Le pressioni e le minacce dell’estremismo islamico indiano hanno reso impossibile anche il collegamento video di Salman Rushdie all’ultimo giorno del Jaipur Literature Festival. Ma la società civile vuole reagire contro la censura, per scongiurare la dittatura della paura in India
E’ una triste vittoria per gli estremismi religiosi, che ancora una volta hanno mostrato la loro terribile efficacia nel condizionare la vita culturale di un’India sulla carta campionessa di democrazia e tolleranza.
Un gigante dove convivono religioni e popoli diversi, accomunati da un senso di appartenenza laico e indiano che in questi giorni il caso Rushdie ha dimostrato essere quantomai debole, schiacciato dalla connivenza tra politica e religione.
Salman Rushdie non è riuscito a districarsi dalle maglie della censura, ma forse chi voleva ridurre al silenzio l’autore dei Versi Satanici non si aspettava una reazione così decisa della parte più laica di questo gigantesco collage di tradizioni, religioni e popoli chiamato Federazione Indiana.
La questione del pluralismo, applicata ad una società eterogenea protesa verso il miliardo di individui, si scontra con l’idea della libertà d’espressione. Dove inizia? Dove finisce? Chi ne disegna i contorni e ne fissa i confini? Tutelare le minoranze o le maggioranze scomode?
La rinuncia ufficiale di Salman Rushdie a partecipare al Jaipur Literature Festival era arrivata il 20 gennaio – come raccontato alcuni giorni fa – a seguito di minacce della mafia di Mumbai: secondo le autorità indiane, dei sicari pagati da un boss locale erano pronti per attentare alla vita dell’autore.
Ma nel giro di ventiquattro ore il quadro della situazione si offusca. Il quotidiano The Hindu esce con uno scoop, sostenendo che la storiella degli assassini mafiosi fosse completamente campata in aria, frutto della fantasia di alcuni funzionari del governo del Rajasthan, attualmente retto dal partito del Congress.
Per smontare la presunta farsa è bastata una telefonata all’ufficio della polizia di Mumbai, che interrogata sulla consistenza delle minacce – racconta The Hindu – ha negato sia di conoscere i nomi dei sospetti killer sia di aver messo in allerta le autorità del Rajasthan.
Stesso discorso per l’ufficio centrale anti-terrorismo di Delhi. Nessuno ne sapeva nulla.
Rushdie accoglie la notizia sdegnato, scrivendo su Twitter di essere “disgustato” dagli eventi,
Parallelamente le autorità del Rajasthan, dal capo della polizia al primo ministro Gehlot, rimandano al mittente ogni accusa, giurando che il rischio di violenze fosse assolutamente concreto.
In segno di solidarietà, quattro scrittori presenti al Festival – Ruchir Joshi, Jeet Thayil, Hari Kunzru e Amitava Kumar – leggono degli estratti dei Versi Satanici davanti al pubblico di Jaipur: vengono immediatamente formalizzate delle accuse contro di loro per aver letto porzioni di un libro illegale e, dietro consiglio di un avvocato presente al Festival, i quattro sono costretti a lasciare in fretta lo stato del Rajasthan per evitare il rischio di conseguenze legali.
Solo più tardi si scoprirà che, legalmente parlando, la censura dei Versi Satanici si riferisce strettamente all’importazione del libro, non ai suoi contenuti.
Ma tutta la vicenda è ormai risucchiata in una psicosi generale, difficile discernere la linea di demarcazione tra legalità e illegalità, se le autorità agiscano entro i recinti della legge o se siano al servizio di un sistema politico timoroso di perdere il voto musulmano a pochi giorni dalle elezioni locali in Uttar Pradesh (UP). Si preferisce non correre rischi.
Mentre i politici mantengono le proprie posizioni e si lasciano andare a strumentalizzazioni mediatiche – il BJP manda a dire in televisione che il Congress sta manipolando l’affare Rushdie per vincere il consenso islamico in UP – sui giornali e su internet prende forma un movimento compatto e religiosamente trasversale a difesa della libertà di espressione in India.
La critica letteraria Nilanjana Roy il 23 gennaio sarà la prima firmataria di una petizione indirizzata al primo ministro Singh ed al ministro degli Interni Chidambaram per sollecitare la rimozione del divieto di pubblicazione e diffusione dei Versi Satanici in India.
Ma l’apice della farsa si raggiungerà il 24 gennaio, ultimo giorno del Festival.
Alle 15:45 locali era in programma un collegamento video da Londra con Salman Rushdie, così che almeno virtualmente fosse possibile per lo scrittore partecipare ad un dibattito moderato dalla giornalista televisiva di NDTV Barkha Dutt.
Dalle cronache dei presenti via Twitter sembrava tutto sul punto di incominciare, quando a pochi minuti dall’inizio del confronto, gli organizzatori del Festival salgono sul palco e annunciano che anche la sessione video sarà cancellata, a causa di minacce di morte ricevute dal comitato organizzativo in mattinata e dalle notizie che migliaia di manifestanti anti-Rushdie stava marciando verso il Diggi Palace, dove si stava svolgendo il Festival. A fronte di questi eventi, spiegano, il proprietario del Diggi Palace ha chiesto all’organizzazione, dietro consiglio della polizia di Jaipur, di cancellare il dibattito.
“E’ una brutta giornata, un momento orribile per tutti noi” ha commentato dal palco lo scrittore britannico William Darlymple, mentre Sanjoy Roy, organizzatore del Festival, ha chiosato: “Ancora una volta abbiamo ricevuto intimidazioni e siamo stati costretti ad arrenderci”.
Gli inviati del Wall Street Journal presenti a Jaipur raccontano di duecento musulmani appostati nei pressi del palco pronti ad impedire il regolare svolgersi del dibattito. Senza alcuna sorpresa, intervistati da Margherita Stancati e Tripti Lahiri, molti di loro hanno spiegato di non avere mai letto il libro censurato, ma che “i membri più anziani ci hanno detto che descrive la moglie di Maometto come una prostituta e utilizza un linguaggio scurrile”.
In serata Rushdie riuscirà finalmente a parlare all’India, in un’intervista esclusiva mandata in onda dalla rete nazionale NDTV, condotta da Barkha Dutt, che avrebbe dovuto moderare il dibattito del pomeriggio.
Ne esce un Salman Rushdie abbattuto dallo stato di salute dell’India, triste non tanto per l’impossibilità di presenziare al Festival, quanto “per l’India, dove tutto questo sta accadendo”.
Rushdie accusa la politica indiana di “andare a letto” con gli estremismi religiosi, minoranze che tengono in ostaggio la libertà e il fiorire della cultura nel Paese; accusa la Darul uloom – la madrasa che due settimane fa lo descrisse come un ospite non voluto perché “urta i sentimenti dei musulmani” – e tutti gli estremisti musulmani indiani, colpevoli di contribuire all’ideale negativo che l’opinione pubblica mondiale si è fatta dell’Islam.
Accusa in particolare il governo del Rajasthan e la polizia per aver messo in piedi tutta questa farsa, sostenendo di non essere capaci di garantire la sicurezza di un evento pur sapendo chi e quanti lo stavano minacciando, ma difende anche il diritto a protestare pacificamente: “Possono protestare quanto vogliono ma non possono impedire alle persone che non piacciono loro di dire la loro parte, di esprimere il loro punto di vista. E’ compito delle forze dell’ordine, in ogni democrazia, di assicurare che ciò accada in questo modo; che entrambe le parti possano parlare, non una sola”.
Infine, ringraziando chi ha espresso solidarietà per la sua causa sui giornali e su internet, Salman Rushdie ha chiarito che in India ci tornerà “quando e come vorrà”, e che chi non è d’accordo deve “farsene una ragione”.
Oggi l’India rimane davanti ad una domanda vecchia di 24 anni, scritta da Salman Rushdie in persona in una lettera indirizzata al primo ministro Rajiv Gandhi nel 1988, dopo la messa all’indice dei Versi Satanici da parte del governo del Congress: “Mister Gandhi, che tipo di India vuole governare? Vuole costruire una società aperta o repressiva?”
Trovare un equilibrio tra il laicismo e i principi di libertà sui quale si fonda l’India indipendente e l’avanzata degli estremismi religiosi nelle loro forme più grette e violente rimane oggi l’unica via percorribile per plasmare un Paese che possa dirsi ancora democratico.
[Foto credit: Manish Swarup/AP da msnbc.com]