Cosa c’è dietro al caso Aseem Trivedi, vignettista satirico indiano incarcerato per sedizione e liberato dopo quattro giorni. Una resa alle forze dell’ordine sospetta, un attivista senza scrupoli e la costruzione di un nuovo partito politico sulle ceneri di India Against Corruption.
Aseem Trivedi, 25 anni, è un vignettista satirico originario dell’Uttar Pradesh. A 20 anni inizia a collaborare con alcuni giornali locali finché, nel 2010, si trasferisce a New Delhi per dare una svolta alla propria carriera.
Con l’arrivo del movimento anticorruzione di Anna Hazare sulla scena politica nazionale, Trivedi si appassiona alle battaglie del Team Anna ed inizia a disegnare vignette satiriche molto critiche nei confronti della classe politica, attaccando i simboli del potere e dello Stato.
I leoni del Pilastro di Ashoka – simbolo dell’impero di Ashoka il Grande (terzo secolo a.C.) e oggi uno degli emblemi della Federazione Indiana – sulle tavole di Trivedi diventano tre lupi famelici che campeggiano sopra la targa “La corruzione trionfa sempre”, revisione del motto originale “La verità trionfa sempre”.
In un’altra vignetta una donna avvolta in un sari coi colori della bandiera indiana è immobilizzata da due uomini, un politico ed un burocrate, mentre una bestia antropomorfa, la corruzione, si prepara ad abusare sessualmente di Mother India.
Queste ed altre vignette – il parlamento indiano disegnato come un cesso fumante, Manmohan Singh avvolto dalle ragnatele nella sua passività politica – vengono raccolte sul sito Cartoons Against Corruption e presto diventano oggetto di culto tra le folle di manifestanti al cospetto di Anna Hazare.
I disegni vengono stampati su cartelloni e mostrati sin dal 2011 in molti sit-in del movimento India Against Corruption (IAC). Trivedi, allora ventiquattrenne, diventa una celebrità: il padre racconta ai media che al ritorno del figlio nella cittadina natale del distretto di Unnao, la folla lo accoglie come un eroe.
Nel dicembre 2011, all’apice della popolarità del Team Anna, un avvocato di Mumbai denuncia il vignettista. Trivedi viene accusato di sedizione e divulgazione di messaggi offensivi secondo l’Information Technology Act e la legge per la Prevenzione di Insulti all’Onore Nazionale.
La satira pungente del vignettista ufficiale di Anna Hazare colpisce nel segno, irritando i politici della maggioranza di governo – specie dell’Indian National Congress (INC) – e presto la mannaia della censura colpisce il sito web di Trivedi, che viene oscurato.
Aseem Trivedi si tiene alla larga dalla giurisdizione della polizia di Mumbai per quasi un anno, fino a quando lo scorso 8 settembre decide di consegnarsi alle autorità della capitale del Maharashtra.
Finisce dietro le sbarre, custodia cautelare, e quando si rifiuta di pagare la cauzione di 5mila rupie (poco meno di 80 euro) per tornare in libertà – “Se dire la verità è sedizione, allora sono colpevole di sedizione” scrive dal carcere di Arthur Hill – da vignettista anti corruzione diventa martire. Un martire di 25 anni, capello lungo nero, occhiali, votato alla causa di Annaji.
Trivedi non rinuncia a paragonarsi ai grandi martiri del passato. La legge contro la sedizione, applicabile contro chiunque “divulghi o provi a divulgare odio e disprezzo, inciti o provi ad incitare ostilità”, è un retaggio dell’occupazione britannica, un reato utilizzato dal Raj per imprigionare e ridurre al silenzio i freedom fighter dell’Indipendenza indiana, Mahatma Gandhi compreso.
“Il consenso non può essere fabbricato o regolato per legge” disse Gandhi quando fu accusato di sedizione, mentre il primo ministro Jawaharlal Nehru, nel 1951, davanti al parlamento indiano giudicò la legge “altamente riprovevole ed odiosa, prima ce ne libereremo meglio sarà”.
Nonostante i pareri dei due illustri padri della patria, in India la legge è tuttora in vigore e viene spesso utilizzata per reprimere manifestazioni popolari non gradite, far tacere intellettuali e scrittori e rinchiudere in carcere presunti fiancheggiatori dei maoisti indiani.
La lotta contro alla sedizione è diventato il nuovo fronte del fu Team Anna, movimento ormai smembrato dai dissidi interni e da tempo relegato nel dimenticatoio.
Il caso Trivedi è stato abilmente manipolato da Arvind Kejriwal, sicuramente l’esponente più combattivo all’interno di IAC, tanto che in seguito all’ultima debacle di Anna Hazare – uno sciopero della fame portato avanti davanti a poche centinaia di aficionados – si rincorsero le voci di un’imminente formazione di un nuovo partito politico, evoluzione naturale del movimento anti corruzione indiano.
Tra i promotori di questa linea si trova proprio Kejriwal, lasciato però solo dal resto del direttivo del Team Anna, deciso a mantenere il movimento un’entità apolitica e trasversale.
Per questo è quantomeno sospetta la resa di Trivedi, molto vicino a Kejriwal, a diversi mesi di distanza dalle accuse di sedizione, seguita a stretto giro dalle dichiarazioni alla stampa di Kejriwal stesso, unico nel Team Anna a visitare in carcere il martire del movimento.
La cronologia degli eventi lascia ben poco all’immaginazione. L’8 settembre Trivedi si consegna alle forze dell’ordine; il giorno dopo Kejriwal, a nome di India Against Corruption, annuncia un sondaggio nazionale per tastare gli animi circa la fondazione di un nuovo partito; il 10 settembre Kejriwal si schiera apertamente dalla parte di Trivedi, facendogli visita in carcere, mentre alcuni attivisti esortano Anna Hazare – l’icona del movimento anti corruzione, l’uomo immagine indispensabile per avviare una campagna politica e mediatica di successo – a prendere le distanze da Arvind Kejriwal e riprendere le redini di un’IAC apolitico.
In seguito all’ondata di critiche piovute sull’amministrazione Singh per il caso Trivedi, la Corte di Mumbai revoca la custodia cautelare per il vignettista, che torna in libertà il 12 settembre, dopo quattro giorni di prigionia.
Davanti ai microfoni delle tv nazionali Trivedi si lancia contro la legge e si dichiara determinato a continuare la battaglia per la libertà nel nome dei freedom fighter dell’Indipendenza indiana. “Non è la mia battaglia, ma la battaglia di ogni indiano” dice ai giornalisti che lo aspettano ai cancelli del carcere di Arthur Hill assieme ad una folla di attivisti in festa.
Il 25enne alza le mani al cielo e fa il suo discorso davanti al suo pubblico. E’ un’icona.
Intanto Arvind Kejriwal raggiunge Kudankulam, località del sud dell’India dove da un anno centinaia di attivisti protestano per bloccare la vicina centrale nucleare. Una settimana fa uno di loro è stato ucciso dalla polizia e molti sono stati arrestati con l’accusa di sedizione.
L’occhio di bue dell’informazione nazionale segue il tour indiano di Kejriwal. Vignettisti, attivisti anti corruzione, manifestanti anti nucleare: sono tutti comprimari. C’è un nuovo partito da fondare.
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