In Giappone il nucleare è di nuovo «necessario»

In by Gabriele Battaglia

Il governo giapponese ha stilato un piano per ridurre le emissioni di gas inquinanti dell’80 per cento entro il 2050. Un obiettivo ambizioso che, a cinque anni dall’incidente di Fukushima, indica una via per il paese del Sol levante: quella del ritorno al nucleare. Cinque anni. Tanti ne sono serviti al governo giapponese per mettere la vicenda di Fukushima sotto il tappeto e approvare un nuovo piano energetico — per il momento si tratta solo di una bozza — che vede il ritorno da protagonista del nucleare nell’energy mix dell’arcipelago.

Secondo quanto si apprende dalla bozza del piano Tokyo intende tagliare di almeno il 3,8 per cento le emissioni entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005. Entro il 2030, poi il governo punta a un taglio del 26 per cento rispetto ai livelli del 2013 — per inciso uno degli anni in cui il Giappone, quinto paese al mondo per emissioni di CO2, ha inquinato di più dal 2007. L’obiettivo più ambizioso è però quello del taglio dell’80 per cento entro il 2050.

Il piano prevede un incremento dell’utilizzo delle rinnovabili e un ritorno al nucleare che entro il 2030 dovrà costituire il 20-22 per cento della produzione energetica nazionale.

Tokyo non ha indicato valori limite annuali per arrivare ai suoi obiettivi. Un piano più dettagliato dovrebbe arrivare entro maggio di quest’anno, prima dell’inizio del prossimo G7, che si terrà proprio in Giappone, a Ise-shima, nella provincia centro-occidentale di Mie. Il primo ministro Shinzo Abe potrà così esibire i progressi del Giappone in materia di contrasto ai cambiamenti climatici e indirizzare l’agenda del summit.

La bozza arriva infatti a pochi mesi dalla conclusione del vertice sul clima di Parigi che ha impegnato i paesi membri delle Nazioni Unite a mantenere l’innalzamento delle temperature al di sotto dei 2°C entro la fine del secolo e di investire sempre più risorse in fonti energetiche sostenibili e aumentare la «resilienza» ai cambiamenti climatici dei prossimi decenni. 

L’annuncio della bozza del piano energetico del governo giapponese oltre a dare una prova dell’impegno «ambientalista» di Tokyo, conferma — se ancora ce ne fosse il bisogno — la volontà delle istituzioni giapponesi di proseguire con decisione sulla strada del riavvio delle centrali nucleari del paese, a ridosso del quinto anniversario dall’incidente nucleare di Fukushima.

Di passi in avanti sulle rinnovabili se ne sono visti pochi, mentre sul nucleare qualcosa si muove già da qualche mese.

Dal 2015 alcuni reattori dell’arcipelago sono tornati a funzionare a pieno regime. I primi ad agosto a Sendai, nella provincia meridionale di Kagoshima. Da qualche giorno sono tornati online due reattori nella centrale di Takahama, provincia di Fukui, Giappone occidentale. Ma è prevedibile che altri reattori saranno riattivati dopo l’ok dell’authority sugli standard di sicurezza degli impianti (Nuclear Regulation Authority, NRA) al termine dei controlli avviati dopo marzo 2011.

Il governo Abe, da quando è entrato in carica nel dicembre 2012, non ha mai fatto mistero di voler ritornare al nucleare al più presto, per alleggerire il deficit commerciale ampliatosi con l’aumento dell’import di greggio dall’estero. A inizio 2014 il governo ha anche promosso un rimpasto della NRA, eleggendo membri più vicini alla lobby del nucleare, di fatto minando l’indipendenza dell’ente.

Gongolano aziende come Hitachi e Toshiba che possono tornare a fare profitti in patria — soprattutto Toshiba, dopo che ha deciso di puntare sul nucleare come settore strategico per la sua riorganizzazione a seguito dei recenti scandali di bilancio. E gongolano le utility del Sol levante che continuano a sostenere la «necessità del nucleare in Giappone» promettendo maggiore sicurezza per evitare un nuovo incidente; ma che visto il «nucleare zero» post-Fukushima, negli ultimi cinque anni hanno dovuto appigliarsi agli aumenti in bolletta e agli aiuti di stato — come nel caso di Tokyo Electric (Tepco), nazionalizzata dal 2012 per eccesso di passivo — per evitare il tracollo finanziario.

Nella centrale Daiichi (numero uno), duecento chilometri a nord di Tokyo, intanto si continua a lavorare per bonificare il sito e risolvere il problema dello stoccaggio di migliaia di tonnellate d’acqua usata per tenere freddi i reattori danneggiati da un terremoto di 9.0 gradi sulla scala Richter e da un successivo tsunami.

Poche settimane fa il direttore dei lavori alla centrale era stato chiaro: per la bonifica del sito, «Non esiste un manuale». Un’affermazione che arriva al termine di cinque anni in cui Tepco, l’azienda elettrica di Tokyo che gestisce l’impianto, non ha saputo fornire rassicurazioni al pubblico sui tempi e le modalità dei lavori nella centrale. È di pochi giorni fa la conferma da parte dell’utility che il meltdown di uno dei reattori dell’impianto era stata data alle autorità governative quando i danni al nucleo avevano già superato il 50 per cento.

Sull’azienda, la quarta utility dell’elettricità più grande del mondo è scoppiata una nuova bufera. Tre suoi ex dirigenti venivano rinviati a giudizio per «negligenza e omicidio colposo» per l’incidente del 2011 che, oltre ai danni ambientali incalcolabili, ha costretto 160mila persone ad abbandonare le proprie case. Per la soddisfazione di circa 15mila petizionisti che dal 2011 chiedono che venga fatta chiarezza sulle responsabilità di Tepco nell’incidente, ci sarà un processo. Non è detto che ci sarà una condanna; ma si tratta, comunque, di una prima piccola, e forse tardiva, vittoria.
 

[Scritto per East online]