India – Mayawati, l’imperatrice dei dalit

In by Simone

La storia di Mayawati, primo ministro dell’Uttar Pradesh, che dalla povertà del suo villaggio è riuscita a diventare una delle donne più potenti al mondo. Politica, corruzione e culto della personalità per una leader controversa e preda delle sue enormi manie di grandezza.
Oggi iniziano le elezioni locali in Uttar Pradesh (UP), stato dell’India settentrionale, e chiamarle locali è davvero un eufemismo.
L’UP è lo stato più popoloso della federazione indiana: intorno ai 200 milioni di abitanti, che se fosse una nazione indipendente sarebbe la quinta al mondo, per popolazione.

Più che nazione però è il caso di parlare di impero, non tanto per particolare fasti architettonici o per un predominio economico o culturale – l’UP è anche lo stato più povero dell’India, con un’analfabetizzazione del 30% e condizioni di vita spesso peggiori di quelle sub-sahariane – ma in quanto governato, o meglio regnato, da una chief minister con le manie da imperatore. Mayawati Kumari.

La storia di Mayawati – usa solo il nome proprio o, in alternativa, il nomignolo behenji, onorevole sorella – è una favola di riscatto sociale divisa a metà, tra il miracolo dell’ascesa e il rovinoso impatto con il potere.

Padre dalit (senza casta, intoccabile) impiegato alle poste, madre analfabeta e otto tra fratelli e sorelle, Mayawati, nata a Delhi nel 1956, è una ragazza decisa a fare le cose in grande, ad allontanarsi da un vortice di povertà e discriminazione che, solo qualche decennio prima, per una donna dalit sarebbe stato inevitabile.

Studia incessantemente e, grazie alle quote riservate per gli studenti dalit nel sistema dell’educazione indiana, arriva ad ottenere una laurea breve in arte e un’abilitazione all’insegnamento scolastico.
Faceva la maestra quando, raccontano le agiografie, arriva nel suo villaggio in Uttar Pradesh Kanshi Ram, politico ed attivista per i diritti dei dalit. “Farò di te una grande leader” le dice Kanshi Ram. Era il 1977.

Diventa la pupilla del leader dalit e nel 1989 viene eletta nel parlamento dell’UP tra le fila del Bahujan Samaj Party, fondato dallo stesso Ram solo cinque anni prima. Un partito pensato e creato per rappresentare i dalit, la maggioranza nello stato, nelle stanze del potere dell’Uttar Pradesh.

Inizia ufficialmente la carriera politica di Mayawati nella guerriglia delle coalizioni politiche in Uttar Pradesh, governato da enormi connivenze tra gli eletti alle urne e i potenti dell’imprenditoria, spesso entrambi bramini, il gradino più alto di un sistema castale ufficialmente smantellato dalla Costituzione ma che ancora oggi influisce abbondantemente sulla società indiana, specie in zone rurali ed analfabetizzate come i villaggi dell’UP.

Lontano dagli sforzi di modernità del potere centrale di Delhi, nelle periferie della federazione indiana la legge si piega alle tradizioni secolari dei rapporti castali. Questo il campo di battaglia di Mayawati, l‘outsider per eccellenza, che nel 1995, a 39 anni, diventa per la prima volta chief minister in UP, la più giovane di sempre a ricoprire tale carica e – contestualmente – la prima dalit alla guida di uno stato indiano.

Il primo ministro Rao all’epoca descrisse la vittoria di Mayawati come “un miracolo della democrazia”, peccando però di perizia lessicale.
Il miracolo, per definizione, è una grazia sacra che arriva dal cielo, e l’ascesa dell’eroina dei senza casta, che in quasi vent’anni è stata eletta primo ministro quattro volte, è stata invece una lotta tutta terrena, combattuta facendosi sedurre dai vizi più prosaici e materiali che l’agone politico indiano possa offrire.

Raggiunto il potere grazie al voto compatto delle centinaia di migliaia di dalit pronti ad esercitare il proprio voto per mandare nel palazzo “una di loro”, per poterlo mantenere Mayawati ha capito di non potersi affidare esclusivamente alla benevolenza degli ultimi. Era necessario scendere a patti col nemico, l’élite imprenditoriale bramina, minoranza alle urne ma amministratrice della ricchezza nello stato dei poveri, ed assicurarsi anche il favore religioso dei musulmani, che oggi in UP, in termini di aventi diritto di voto, vengono stimati attorno al 16%.

La distribuzione delle poltrone venne preparata accuratamente a tavolino nel 2007, assicurando ai bramini ed ai rappresentanti dell’Islam indiano quasi la metà dei seggi disponibili, lasciando il resto alla base senza casta del partito.

Mossa vincente. Gli slogan del tempo invitavano tutti a “cavalcare l’elefante”, simbolo del partito di Mayawati, ed alle urne il Bahujan Samaj Party ottenne la maggioranza assoluta grazie al voto bramino e musulmano. Il patto di ferro voluto da Behenji ha retto per cinque anni, permettendo alla quarta volta chief minister di levarsi i costosi sfizi delle sue manie di grandezza.

A discapito della propaganda sugli aiuti statali per i più deboli, il divario tra ricchi e poveri in UP è continuato ad allargarsi, mentre per volere dell’imperatrice Mayawati iniziarono a sorgere in tutto lo stato parchi commemorativi per gli eroi del movimento pro dalit, con tanto di statue erette in onore del primo ministro in carica: elefanti, immagini del defunto Kanshi Ram e della stessa Mayawati.

Durante un sontuoso comizio di Mayawati, alla chief minister fu regalata un’enorme ghirlanda di rupie del valore stimato intorno ai 1800 euro. Spesa complessiva del culto della personalità? Approssimativamente 500 milioni di euro.

L’operazione non è piaciuta a molti, che hanno gridato allo sperpero di denaro pubblico, ma Mayawati ha respinto le accuse al mittente. “In tutti questi anni nessuno ha dato credito ai leader del movimento dalit, ora lo facciamo noi”.
Per evitare spiacevoli atti di vandalismo dei simboli del potere, è stato istituito un corpo speciale di polizia per sorvegliare le grandi opere artistiche dell’epoca Mayawati.

Alle prese con una ricchezza impensabile per una ragazza dalit di villaggio, Mayawati ha deciso di non farsi mancare nulla. Gira spesso in elicottero e si dice abbia addirittura comprato l’intero quartiere dove risiede, lasciando le case attorno alla sua magione appositamente sfitte. Mayawati non ama il baccano.

Grazie a Wikileaks si scoprono episodi di aerei privati spediti a Mumbai per comprare dei sandali ed altre particolarità di una donna potente, accentratrice e paranoica. Sembra infatti che, nella migliore tradizione imperiale della fobia di avvelenamento da cibo, nello staff di Mayawati siano presenti degli assaggiatori ufficiali.

L’agenzia delle entrate in passato ha provato a fare i conti in tasca a Behenji, che vanta un patrimonio di milioni di dollari e svariate proprietà immobiliari di lusso. Nonostante Mayawati paghi puntualmente le imposte dovute, risultando tra i primi 20 contribuenti del Paese, la CBI (FBI indiana) sostiene che la moltiplicazione degli zeri nel conto della presidente del Bahujan Samaj Party sia dovuta a loschi traffici e giri di corruzione. Secondo il partito sarebbe invece tutto dovuto alla beneficenza spontanea degli elettori, che hanno subissato la loro eroina di migliaia di piccole donazioni in denaro.

Al netto dell’improbabile quanto straordinaria gratitudine della base elettorale, le frequentazioni di Mayawati rimangono sospette.
Si è molto vociferato di casi di corruzione tra i ministri della maggioranza in UP – prontamente fatti fuori dal gabinetto di governo in vista delle elezioni – e soprattutto del rapporto di amicizia tra Mayawati e Gurdeep Singh Chadha, detto Ponty, il re degli alcolici dell’Uttar Pradesh.

Le autorità da mesi indagano sul signor Chadha per evasione fiscale e la scorsa settimana, in un centro commerciale in UP di proprietà di Ponty, sono state trovate mazzette in rupie per un valore di 19 milioni di euro.
Ponty, che potrebbe presto avere problemi legali per questo tesoretto negato al fisco, deve molta della sua fortuna proprio a Mayawati, che nel 2008 liberalizzò la produzione statale di canna da zucchero svendendola proprio al signor Chadha per un decimo del valore di mercato.

Nonostante le stramberie della leader dalit siano ampiamente di dominio pubblico, Mayawati gode ancora di un consenso sterminato tra la massa illetterata dell’Uttar Pradesh. Ai suoi comizi, dove arriva trionfalmente in elicottero, le migliaia di supporter urlano a squarciagola "lunga vita a Behenji". Sono poveri e molti analfabeti, ma evidentemente la discesa dal cielo di "una di loro" è un sogno fattosi realtà che offusca l’inadempienza del loro partito alle promesse di riscossa sociale.

Le previsioni pre-elettorali danno il suo partito in leggerissima flessione, ma la riconferma di Mayawati e del Bahujan Samaj Party è data quasi per scontata.
Salvo sorprese, il tramonto dell”era Mayawati, imperatrice dei dalit, è ancora lontano all’orizzonte.

[Foto credit: niveditadash.wordpress.com]