In Sud Sudan i primi effetti della riforma dell’esercito di Abe

In by Gabriele Battaglia

Da novembre i soldati delle Forze di autodifesa di terra giapponese (GSDF) di stanza in Sud Sudan nell’ambito delle operazioni di peacekeeping a guida Onu potrebbero avere nuovi poteri militari. Sullo sfondo, la riforma dell’esercito voluta dal premier Abe. Gli uomini delle GSDF potranno partecipare in operazioni di ricerca e soccorso e difesa congiunta di basi militari. A dirlo è stato il primo ministro Shinzo Abe durante un vertice di maggioranza. Il premier giapponese ha poi comunicato che l’addestramento dei militari che saranno inviati nel paese dell’Africa orientale a novembre sta procedendo come previsto. Abe ha infine incassato l’appoggio degli uomini del suo partito, il Liberal-democratico, e degli alleati del Komeito. Per il momento ai militari giapponesi non saranno affidati compiti di pattugliamento e sorveglianza di alcune aree a rischio. In ogni caso, sarà una vera e propria svolta.

A poco più di un anno dall’approvazione delle nuove leggi di sicurezza che hanno riconosciuto ai militari giapponesi la possibilità di intervenire all’estero a protezione di cittadini giapponesi in difficoltà o di truppe alleate sotto attacco, e per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, infatti, dei militari giapponesi si troveranno ad operare attivamente in zone ad alto rischio di scontri armati e, se necessario, anche «sparare il primo colpo». Agli occhi dell’opinione pubblica, il governo sta facendo di tutto per ridimensionare la pericolosità della missione affidata ai militari giapponesi.

L’8 ottobre scorso, la ministra della Difesa Tomomi Inada è stata in visita a Juba, capitale del Sud Sudan, e ha passato in rassegna le truppe lì di stanza. Nelle sette ore di permanenza nella città, Inada ha anche incontrato alcuni ministri del governo sudsudanese. Per ragioni di sicurezza, la ministra si è spostata su veicoli militari corazzati e la presenza di giornalisti è stata limitata. Ai pochi presenti, Inada ha affidato il suo apprezzamento del contributo dei militari giapponesi e l’auspicio di una futura cooperazione tra Giappone e Sud Sudan su progetti infrastrutturali. A fine giornata, prima di rientrare in patria, Inada ha definito la situazione «tranquilla». Pochi giorni più tardi, davanti a una commissione finanziaria del parlamento, il primo ministro Abe ha ribadito la linea del governo sulla situazione nel paese. «Ci sono stati omicidi, ferimenti, e eventi distruttivi in cui sono state utilizzate armi», ha detto il leader conservatore, «Ma non si è trattato di battaglie».

A luglio di quest’anno, infatti, la stessa capitale Juba è stata teatro di scontri armati tra truppe governative e forze ribelli che hanno fatto centinaia di vittime. A seguito di questi eventi, tutti gli operatori della cooperazione giapponese e gli imprenditori presenti nel paese sono stati evacuati. Nello stesso mese di luglio, governo e ribelli hanno trovato l’accordo su un cessate il fuoco. Nonostante questo gli scontri armati continuano in particolare alla periferia della capitale.

Nelle ultime ore, il comando della missione Onu nella Repubblica del Sud Sudan (UNMISS) ha espresso «estrema preoccupazione» per l’aumento degli scontri nel paese. A inizio ottobre 21 civili sono rimasti uccisi in un attacco dei ribelli a un convoglio nei dintorni della capitale. Elementi che hanno spinto le opposizioni a criticare il governo per l’invio di truppe in zone ad alto rischio. A partire dal 1992, anno dell’approvazione della legge sulla cooperazione per le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite, i militari giapponesi hanno partecipato in numerose operazioni internazionali in Angola, Cambogia, Mozambico, El Salvador, Bosnia-Herzegovina, Kosovo e Timor Est, principalmente con funzioni di supporto logistico (per fare qualche esempio: trasporto di aiuti umanitari, assistenza medica, riparazione mezzi, costruzione di infrastrutture) e di assistenza alle operazioni di voto.

Negli ultimi 24 anni, nessun militare giapponese è mai rimasto ucciso in scontri a fuoco. Ma la strategia del governo di Tokyo sembra ormai delineata. In Sud Sudan, Abe vuole creare un «precedente»: favorire l’espansione del ruolo dei militari giapponesi in missioni internazionali per continuare con la politica del «pacifismo proattivo» promosso a partire dal 2012. Convitato di pietra, naturalmente, l’articolo 9 della costituzione (quello della rinuncia eterna alla guerra): aggirato, reinterpretato e presto, forse, riformato completamente.

[Scritto per Eastonline]