Concluso il summit di Delhi, ecco cosa hanno deciso – poco – e cosa hanno intenzione di fare in futuro – molto – i Brics. Iran, Banca Mondiale, Fmi e una futura Banca dei Brics i temi affrontati, mentre i dissidi interni al gruppo coniato da Goldman Sachs ne mostrano la fragilità.
Il quarto meeting dei leader dei Brics si è concluso ieri a Delhi con la firma di un comunicato congiunto e una serie di dichiarazioni di intenti. Le grandi questioni in sospeso sono rimandate ad altri appuntamenti futuri, in particolare il G20 di Città del Messico previsto per il prossimo giugno.
Eppure, nella Dichiarazione di Delhi firmata da Dilma Rousseff, Dmitry Medvedev, Manmohan Singh, Hu Jintao e Jacob Zuma, si possono leggere se non altro quali siano le questioni che i Brics intendono portare all’attenzione del resto del mondo che conta. E che loro, le economie in via di sviluppo, vorrebbe contasse un po’ meno.
Nucleare in Iran
I Brics hanno mostrato la loro preoccupazione rispetto alla tensione in continua crescita tra Iran e Occidente a causa del programma nucleare di Teheran. Gli attriti hanno portato ad un rincaro del greggio che ha colpito anche le economie emergenti e la loro perenne necessità di approvvigionamento energetico – Cina ed India in particolare, che infatti continuano ad intrattenere affari col regime iraniano nonostante i moniti americani.
Auspicando un allentamento dello scontro e riconoscendo il diritto dell’Iran di “un utilizzo pacifico dell’energia nucleare”, i Brics hanno invitato tutte le parti ad intraprendere un dialogo multilaterale, evitando un conflitto armato “dalle conseguenze disastrose”.
Banca mondiale e Fondo monetario internazionale
Nel 2010 il G20 aveva deciso di implementare delle modifiche allo statuto del Fondo monetario internazionale (Fmi), permettendo ai paesi emergenti di avere maggiore voce in capitolo nel processo decisionale del Fondo. A due anni di distanza però ancora non si sono visti cambiamenti tangibili, a causa della lentezza della burocrazia all’interno dell’organo internazionale.
Una situazione che i Brics vogliono sbloccare il prima possibile, almeno entro ottobre, prima dell’incontro dei direttori di Fmi e Banca mondiale, si legge nella Dichiarazione.
Sempre sullo stesso tema, i Brics vogliono che il prossimo presidente della Banca mondiale – Robert Zoellick, quello attuale, finirà il suo mandato nel mese di giugno – non sia americano, come da tradizione, ma provenga invece da un paese in via di sviluppo.
Recentemente Barack Obama ha annunciato il candidato scelto dalla Casa Bianca: Jim Yong Kim, antropologo di origini coreane, una scelta secondo molti ad alta carica simbolica ed in contrasto con la reggenza di Zoellick, che in passato aveva ricoperto la carica di managing director per Goldman Sachs.
Nonostante i geni asiatici – ma passaporto e preparazione americanissimi – i Brics non sembrano soddisfatti dalla prospettiva Jim Yong Kim, e preferirebbero vedere a capo della Banca mondiale uno degli altri due candidati: Ngozi Okonjo-Iweala (ministro delle Finanze nigeriano) o José Antonio Ocampo (economista colombiano).
La Banca dei Brics?
I leader di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, durante la riunione a porte chiuse, hanno valutato la possibilità di creare una “Banca dei Brics”, una sorta di banca dello sviluppo gestita direttamente dalle economie emergenti che possa finanziare i progetti reputati non meritevoli di fondi da Banca mondiale e Fmi (la prima ad influenza americana, la seconda europea).
I ministri delle Finanze dei cinque paesi dovranno esaminare la fattibilità del progetto, portando i risultati al prossimo summit dei Brics in Russia.
La Banca dei Brics, si sono premurati di spiegare i cinque leader, non sarà una banca concorrente a Banca mondiale e Fmi: una postilla abbastanza improbabile, in caso di realizzazione dell’istituto di credito, vista anche l’eterogeneità all’interno del gruppo e il ruolo preponderante ricoperto dalla Cina.
Brics: un OGM economico
Come notano sempre più osservatori internazionali le differenze all’interno dei Brics tendono a sovrastare in numero e peso i punti in comune – sviluppo sensazionale e fame di energia – che nel 2001 fecero coniare a Jim O’Neill il termine Bric (senza la s di Sudafrica, all’epoca).
Jim O’Neill è presidente di Goldman Sachs Asset Management, ovvero il signore che decide in che direzione vanno gli investimenti di Goldman Sachs e dei suoi clienti. E i soldi, dal 2001, hanno iniziato a dirigersi in direzione Brics, la creatura di Goldman Sachs.
Prima del 2001 infatti quelli che oggi sono considerati i giganti dell’economia del futuro – ma ormai del presente – avevano ben poco da spartire. E anche se siedono ad un tavolo dando l’impressione di muoversi come un gruppo, all’interno dei Brics i dissidi sono ben lontani dall’essere risolti.
Una passaggio tratto dal Telegraph rende bene il clima che si respira nelle stanze dei summit dei Brics, lontano dalle dichiarazioni pubbliche e dalle foto sorridenti.
“Di giorno parlano in pompa magna di azioni multilaterali per spostare la palla nella zona del campo più favorevole alle nazioni più povere – spiega Jeremy Warner – mentre di note tramano senza vergogna gli uni contro gli altri, spesso assieme ai loro presunti oppressori economici dell’Occidente”.
Un esempio lampante sono proprio i rapporti tra Cina e India, la i e la c dei Brics: due paesi che ancora oggi non sono riusciti a trovare un accordo sui confini tra Repubblica popolare cinese (provincia del Tibet) e gli stati indiani di Jammu-Kashmir, Sikkim e Arunachal Pradesh, sono sostanzialmente su fronti opposti rispetto alla questione tibetana e anche in campo economico non intrattengono relazioni idilliache.
Nel 2010 nei rapporti commerciali bilaterali tra Cina ed India Pechino ha accumulato un surplus di 20 miliardi di dollari, una cifra che nel 2011 dovrebbe aver toccato i 70 miliardi di dollari. Tra i due giganti d’Asia, chi ci guadagna pare evidente.
Brics o briCs?
L’anomalia cinese all’interno dei Brics gode di una posizione di primus inter pares. Come descrive chiaramente una raccolta di dati dell‘Hindustan Times il peso della Cina all’interno dei grandi in via di sviluppo è mastodontico.
Il Pil cinese copre il 9,3% dell’indice mondiale, più della metà del contributo totale dei Brics, intorno al 18,2%. La Cina è il primo o secondo partner commerciale di India, Russia, Brasile e Sudafrica, mentre tra i quattro paesi gli scambi commerciali sono risibili.
Il predominio di Pechino nel gruppo preoccupa gli altri iscritti all’acronimo targato Goldman Sachs. Come spiega Pramita Pai Chaudhuri nel suo pezzo “se la Banca dei Brics sarà modellata sullo stampo della Banca mondiale, i voti per il consiglio d’amministrazione saranno proporzionati alla quantità di soldi iniettati. E il trillione di dollari di riserve di valuta estera cinese assicurerà a Pechino la nomina del presidente”.
La banca dei briCs.
[Foto credit: ibtimes.co.uk]