India – Jangalmahal, il regno della giungla

In by Simone

In oltre 30 anni di sequestri – e più 1500 persone catturate solo negli ultimi 4 anni – è la prima volta che i maoisti prendono in ostaggio stranieri. Il rapimento di Bosusco e Colangelo non è un atto a difesa dei diritti dei tribali, ma l’espressione di una guerra interna al Pc indiano maoista, illegale dal 2009.
Lo stato dell’Orissa, affacciato sulla Baia del Bengala, è una una delle mete più quotate del turismo indiano. A centinaia di migliaia ogni anno visitano il Sun Temple di Konarak e il Jagannath Temple di Puri, importanti mete di pellegrinaggio per i devoti hindu.

Ma alcuni, alla ricerca di un’esperienza turistica più stimolante, decidono di spingersi lontano dalla costa animata da surfisti e comitive di viaggi organizzati, inoltrandosi nell’entroterra abitato dagli adivasi, le popolazioni tribali originarie del subcontinente indiano che da secoli conducono un’esistenza modesta basata su agricoltura estensiva ed artigianato locale.

La Orissa Adventurous Trekking, l’agenzia di viaggio rivelatasi sprovvista dei permessi necessari all’attività che da 15 anni Paolo Bosusco (54 anni) gestisce con un partner d’affari indiano, è una delle tante a proporre pacchetti personalizzati per un soggiorno “autentico” nelle terre dei tribali. Claudio Colangelo (61 anni), medico della provincia di Roma, è uno dei tanti turisti stregati dal fascino della società adivasi.

Fino a 20 giorni fa la gita nella giungla di Bosusco e Colangelo rientrava nella norma delle attrazioni turistiche dello stato. Anche se il governo locale nega, sapendo di mentire: per la polizia dell’Orissa l’entroterra è la zona più insicura dello stato. Un’area off-limits per i turisti e, spesso, per le stesse forze dell’ordine.

La giungla è terra di tribali e di naxaliti, i maoisti indiani, solitamente innocui per i viaggiatori stranieri, sempre tollerati e trattati con riguardo durante le loro scorribande turistico-antropologiche. Ma il 14 marzo un commando di guerriglieri cattura i due italiani: evento più unico che raro.

Presentato come un atto di forza a difesa della popolazione tribale, degradata ad attrazione turistica dei “safari umani” organizzati per curiosi villeggianti occidentali e “trattata come un branco di scimmie”, la cattura di Bosusco e Colangelo appare invece come una mossa all’interno della lotta per la leadership della guerriglia naxalita.

Una partita aperta da almeno quattro mesi che vede Sabyasachi Panda, leader dei naxaliti dell’Odisha State Organising Committee e segretario del Partito comunista indiano maoista in Orissa, contrapporsi alle fazioni più estremiste che operano negli stati dell’Andhra Pradesh e del Chhattisgarh.

In palio, il comando della guerriglia maoista in tutto il “corridoio rosso”, la regione ad alta influenza naxalita che abbraccia oltre 60 distretti della Federazione indiana, dalle colline del Jharkhand ad est alla zona meridionale dell’Andhra Pradesh ad ovest.

Il movimento dei naxaliti, attivo da oltre 40 anni in India e indicato dal premier indiano Manmohan Singh come “la più grande minaccia interna alla sicurezza del Paese”, si batte per la difesa dei contadini e delle popolazioni tribali dalla “minaccia capitalista”: espropri di terreni venduti alle multinazionali, sfruttamento delle risorse idriche e boschive, turismo di massa, difesa delle tradizioni degli adivasi, le popolazioni autoctone tribali del subcontinente indiano.

30 anni di lotta clandestina

Dopo quasi trent’anni di lotta clandestina, nel 2004 i Naxaliti – da Naxalbari, il nome del villaggio del Bengala Occidentale dove nacque l’insurrezione rivoluzionaria nel 1967 – confluiscono nel Partito comunista indiano maoista, abbreviato Cpi (Maoist).

Abbracciando la causa politica comunista, continuano le azioni di guerriglia nelle campagne, sequestri, attentati ed estorsioni ai danni di funzionari locali del governo indiano.

Un’escalation di violenze che preoccupa il governo centrale di Delhi, incapace di rispondere efficacemente all’avanzata maoista nelle campagne del corridoio rosso.

Le cose cambiano nel 2009, quando l’attuale governo in carica dichiara “illegale” il Cpi (Maoist), che diventa ufficialmente un’organizzazione terroristica clandestina.  È  l’inizio di quella che la stampa chiamerà Operazione Green Hunt.

Si apre l’epoca degli Special police officers (Spo), organizzazioni paramilitari sguinzagliate nelle zone rurali del “corridoio rosso” per stanare i maoisti indiani con metodi poco ortodossi e ben oltre i confini della legge. Villaggi bruciati, stupri, esecuzioni sommarie, arruolamento coatto dei giovani tribali.

Un modus operandi mutuato dalle frange più estremiste dei Naxaliti che in sei anni raggiunge due risultati: la dichiarazione di illegalità delle Spo da parte della Corte suprema indiana – per sistematiche violazioni dei diritti umani – ed il decisivo indebolimento delle truppe rivoluzionarie naxalite.

L’elenco delle defezioni e delle morti tra i ranghi più alti dei guerriglieri maoisti rende l’idea della campagna lanciata contro di loro: nel luglio del 2010 Cherukuri Rajkumar – detto Azad – portavoce del Cpi (Maoist), 40 anni di guerriglia maoista alle spalle, viene ucciso in un blitz della polizia dell’Andhra Pradesh.

Nel marzo 2011 tocca a Sasadhar Mahalo, braccio destro del capo della guerriglia Kishanji: muore in uno scontro a fuoco con le Joint Security Forces del Bengala Occidentale.

Ancora: a maggio 2011 è il turno di Guna Kesaba Rao – 20 anni nella guerriglia, molto vicino a Sabyanachi Panda e complice dei più sanguinosi attentati naxaliti in Orissa degli ultimi anni -, consegnarsi alle forze dell’ordine dell’Andhra Pradesh.

Diventa collaboratore di giustizia in cambio del ritorno ad una “vita normale”, ma dopo pochi giorni viene prelevato dalla polizia dell’Orissa e rispedito in carcere in attesa di un altro processo. Attualmente sta conducendo uno sciopero della fame per protestare contro le “false accuse” del governo.

Novembre 2011: Mallojula Koteshvar Rao – detto Kishanji – comandante in capo della guerriglia naxalita, nel movimento da 30 anni, viene braccato nella giungla del Bengala Occidentale e ucciso dalle forze speciali vicino al confine con lo stato del Jharkhand.

E infine: dicembre 2011. Suchitra Mahalo, vedova di Sasadhar Mahalo e personalità femminile di spicco nella lotta naxalita, si consegna alla polizia del Bengala Occidentale.

Era scampata dal blitz in cui rimase ucciso Kishanji. Rimane alcuni mesi nelle mani dell’intelligence indiana e il 9 marzo, durante una conferenza stampa congiunta col primo ministro del Bengala Occidentale Mamata Banerjee, rinnega la lotta armata.

Se le forze armate dei naxaliti stanno perdendo i pezzi, il direttivo politico del Cpi (Maoist) versa ugualmente in una condizione disastrosa. Dal 2007 ad oggi la polizia indiana ha catturato o ucciso 6 dei 14 membri del Politburo maoista, sferrando una serie di durissimi colpo al Partito illegale che in questi mesi sta attraversando la peggiore crisi della sua storia.

Jangalmahal, ovvero il regno della giungla

I superstiti del Comitato centrale del Cpi (Maoisti) decidono di convocare una riunione straordinaria nel dicembre del 2011. Nella foresta di Gothsila, in Jharkhand, si presentano Prasanta “Kishanda” Bose – 72 anni, leader dei naxaliti di Bihar e Jharkhand, membro storico del Partito – e il segretario del Partito del Bengala Occidentale Asim “Akash” Mandal, accompagnati dal fratello dell’appena defunto Kishanji.

Decidono di affidare a Sabyasachi Panda il compito di riorganizzare e guidare il Jangalmahal, letteralmente “il regno della giungla”, in gergo rivoluzionario l’insieme dei nuclei insurrezionisti delle zone rurali ad influenza naxalita.

Di fatto è un’investitura ufficiale per la carica di comandante della guerriglia. Panda deve prendere il posto di Kishanji. La scelta di affidare al gruppo di Panda la guida della lotta armata non soddisfa però le frange più oltranziste del movimento, che controllano la guerriglia in Chhattisgarh e in Andhra Pradesh.

Panda è ritenuto un moderato e si vocifera sia in trattativa col governo di Bhubaneswar, capitale dell’Orissa, per una resa imminente. La famiglia di Panda da due generazioni milita nel partito di governo in Orissa, il Biju Janata Dal guidato dall’attuale chief minister dello stato Naveen Patnaik.

Panda capisce di dover dare un segnale politico forte. Fugare ogni dubbio dimostrando di essere all’altezza di Kishanji, leader molto più sanguinario e carismatico.

Il rapimento e la solitudine del comandante Panda

È  in questo contesto che, il 14 marzo, un commando guidato dallo stesso Panda cattura Paolo Bosusco e Claudio Colangelo nell’entroterra tribale dell’Orissa.

La portata dell’evento è dirompente. Secondo i dati ufficiali del Ministero degli Interni indiano, negli ultimi quattro anni i maoisti indiani hanno sequestrato 1554 persone, 328 delle quali sono state uccise durante le trattative.

Ma la cattura dei due italiani rappresenta un unicum nella storia dei Naxaliti: Panda è il primo guerrigliero ad aver coinvolto dei cittadini non indiani nel braccio di ferro quarantennale tra Stato e maoisti. Prima di lui nessuno straniero era mai stato fatto prigioniero per la causa rivoluzionaria.

L’eccezionalità del sequestro ottiene l’effetto mediatico desiderato: se prima d’ora i sequestri dei Naxaliti erano generalmente questioni da cronaca locale, ora la storia dei due italiani prigionieri in Orissa rimbalza sulle prime pagine di tutte le testate. Si muovono le troupe dei telegiornali nazionali, si organizzano dibattiti televisivi.

Le gesta di Panda diventano una questione nazionale

Con la gravità del crimine aumenta anche la pressione esercitata sulle autorità. In assenza di una procedura standard per affrontare il rapimento di due stranieri, il governo locale dell’Orissa e quello centrale di Delhi vengono colti completamente impreparati, scadendo in un deprimente balletto di accuse e controaccuse per determinare chi avesse l’autorità per trattare coi rapitori, su aiuti dal governo centrale non offerti, o non richiesti, a seconda delle versioni.

Nel frattempo Panda calca la mano ed impone le sue condizioni: per la liberazione degli ostaggi le autorità devono soddisfare una serie di richieste, elencate in 13 punti, tra cui spiccano la liberazione di tutti i maoisti e tribali “ingiustamente detenuti dal governo”, il ritorno alla legalità del Partito comunista indiano maoista e provvedimenti penali contro gli agenti di polizia accusati di violenze ai danni della popolazione tribale.

I ripetuti appelli per il rilascio degli ostaggi “come gesto umanitario” rimangono inascoltati. Panda sembra avere la situazione in pugno, ma al momento della nomina dei mediatori della parte maoista qualcosa comincia ad incrinarsi.

Secondo fonti vicine al movimento intervistate dall‘Indian Express, i nomi degli interlocutori proposti per avviare le trattative – tre detenuti maoisti, cassati immediatamente dalle autorità dell’Orissa – non sarebbero stati caldeggiati da ambienti rivoluzionari né dallo stesso Panda, pur impegnato in un dialogo serrato con le autorità.

Evidentemente le fazioni del movimento non erano riuscite a raggiungere un consenso e avevano deciso di “scaricare” il leader maoista dell’Orissa, piuttosto che mostrarsi unite in una trattativa che interessava il destino di tutto il Partito.

Il 22 marzo, nonostante il cessate il fuoco dichiarato dal governo dell’Orissa per agevolare le trattative, un gruppo di maoisti uccide un ispettore di polizia in pieno giorno, in un mercato del distretto di Malkangiri. Tre giorni dopo viene sequestrato un giovane parlamentare dell’Orissa, Jhina Hikaka.

Panda se ne tira subito fuori, spiegando di non essere responsabile dei due attacchi messi in atto in Orissa, il “suo territorio”, ma il governo di Bhubaneswar decide di sospendere le trattative, interpretando la violazione del cessate il fuoco come prova della mancanza di sincerità dei Naxaliti.

L’assassinio del poliziotto e il sequestro del parlamentare, secondo la stampa indiana, sarebbero opera dell’Andhra Odisha Border Zonal Committee (Aobzc), un nucleo rivoluzionario attivo lungo il confine tra Andhra Pradesh ed Orissa e che non vedrebbe di buon occhio la leadership di Panda nella regione.

Inoltre, secondo un funzionario locale interpellato dal magazine Outlook India, l’Aobzc sarebbe molto vicino ai gruppi maoisti radicali dello stato del Chhattisgarh e dell’Andhra Pradesh. Sarebbe arrivato proprio dai due stati confinanti con l’Orissa l’ordine di violare la tregua con le autorità e, di fatto, sabotare le trattative per la liberazione di Bosusco e Colangelo. Minare la credibilità di Panda.

Alla luce di questi fatti la liberazione di Colangelo, provato dal sequestro ma non malato di malaria – come sostenuto dalla stampa internazionale nei giorni scorsi – assume i connotati di un gesto di buona fede da parte di Panda.

Una dichiarazione di intenti che il governo dell’Orissa ha recepito chiaramente, lasciando sperare in un lieto fine per la sorte di Paolo Bosusco, nelle mani dei rapitori da oltre 20 giorni.

Le trattative sono infatti riprese lunedì 26 marzo con nuove condizioni. Solo due richieste: liberare cinque leader maoisti – inclusa la moglie di Panda, Mimi – e processare gli agenti di polizia accusati di stupro, omicidio e violenze contro la popolazione tribale dello stato.

Sabyasachi Panda, che voleva confermarsi l’uomo forte della rinascita maoista, è stato lasciato solo, accerchiato dalla polizia in Orissa e da fazioni maoiste nemiche.

Il lasciapassare per uscire da questa situazione di stallo si chiama Paolo Bosusco, 56 anni, da tre settimane nascosto nella giungla dell’Orissa. Merce di scambio pregiata, nelle trame politiche della giungla dell’Orissa.

[Scritto per Linkiesta]