andò male: chissà cosa bolle in pentola adesso.
La vicenda di Yao è emblematica perché racchiude in sé molte delle caratteristiche anomale del mondo dell’informazione in Cina: il reporter scrive un articolo di inchiesta sul giornale Changjiang Times. Il pezzo mette a nudo alcuni scandali di corruzione, concentrandosi in particolare sul caso di un ingegnere multato, attraverso un titolo ad effetto: «divulgati segreti aziendali, ingegnere multato 800 mila yuan». Uno dei tanti casi di corruzione delle autorità locali cinesi. Yao però non sa di avere calpestato i piedi a qualcuno di molto importante. Il capo della procura della città di Wuhan (contea Jiang’an nella provincia dell’Hubei), Zhang Zhenguo, ad esempio, è molto scosso dalle rilevazione. Approfitta del suo ruolo e convoca il giornalista in procura. Quando succede una cosa del genere, di solito per i giornalisti si mette male.
Yao denuncia anche messaggi e reiterate minacce: «ovunque sei, scrive il capo della procura di Wuhan, ti troverò». Ma ormai il reporter ha fatto partire la sua personale campagna, che scroscia sui quotidiani locali, densi di particolari sulla «convocazione illegale» e l’evidente abuso di potere del procuratore. Fino a che sono le autorità centrali ad intervenire: pubblico cazziatone al signore Zhang e per Yao l’apparente ritorno ad una vita da cronista d’assalto.
Negli ultimi anni, come riportato dal quotidiano Xinjingbao lo scorso 30 ottobre, «le ripetute critiche dei media al sistema dei diritti civili, hanno fatto si che gli articoli riguardanti casi di giornalisti che subiscono pressioni o atti di vendetta siano aumentati, portando anche a una loro strumentalizzazione». Molti i casi casi di diffamazione, di ricatto, o casi in cui sono state attuate misure coatte a scapito di giornalisti. Anche perché alcuni ufficiali o quadri di partito sembra che ritengano migliori le azioni personali attraverso le minacce, sfruttando la propria posizione, piuttosto che normali denunce che finirebbero poi per essere sottoposte al giudizio dell’opinione pubblica. Per questo, continua l’editoriale del quotidiano, «è necessario consolidare il diritto dei giornalisti a svolgere il loro lavoro, dare loro garanzie, e allo stesso tempo, sempre in base a delle leggi apposite, prevedere le pene per quei quadri o uffici pubblici che attaccano le azioni di controllo dell’opinione pubblica (ovvero i giornalisti ndr)». Altrimenti, è la conclusione laconica del giornale, casi di pestaggi o di arresto a scapito di giornalisti continueranno a succedere. La vicenda ha scosso il mondo dei media locali: a riprova di questo l’Associazione dei Giornalisti Cinesi ha avanzato la proposta per un disegno di legge, che andrebbe ad implementare la legislazione vigente sulla libertà di espressione, aumentando le garanzie per chi scrive e riporta notizie di un certo spessore nazionale. Allo scorso Congresso Nazionale del Popolo, però, nella delibera sulle responsabilità in merito alle violazioni dei diritti, la legge sui reati in materia di notizie non è stata modificata, né tanto meno è stata presa in considerazione la proposta dell’Associazione dei giornalisti cinesi.
Domenica 15 Novembre China-Files pubblicherà, come inserto domenicale, la traduzione di un articolo di una rivista cinese, Nanfangzhoumo, sul tema della libertà di stampa, a seguito di denunce di giornalisti, del recente simposio mondiale sui media di Pechino e delle decisioni in tema di libertà di espressione decise dai governanti cinesi.
[Pubblicato su Liberazione il 13 novembre 2009]