India – Il diritto negato ai bagni pubblici per donne

In by Simone

La discriminazione di genere passa anche e soprattutto dalle “piccole cose”. Parliamo delle toilette in strada, luoghi fondamentali in un Paese dove l’acqua corrente spesso è un bene di lusso. Tuttavia solo gli uomini possono usufruirne. Così l’ong Coro si batte perché il diritto venga esteso.
In India la discriminazione di genere si vede anche e soprattutto nelle “piccole cose”. Piccole si fa per dire, considerando gli ostacoli che la tradizione indiana pone davanti alle proprie donne perfino nello svolgimento di attività fisiologiche e necessarie come andare in bagno.

Parliamo dei bagni pubblici, luoghi fondamentali in un paese dove l’acqua corrente spesso è un bene di lusso e negli strati più poveri della popolazione diventa un miraggio, arrangiandosi come si può con buche nel terreno o facendo i propri bisogni nei campi, all’aperto: un rischio per le donne di un’India pudica e frustrata sessualmente a tal punto che anche accovacciarsi per pisciare significa abbassare la guardia, essere “indecorose”, tentare il maschio.

Nelle metropoli il diritto ad andare in bagno fuori dalla propria abitazione, per le donne, è sancito dal proprio status sociale: sprovviste di bagni pubblici sicuri – con le porte, per intendersi – le donne indiane che contravvengono alla regola non scritta che le vorrebbe sempre in casa, al sicuro, sono costrette a fare i propri bisogni negli spazi pubblici della upper-middle class.

Ristoranti di lusso, caffé, centri commerciali: tutti luoghi dove solitamente vige una stretta selezione all’ingresso, dove le donne degli slum, ad esempio, non possono nemmeno sognare di entrare.

Per loro il diritto di andare in bagno è sospeso, negato, e così la fruttivendola e la verduraia di strada sono obbligate a tenersela. Al contrario dei loro colleghi maschi, per i quali la società indiana ha previsto svariati orinatoi all’aperto.

La campagna Right to pee, promossa dalla Ong CORO, dal 2011 si batte perché le metropoli indiane provvedano a fornire dei bagni pubblici decorosi per donne, formando e coinvolgendo comitati locali per sensibilizzare le istituzioni e la popolazione.

Sujata Khandekar di CORO, intervistata dal blog The Ladies Finger, ha spiegato: “I bagni pubblici per donne sono pochi o non ci sono perché le donne, secondo la definizione tradizionale, devono starsene a casa. Abbiamo scoperto che le verduraie e le altre donne lavoratrici per anni si sono allenate a non andare al bagno per otto o dieci ore. Hai idea di quali problemi ginecologici, ai reni e alle vie uree crei una cosa del genere?”

Per farsi un’idea della profondità discriminatoria dell’India urbana basta analizzare i dati ottenuti da CORO circa i bagni pubblici presenti in 24 distretti (su 27) che compongono Mumbai: l’amministrazione ha comunicato un totale di 2849 orinatoi per uomini, zero per le donne.

Supriya Sonar di CORO ha commentato questi numeri spiegando: “Non significa che la municipalità di Mumbai non voglia risolvere il problema, siamo semplicemente di fronte a una mancanza di volontà politica. Due anni fa ci avevano promesso 37 crore (4,7 milioni di euro) per la costruzione di bagni pubblici per donne, ma poi tutto si è bloccato.”

“Se l’amministrazione avesse davvero voluto – continua la portavoce di CORO – avrebbe potuto trovare una soluzione. Siamo di fronte ad un problema sistemico causato dall’enorme insensibilità della nostra società davanti alle discriminazioni di genere. La campagna Right to Pee si impegna per influenzare e cambiare questi meccanismi dall’interno”.

Tutte le richieste avanzata dagli attivisti di Right to Pee all’amministrazione della metropoli di Mumbai sono state accolte nel 2011. Ma a due anni di distanza non è cambiato nulla.

“La gente si rifiuta di vedere come questa sia una violazione dei diritti fondamentali della donna – ha spiegato Sonar – dei diritti di dignità e privacy garantiti dalla nostra costituzione”.

[Scritto per Il Fatto quotidiano online; foto credit: smashingmagazine.com]