La tradizione misogina dell’India ha profonde radici culturali induiste. Dopo il terribile stupro di Delhi, se alcuni danno l’impressione di aver iniziato un esame di coscienza, i conservatori continuano ad incolpare donne emancipate, immigrati e costumi occidentali. Ecco i maschilisti della destra indiana.
Pare che alla fine di dicembre il mondo abbia scoperto l’India degli stupri. Si affiancherà – chissà per quanto, prima del solito oblio – all’India dell’hi-tech, all’India potenza economica, all’India de “L’elefante e il dragone”, all’India degli incensi e degli hippie, all’India della spiritualità.
Improvvisamente, con la morte della 23enne di Nuova Delhi brutalizzata e stuprata da cinque uomini, sui giornali indiani sono iniziate a fioccare notizie di stupri in tutto il Paese, alacremente riprese dall’informazione internazionale. Il risveglio della società civile indiana, scesa in piazza a difesa dei diritti delle donne come mai nella Storia, è stato purtroppo dirottato dalle opposizioni parlamentari ed extra parlamentari.
Il Bharatiya Janata Party (Bjp), partito conservatore hindu, e soprattutto il neonato Aam Aadmi Party (Aap), il “partito dell’uomo comune” fondato dall’ex leader di India Against Corruption Arvind Kejriwal, hanno strumentalizzato l’evento per tentare una nuova spallata al governo targato Indian National Congress, formazione politica di centrosinistra guidata da Sonia Gandhi, “l’italiana” vedova del primo ministro Rajiv Gandhi.
Se gli studenti, i primi a scendere in piazza, spingevano per una revisione totale della tradizione misogina indiana, la politica è riuscita a spostare il dibattito sulle misure di sicurezza inefficienti della capitale, governata dal Congress. Per Bjp e Aap la piaga degli stupri in India è un problema di polizia.
La cultura di segregazione tipica dell’ortodossia hindu, dove gli stadi evolutivi della donna prevedono esclusivamente le tappe di figlia, moglie, madre e nonna, senza un ruolo autonomo né sociale né – soprattutto – economico, non è assolutamente messa in discussione dall’establishment politico attuale. Anzi, più passa il tempo da quel tragico 16 dicembre, più i politici di destra rivendicano la genuinità dell’impianto tradizionalista hindu, a detta loro esempio di cultura che rispetta le donne.
Ma pensare che il conservatorismo dei costumi e dei rapporti tra sessi sia un tratto distintivo esclusivo delle destre indiane sarebbe un errore. La condizione della donna è un problema trasversale alla società e alla politica dell’India, ma se il Congress per lo meno dà l’impressione di aver iniziato un percorso di autoanalisi, le frange estremiste di destra che manovrano il Bjp stanno uscendo di nuovo allo scoperto, contrapponendo alla virtuosa tradizione indiana il deteriorarsi dei costumi dovuto alle influenze occidentali.
Mohan Bhagwat, leader dell’organizzazione oltranzista hindu Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), sostiene che gli stupri avvengano in “India”, il nome utilizzato dagli invasori musulmani e britannici, e non in “Bharat”, la dicitura autoctona di derivazione sanscrita. “Bharat”, per Bhagwat, è sinonimo dell’India che resiste all’avanzata dell’occidente, ai jeans e alle minigonne, ai locali notturni e alle spalle scoperte in pubblico. Per la Rss, il problema dello stupro è un problema di vestiario e coprifuoco notturno.
Raj Thackeray, "figlio d’arte", capo del Shiv sena (“esercito di Shiva”) di impostazione parafascista, che non nasconde esplicite tendenze al nazismo, ha evidenziato la comune origine dei cinque aggressori, tutti provenienti dallo stato settentrionale del Bihar, uno dei più poveri del Paese.
Per il Shiv sena il problema dello stupro è un problema di razza, uno dei motivi che legittima i suoi militanti a controllare le strade di Mumbai (Bombay) e difendere le radici marathi della megalopoli, l’unico popolo hindu che riuscì a tener testa all’avanzata dell’impero musulmano Mogul.
Lo fa tramite centinaia di migliaia “bravi ragazzi” che pattugliano la città mescolando una struttura mafiosa a metodi da terroristi xenofobi, con attacchi fisici a musulmani, bihari, indiani del sud, comunisti e progressisti.
Kailash Vijayvargiya, ministro del Madhya Pradesh del Bjp, ha tirato in mezzo la morale del Ramayana, poema epico che per gli induisti equivale a una scrittura sacra.
Sita, moglie del re divino Rama, lasciata in un eremo nella foresta mentre il marito e il fratello Lakshmana inseguivano un cervo, aveva ricevuto dagli uomini di famiglia istruzioni ben precise: se non avesse mai oltrepassato la linea tracciata sul terreno da Lakshmana, sarebbe stata al sicuro fino al loro ritorno. Sita non ubbidì, e venne rapita dal demone Ravana.
Il pio Vijayvargya, mantenendo fede alla tradizione induista che vuole Sita come donna e moglie ideale, una donna oggetto campionessa di obbedienza e subordinazione al marito, ha ammonito tutte le donne dell’India dall’oltrepassare la “linea di Lakshmana”, che là fuori i Ravana sono in perenne agguato. Per il Bjp il problema degli stupri è, anche, un problema di pudore.
Ad aggiungere assurdità all’assurdità, vale la pena ricordare un episodio della storia recente. Il 6 dicembre 1992, dopo un’estenuante campagna populista portata avanti dal Bjp, una folla di estremisti hindu ha raso al suolo la moschea di Ayodhya, sostenendo che, sempre secondo il Ramayana, fosse stata costruita sopra al luogo di nascita di Rama.
Un’illuminazione arrivata quasi 500 anni dopo la realizzazione della moschea, voluta dall’imperatore Babar della dinastia Mogul. L’attacco alla moschea non solo causò 2000 morti negli scontri tra musulmani ed hindu in tutto il Paese – 900 nella sola Mumbai del Shiv Sena – ma, secondo gli osservatori, tocco l’apice della brutalità interreligiosa e delle violenze di massa mai verificatesi in India.
A Surat, Gujarat, uomini appartenenti alle sigle dell’hindutva – il concetto di supremazia hindu caro alla destra indiana – come Rss e Vishva Hindu Parishad (Vhp) furono responsabili di una serie di stupri di massa, prendendo di mira le donne musulmane del luogo.
Era il 10 dicembre 1992 e, secondo le testimonianze delle sopravvissute, la violenza degli estremisti voleva vendicare le donne hindu stuprate dai musulmani durante la Partizione del 1947. In quell’occasione nessuno dalla costellazione dell’estremismo hindu parlò di linee di Lakshmana.
La destra indiana descrive il problema degli stupri come un problema di sicurezza, di razza, di pudore, di vestiario e coprifuoco notturno. E troppo indaffarata a cercare soluzioni, si dimentica di esserne una delle cause.
[Scritto per Left; foto credit: newshopper.sulekha.com]