India – Il parlamento compie 60 anni

In by Simone

La politica indiana festeggia 60 anni di attività parlamentare, simbolo della democrazia più grande del mondo. Ma dopo l’euforia dei primi anni, la macchina legislativa indiana è costantemente inceppata. Ecco come funziona e perché, da alcuni anni, fa fatica a rimettersi in moto.
Domenica la politica indiana ha festeggiato 60 anni di attività parlamentare.
Durante la sessione speciale, le più alte cariche politiche indiane hanno pronunciato discorsi celebrativi di un’istituzione che simboleggia la democrazia e che l’India rivendica con grande orgoglio.

Il primo ministro Manmohan Singh ha parlato di fronte ai delegati della Rajya Sabha, la camera alta del parlamento indiano, ricordando i principi guida che dovrebbero muovere i rappresentanti.

In qualità di Camera degli Anziani, siamo chiamati a riflettere e guidare la nostra nazione, con pazienza e sobrietà, lungo le questioni e le sfide del nostro paese”.

Secondo Singh “non c’è dubbio che una delle ragioni della crescita dell’India a livello internazionale sia il costante impegno nel perseguire la via della democrazia per raggiungere la nostra salvezza sociale ed economica”.

La centralità della democrazia indiana è stata esaltata anche dalla presidentessa Prathiba Patil, dichiarando che “la sfida per la nostra democrazia è quella di continuare ad essere vibrante ma in salute. E’ necessario perciò continuare il nostro cammino con attenzione e con determinazione”.

Con l’indipendenza del 1947, la redazione della costituzione e le prime elezioni del 1951, ci vollero sei anni perché i primi membri delparlamento potessero tenere la loro prima sessione dei lavori. Era il 13 maggio 1952.

Gli osservatori internazionali dell’epoca dubitavano che una nazione dal territorio così esteso e con una popolazione così eterogenea potesse sopravvivere a lungo con un sistema decisionale democratico.

Ma pur con tutti gli enormi limiti del caso, il parlamento indiano è arrivato a 60 anni segnando profondamente non solo la storia legislativa dell’Unione indiana, ma anche l’immaginario collettivo del suo popolo, decisamente orgoglioso del proprio carattere democratico e profondamente coinvolto nelle questioni politiche del paese.

Antonio Armellini, ex ambasciatore italiano a Delhi, nel suo libro L’elefante ha messo le ali (Università Bocconi Editore, ottobre 2008) sintetizza efficacemente la deriva dell’istituzione parlamentare indiana.

Passato l’entusiasmo dei primi anni dell’indipendenza, il ruolo di controllo delle assemblee si è andato riducendo in maniera vistosa: l’attività parlamentare è diventata ostaggio di polemiche spesso stridenti, accentuate dall’arrivo in forze sulla scena dei partiti regionali, indifferenti – ancor più di quelli tradizionali – ai grandi temi dell’interesse nazionale e legati a una visione localistica e clientelare della politica”.

L’analisi di Armellini trova conferma nelle sessioni parlamentari recenti, come quella per il budget dello scorso febbraio: nelle aule del parlamento indiano spesso regna incontrastato il caos più totale, trasformando l’espressione massima della democrazia in una chiassosa serie di litigi verbali – e non solo – che costringe quasi sempre lo speaker (il presidente delle camera, secondo la tradizione britannica) a sospendere i lavori, risultando in un’inattività legislativa decisamente dannosa.

In quest’ottica, la mozione votata domenica all’unanimità da entrambe le camere per “confermare e difendere la dignità del parlamento” suona come una dichiarazione d’intenti vagamente ruffiana. Un’identica mozione era stata infatti approvata proprio 10 anni fa, e i risultati non si sono visti.

Il parlamento indiano è formato da due camere, la Lok Sabha – assemblea del popolo, in sanscrito – e la Rajya Sabha – assemblea degli stati.

I deputati della Lok Sabha sono eletti direttamente dai cittadini durante le elezioni, che si tengono ogni cinque anni. Può arrivare ad un massimo di 552 membri – oggi ce ne sono 545 – e tutti i cittadini indiani maggiori di 25 anni possono correre per essere eletti.

Sono previste delle quote riservate per delegati provenienti dalle caste più basse e per i fuoricasta (scheduled castes) o dalle comunità tribali (scheduled tribes).

La Lok Sabha, secondo la costituzione indiana, è l’unica camera a poter sfiduciare l’esecutivo ed è sostanzialmente l’assemblea che vota il budget annuale dell’Unione, presentato dal ministro delle Finanze. La Rajya Sabha ha il compito di ratificarlo dopo l’ok della Lok Sabha e al massimo rimandarlo indietro con delle riserve non vincolanti.

L’assemblea del popolo si riunisce tre volte all’anno in tre sessioni: la sessione del budget (tra febbraio e maggio), la sessione dei monsoni (tra luglio e settembre) e la sessione invernale (tra novembre e dicembre).

A questo proposito, Armellini scrive: “Il parlamento dovrebbe essere in sessione in media cento giorni all’anno ma di questi, negli ultimi anni, quelli utili per deliberare sono stati in media quarantacinque”.

La Rajya Sabha è la camera alta del parlamento indiano. I suoi membri – massimo 250, oggi ce ne sono 245 – vengono tutti eletti dai parlamenti dei vari stati dell’Unione, salvo 12 membri appuntabili direttamente dal presidente della repubblica per meriti in campo artistico, letterario, scientifico o di rilevanza sociale.

Ogni mandato dei membri della Rajya Sabha dura sei anni, con un terzo dei membri obbligato a dimettersi ogni due anni.

[Foto credit: newshopper.sulekha.com]