In Cina e Asia — Usa: Cina faccia di più contro Pyongyang

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Usa: Pechino faccia di più per fermare Pyongyang

Pechino non sta facendo abbastanza per fermare il programma missilistico e nucleare di Pyongyang. E’ il messaggio veicolato mercoledì da Washington durante il Diplomatic and Security Dialogue Cina-Usa, uno dei quattro meccanismi di cooperazione avviati da Xi Jinping e Donald Trump durante il loro primo incontro dello scorso aprile. Il dialogo, tenutosi mercoledì a Washington e presieduto dal segretario di Stato americano Rex Tillerson, dal segretario alla Difesa James Mattis e per parte cinese dal segretario consigliere di Stato Yang Jiechi e dal generale Fang Fenghui della Commissione militare centrale, ha avuto la Corea del Nord come convitato di pietra.

Mentre la morte di Otto Warmbier complica ulteriormente il quadro, alla vigilia del summit Trump aveva dato sfogo alla sua insoddisfazione verso l’operato di Pechino, apprezzando l’impegno cinese nel tentativo di trovare una risoluzione ma definendolo inefficace. Un punto ripreso ieri in conferenza stampa da Tillerson: “Abbiamo ricordato alla Cina che ha la responsabilità diplomatica di esercitare una maggiore pressione economica e diplomatica sul regime [di Kim], se vuole impedire ulteriori escalation nella regione”. Il segretario di Stato ha confermato la richiesta da parte di Washington per un maggior controllo sulle attività di business con società nordcoreane sottoposte a sanzioni; ugualmente auspicabile sarebbe un embargo sulle vendite di petrolio e un blocco della linea aerea nordcoreana da parte del gigante asiatico. Al contempo, Pechino continua a insistere per la ripresa del dialogo attraverso un doppio compromesso: una sospensione dei test nordcoreani in cambio di una riduzione della presenza americana nella penisola.

E’ disaccordo anche sull’altro tema centrale del dialogo: il Mar cinese meridionale, rivendicato quasi interamente da Pechino. “Gli Stati Uniti continueranno a volare, vendere e operare laddove la legge internazionale lo consente”, ha dichiarato Mattis alludendo alle freedom of navigation operation (FONOP) riprese di recente per la prima volta dall’insedimaneto di Trump alla Casa Bianca.

Gli attriti non sembrano comunque sufficienti a turbare la liaison tra le due superpotenze. Una visita del presidente americano in Cina entro fine anno è stata confermata da Tillerson, all’indomani delle indiscrezioni trapelate sulla stampa internazionale di un probabile viaggio di Ivanka Trump e Jared Kushner il prossimo autunno. Compatibilmente con l’organizzazione del XIX Congresso del Pcc, la giovane coppia — già coinvolta nel delicato balletto diplomatico tra le due sponde del Pacifico — potrebbe arrivare nella Repubblica popolare verso fine settembre-ottobre.

La Cina entra nell’MSCIEF e ruba la scena ai vicini asiatici

L’inclusione nell’indice del Mercati Emergenti dello Msci delle azioni di classe A quotate sulle piazze di Shanghai e di Shenzhen potrebbe ripercuotersi con un effetto domino sugli altri mercati asiatici. Dal 2014 fino a martedì scorso, le azioni di classe A cinesi si erano visto precluso l’ingresso nell’Emerging Market Index che traccia i mercati emergenti dal 1988. Nonostante gli stock connect con Hong Kong avviati negli ultimi due anni, la scarsa apertura del mercato azionario cinese ha continuato a rappresentare un ostacolo per un ingresso della Cina, nonostante il peso economico del gigante asiatico a livello mondiale. Il semaforo verde di martedì, — che ha innanzitutto un valore simbolico al pari dell’inclusione dello scorso anno nel paniere dei Diritti Speciali di Prelievo dell’Fmi — porterà le azioni di classe A allo 0,73% dell’MSCIEF, riducendo di conseguenza il margine degli altri mercati asiatici. Secondo la Reuters saranno sopratutto Corea del Sud e Taiwan a vedere ridimensionato il proprio valore nel benchmark, con una perdita tra i 600 miliardi e i 4,3 trilioni di won per Seul e tra gli 11 e i 15 miliardi di TWD per Taipei. Al contempo, secondo i vertici di Msci, il passaggio porterà inizialmente a un movimento di asset globali di circa 17–18 miliardi di dollari verso i titoli cinesi.

Gli stipendi cinesi crescono sempre meno

Nonostante la sostenuta performance economica, lo scorso anno in Cina gli stipendi sono cresciuti meno dell’anno prima, in alcuni casi ai livelli del 1997. Secondo Bloomberg, sono finiti i tempi in cui i salari aumentavano di oltre il 10% spingendo verso l’alto il potere d’acquisto: sovrapproduzione industriale, debito corporate e una minore competitività sono i fattori a incidere maggiormente sulla busta paga dei lavoratori. A vedersela peggio nel 2016 sono stati gli impiegati nel settore “non privato”, che hanno ricevuto in media 10.166 dollari, ovvero un + 8,9%. Mentre l’andamento discendente penalizza i lavoratori, al contempo rappresenta un vantaggio competitivo per l’economia cinese in generale, riducendo la forbice salariale che negli ultimi anni ha visto il costo del lavoro in Cina aumentare a vantaggio di paesi più economici come il Vietnam.

Secondo un recente sondaggio dell’università di Wuhan, tuttavia, una nuova tendenza probabilmente costringerà i datori di lavoro da una parte ad affidarsi all’automazione dall’altra a pagare di più per tenersi stretti gli operai: circa il 26% dei lavoratori nel Delta del fiume delle Perle, la culla del manifatturiero cinese, ha mostrato una certa predilezione per il cambiamento passando da una professione all’altra in cerca di condizioni di lavoro migliori.

Seul propone Olimpiadi invernali insieme al Nord

Seul allunga la mano a Pyongyang. Mercoledì, il ministro dello Sport sudcoreano Do Jong-hwan ha proposto che, durante le Olimpiadi del 2018 — assegnate alla Corea del Sud-, alcune competizioni sciistiche vengano ospitate congiuntamente con il Nord, che alcuni anni fa ha aperto il controverso complesso sciistico di Masikryong. Do ha inoltre ipotizzato la creazione di una squadra femminile di hockey mista intercoreana. Non è la prima volta che Seul suggerisce di ricorrere alla diplomazia dello sport per distendere i rapporti con il Nord. Recentemente il presidente Moon Jae-in ha proposto di coinvolgere Pyongyang in un’organizzazione tutta asiatica dei mondiali del 2030.

Ma nonostante i buoni propositi, non è ben chiaro fino a che punto Seul sarà disposto a trattare con Pyongyang e gli Stati uniti. In un’intervista al Washington Post a pochi giorni dalla sua prima visita alla Casa Bianca, Moon ha auspicato un maggior attivismo della Corea del Sud nella risoluzione delle tensioni. Quel che emerge dalle sue parole è un sostanziale allineamento alla strategia adottata da Trump. Sì al dialogo, ma ogni compromesso sarà preso in considerazione solo dopo un’interruzione del programma nucleare nordcoreano da raggiungersi attraverso una stretta osservanza delle sanzioni sinora approvate. Il nuovo presidente sudcoreano, fautore in campagna elettorale di una nuova “Sunshine Policy”, ha anche ventilato la possibilità di riavviare la joint venture di Kaesong tra Nord e Sud, chiusa lo scorso anno.

Mentre rimane difficile valutare la sincerità di Seul, mercoledì il portavoce dell’ufficio presidenziale ha dichiarato che in ogni caso, sebbene “la ripresa del dialogo con la Corea del Nord richiederebbe una stretta collaborazione e consultazione con gli Stati Uniti, la Corea del Sud tuttavia non ha alcun bisogno del permesso degli Stati Uniti per agire”.

Myanmar uccide 3 terroristi nello Stato Rakhine

Le truppe birmane hanno ucciso 3 terroristi durante un’operazione nei campi d’addestramento dello Stato Rakhine, dove è concentrata la minoranza musulmana dei rohingya. E’ quanto riferito dai media di Stato questa mattina. Le basi dei ribelli sarebbero state gestite dagli stessi elementi che lo scorso ottobre hanno attacco le forze dell’rodine uccidendo nove poliziotti. I raid, organizzati dall’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), hanno avviato un nuovo ciclo di violenze nello stato occidentale, con le operazioni dell’esercito birmane sfociate in soprusi ai danni di donne e bambini — secondo le testimonianze di quanti fuggiti in Bangladesh. Stando al rapporto, le forze di sicurezza hanno ucciso i tre militanti — sostenuti “da donazioni estere” — in “autodifesa”, dopo aver ricevuto una soffiata sulle operazioni di addestramento condotte di notte in un tunnel segreto. La situazione nel Myanmar rimane poco chiara. Alle denunce da parte dei gruppi per la difesa dei diritti umani contro l’inettitudine del governo di Aung San Suu Kyi si uniscono le preoccupazioni per una crescente radicalizzazione tra la popolazione islamica, sempre più vittima di discriminazioni e odio razziale.