In Cina e Asia – Wang Yi: una guerra Cina-Usa non gioverebbe a nessuno

In Notizie Brevi by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

-Wang Yi: una guerra tra Cina e Usa non gioverebbe a nessuno
-Giudice cinese: «Trump minaccia lo Stato di diritto»
-E’ bufera sulla presenza cinese al convegno sul traffico di organi promosso dal Vaticano
-Cina: calano le riserve, ma meno
-La Cina riforma il sistema di controllo dello smog
-Beatificato il samurai-missionario
-Giappone, tutti vogliono vivere a Tokyo
-Thailandia, primo accusato di lesa maestà del nuovo re

 

Wang Yi: una guerra tra Cina e Usa non gioverebbe a nessuno

«Nessuno uscirà vincitore da una guerra tra Cina e Stati Uniti». A dirlo è stato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi dal suo tour australiano. Condannando le minacce protezionistiche di Trump, Wang ha affermato che è «importante impegnarsi con decisione per un’economia mondiale aperta. E’ importante orientare la globalizzazione economica verso una maggiore inclusività, affinché i benefici siano condivisi in un modo più sostenibile».

Le dichiarazioni di Wang arrivano nelle stesse ore in cui un nuovo documento circolato sulla stampa internazionale sembra ridimensionare le affermazioni bellicose del segretario di Stato Tillerson sul Ma cinese meridionale. Precedentemente l’ex Ceo di ExxonMobil aveva paragonato le isole contese alla Crimea arrivando a minacciare di bloccare l’accesso cinese agli atolli (che Pechino ha espanso con infrastrutture civili e militari), senza però dilungarsi indettagli. La dichiarazione – recepite oltre la Muraglia con stizza – sarebbero state tuttavia ammorbidite durante l’audizione di conferma in Senato. In quell’occasione Tillerson avrebbe chiarito che è necessario che Usa e alleati siano in grado di impedire l’accesso cinese alle isolette «if a contingency occurs». Non solo. Il segretario di Stato avrebbe inoltre detto di voler continuare a sostenere il principio di «una sola Cina», che Trump ha reso noto di voler negoziare in cambio di qualche concessione da parte di Pechino.


Giudice cinese: 
«Trump minaccia lo Stato di diritto»

«Donald Trump è nemico dello Stato di diritto». A lanciare l‘invettiva caustica è He Fan, giudice della Corte suprema del popolo. In un post su Wechat, He ha aspramente criticato i tweet velenosi pubblicati dal presidente contro il giudice federale di Seattle James Robart, colpevole di aver sospeso l’ordine esecutivo sul divieto dell’ingresso negli Usa di rifugiati e cittadini provenienti da 7 paesi musulmani. Con le sue accuse, per He, Trump starebbe minacciando l’indipendenza degli organi giudiziari. La paternale suona abbastanza fuori luogo considerata l’opacità del sistema cinese, in cui non esiste una separazione dei poteri e i tribunali rispondono direttamente al Partito. Alcuni giorni fa il ministero degli Esteri, normalmente silente quando si tratta di questioni interne, aveva mostrato una velata contrarietà nei confronti del divieto di Trump. Al contrario la controversa decisione ha incassato l’appoggio entusiasta di molti cinesi-americani, di solito schivi nei confronti della politica, ma stavolta assolutamente convinti che si tratti di una misura in grado di proteggere efficacemente l’America dal terrorismo.


E’ bufera sulla presenza cinese al convegno sul traffico di organi promosso dal Vaticano

La Pontificia Accademia delle Scienze ha difeso la criticata scelta di aver invitato il viceministro della Salute cinese Huang Jiefu a una conferenza sul traffico di organi, nonostante la Cina continui a mantenere una posizione non completamente limpida sugli espianti. Nel 2015, Pechino ha vietato la controversa pratica del prelevamento degli organi dai condannati a morte, ma le donazioni sono ancora insufficienti a soddisfare la domanda. Secondo Nicholas Bequelin, le modalità in cui avviene il prelievo di organi non sarebbero in linea con quanto stabilito dalla World Health Organization, che richiede prima l’accertamento della morte legale della persona. Il summit, che si conclude oggi, era stato preceduto da una lettera di protesta indirizzata da 11 eticisti alla PAS. Ma c’è anche chi ha difeso la partecipazione di Huang, uno dei principali promotori della riforma del sistema dei trapianti in Cina. Durante il convegno, l’ex viceministro ha dichiarato che «in pochi anni la Cina diventerà il più grande paese per i trapianti di organi». L’incontro arriva in un momento di graduale distensione tra Pechino e il Vaticano impegnati a trovare un accordo sulla nomina dei vescovi.

Cina: calano le riserve, ma meno

A gennaio, le riserve cinesi in valuta straniera sono scese sotto 3 trilioni di dollari per la prima volta in cinque anni, ma il calo è il più basso degli ultimi sette mesi grazie ai controlli sui capitali e al rafforzamento del renminbi che ha scoraggiato le vendite. Le riserve della Cina avevano raggiunto un picco di 3.99 trilioni di dollari nel giugno del 2014, ma da allora la banca centrale ha continuato a vendere dollari per frenare il deprezzamento del renminbi.

La Cina riforma il sistema di controllo dello smog

Pechino ha unificato il sistema di monitoraggio dell’inquinamento dell’aria. Fino ad oggi, i dati sono stati in gran parte compilati manualmente dalle stazioni meteorologiche locali, con esiti spesso dubbi. Secondo il People’s Daily, il nuovo sistema terrà traccia delle particelle inquinanti combinando i risultati delle stazioni locali, dei rilevamenti satellitari e delle piattaforme aeree. L’annuncio arriva a un mese dalla decisione della Meteorological Administration di bloccare il sistema di allarme smog delle singole province, a causa delle frequenti discrepanze nei metodi di valutazione. Mentre l’obiettivo primario sembra quello di prevenire la manipolazione dei risultati da parte delle autorità locali in uno sfoggio di trasparenza, tuttavia il tentativo di reprimere la circolazione online di notizie sull’inquinamento getta tinte fosche sulle buone intenzioni delle autorità.

Beatificato il samurai-missionario

La Chiesa cattolica ha beatificato il samurai Takayama Ukon, morto in esilio a Manila dopo essersi rifiutato di rinnegare la propria fede. Takayama si era battuto contro la persecuzione dei cristiani da parte delle autorità nipponiche preoccupate che la diffusione della religione potesse rafforzare la posizione degli spagnoli, insidiatisi nelle Filippine. All’inizio del ‘600 i convertiti giapponesi si aggiravano intorno ai 220.000 -300.000. La cerimonia, tenutasi martedì a Osaka, ha visto partecipare il cardinale Angelo Amato in rappresentanza del Papa. La beatificazione è giunta a meno di un mese dall’uscita nelle sale del nuovo film di Scorsese Silence, incentrato proprio sulla storia dei missionari gesuiti in Giappone.

Thailandia, primo accusato di lesa maestà del nuovo re

L’inviato Onu per la libertà d’opinione, David Kaye, ha criticato la pratica degli interrogativi privati di cittadini accusati di lesa maestà. Il primo caso è stato sollevato contro un attivista accusato di aver offeso il nuovo sovrano Maha Vajiralongkorn. L’uomo è in stato di fermo per aver rilanciato un servizio della Bbc sul nuovo sovrano, unico tra le migliaia di thailandesi ad averlo fatto. Il reato di lesa maestà può costare fino a 15 anni di reclusione. Il governo ha il controllo quasi totale sulle informazioni che circolano nel Paese, ma non può fare niente sui resoconti che arrivano dall’estero.

Giappone, tutti vogliono vivere a Tokyo

Per il 21esimo anno consecutivo nell’area metropolitana della capitale si sono trasferite più persone di quante se ne siano andate. Le autorità prevedono inoltre che il trend continuerà verso il 2020, anno olimpico. Già oggi nell’area metropolitana di Tokyo vivono 12 milioni di persone, 35 considerando anche la città di Yokohama e le province di Saitama e Chiba, aree satellite della capitale. Le province intanto continuano a spopolarsi, nonostante gli investimenti del governo in infrastrutture e creazione di lavoro — appena venerdì scorso è stato approvato un finanziamento da circa 500milioni di euro a sostegno delle amministrazioni locali. Con le sue aziende e università Tokyo continua ad attirare giovani da tutto il paese. La provincia centrale di Nagano è un esempio: il 70 per cento dei diplomati va all’università fuori provincia, ma appena il 38 per cento ritorna dopo la laurea.