In Cina e Asia — Ombre cinese sulle università straniere

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Ombre cinese sulle università straniere

Il Partito comunista cinese sta espandendo la propria presenza nelle università in giro per il mondo. Sezioni sono state costituite negli Stati Uniti, in Corea del Sud, in Germania e in diversi altri Paesi. Lo scopo di questi gruppi è tenere d’occhio gli studenti e i lavoratori cinesi all’estero, facendo in modo che non si lascino attrarre dalle “cattive idee” che possono apprendere fuori dai confini della Repubblica popolare. Sia Radio Free Asia sia Foreign Policy hanno documentato la presenza queste sezioni, considerate un modo per espandere l’influenza ideologica del Pcc, uno dei pilastri della presidenza di Xi Jinping. Si tratta di gruppi inizialmente piccoli, che mettono però in campo campagne di reclutamento e le cui attività si svolgono in gran parte alla luce del sole. Secondo quanto riporta il Financial Times ci sono oltre 2000 progetti congiunti di formazione e istruzione in Cina, a ognuno dei quali è stato ordinato di formare una propria cellula interna del partito e di aver il segretario della sezione nel loro board.

Il Tesoro Usa vuole bloccare le acquisizioni cinesi

Il Tesoro statunitense potrebbe ricorre a poteri speciali per bloccare gli investimenti cinesi nel Paese. A dirlo è Heath Tarbert, alto funzionario incaricato dei mercati internazionali, intervenuto a un forum. Le misure rientrerebbero nella sezione 301 del Trade Act del 1974, utilizzata dall’amministrazione Trump per sanzionare Pechino contro quelle che ritiene essere violazioni della proprietà intellettuale a danno delle imprese statunitensi. Washington potrebbe pertanto ricorrere a poteri d’emergenza o condurre procedure di scrutinio per valutare l’impatto sulla sicurezza nazionale delle operazioni cinesi. Posizioni espresse mentre è in corso un attacco frontale degli Usa contro i due colossi cinesi della tecnologia Huawei e Zte, perché considerate un rischio per gli interessi nazionali. La commissione per le comunicazioni ha infatti approvato nuove restrizioni all’acquisto di equipaggiamenti e servizi da società ritenute un rischio. Inoltre il dipartimento del Commercio ha vietato alle imprese statunitensi la vendita di componenti a Zte per il coinvolgimento di alcuni dipendenti nel commercio con Iran e Corea del Sud.

Come va l’economia nordcoreana?

Maggiori entrate fiscali, spese per la difesa al 16% del pil e al 47% per quello che potrebbe essere definito welfare. L’ammissione, implicita, che oltre allo Stato e all’economia pianificata esistono anche altre forme di mercato. Sono alcuni degli spunti dell’ultima legge di Bilancio nordcoreana approvata dall’Assemblea suprema del popolo. Numeri che, come ricorda in un’analisi lo studioso Benjamin Silbestein, vanno comunque prese con le pinze, considerata l’opacità delle cifre. Il Paese, dal 2011, ossia dall’ascesa al potere di Kim Jong Un, ha registrato una discreta crescita, ma si trova ora a dover fare i conti con sanzioni sempre più stringenti, anche se Pyongyang punta a incassare di più dalle zone economiche speciali che dipendono dagli investimenti in joint venture di cinesi e russi. Ma la parte più interessante del bilancio è l’ammissione che circa un quarto dell’economia deriva da forme di quasi mercato, ossia non rientra nel 74% delle entrate legate alla pianificazione