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In Cina e Asia – Multa da 1 miliardo di dollari per Didi 

In Notizie Brevi by Serena Console

I titoli di oggi:

  • Multa da 1 miliardo di dollari per Didi 
  • L’alto costo dei dazi sui prodotti hi-tech
  • Censurati oltre 500 soprannomi di Xi su un’app cinese
  • Hikvision entra nelle carceri
  • Wickremesinghe è il nuovo presidente dello Sri Lanka

 

Didi Chuxing dovrà pagare 1,18 miliardi di dollari. Si conclude con una multa salatissima l’indagine guidata dalla Cyberspace Administration of China (CAC), che a maggio ha costretto il gigante tecnologico cinese al delisting dalla borsa di New York, circa un anno dopo l’IPO. La CAC ha dichiarato che l’azienda ha violato gravemente le leggi sulla raccolta dei dati e “ha seriamente colpito la sicurezza nazionale”. “Le operazioni illegali di Didi hanno portato gravi rischi per la sicurezza della sicurezza dell’infrastruttura e dei dati chiave del paese”, ha spiegato l’agenzia, secondo la quale la società ha “eluso maliziosamente la supervisione”. “Le circostanze sono gravi e la natura [del crimine] è vile”, ha aggiunto. Il fondatore e amministratore delegato di Didi, Cheng Wei, e il presidente, Jean Liu, sono considerati responsabili delle violazioni e dovranno pagare una multa di un milione di yuan ciascuno. La pena amministrativa comminata al colosso cinese del ride-hailing (pari al 5% delle vendite dello scorso anno)  è la seconda più alta per importo dopo la multa da 18 miliardi di yuan pagata da Alibaba per aver violato le norme dell’antitrust.

L’alto costo dei dazi americani sui prodotti hi-tech

I dazi imposti dall’ex presidente Usa Donald Trump sui prodotti costano caro agli importatori di prodotti cinesi. Una recente analisi della Consumer Technology Association ha calcolato che tra la metà del 2018 e la fine del 2021 gli importatori hanno pagato più di 32 miliardi di dollari in dazi su prodotti tecnologici provenienti dalla Cina. A causa degli alti costi, l’industria hi-tech a stelle e strisce ha ridotto la sua dipendenza dal mercato cinese, rivolgendosi ad altri paesi, come Vietnam, Taiwan, Corea del Sud e Malesia. Il report fa luce su un tema ormai centrale per l’amministrazione Biden, che sta cercando di portare avanti un dialogo interlocutorio interno e con la Cina per scorgere la possibilità di rimuovere le tariffe su alcuni prodotti e permettere, così, un alleggerimento economico sulle tasche dei consumatori statunitensi. Secondo alcuni analisti, le tariffe stanno danneggiando le imprese statunitensi e non rappresentano una soluzione alla trade war con la Cina. E i numeri lo dimostrano.

Secondo i dati della Customs and Border Protection statunitense relativi al periodo fino al 13 luglio, le tariffe totali della “Section 301” imposte sulle merci cinesi sono state pari a 145,43 miliardi di dollari. Nel dettaglio, da quando sono stati imposti i dazi, le importazioni di beni tecnologici cinesi interessati dalle tariffe sono diminuite del 39 per cento, mentre le importazioni di merci non soggette a dazi sono cresciute del 35 per cento. La quota cinese delle importazioni statunitensi di prodotti tecnologici colpiti dai dazi si è approssimativamente dimezzata dal 32 per cento nel 2017 al 17 nel 2021.

Ma se sul fronte commerciale Washington tenta un’apertura con il gigante asiatico, sul tema dei diritti umani non fa sconti. Il Dipartimento di Stato Usa ha inserito la Cina a un elenco di paesi in cui gli americani hanno affrontato un rischio elevato di detenzione arbitraria. L’ordine esecutivo del presidente Biden è inteso a punire gli attori statali imponendo limiti di ingresso negli Usa e sanzioni finanziarie, nei casi in cui si ritiene che abbiano trattenuto ingiustamente cittadini statunitensi. Non solo la Cina è finita nel mirino statunitense: l’ordine esecutivo del presidente Biden riguarda anche altri paesi, tra cui Myanmar, Iran, Corea del Nord, Venezuela e Russia.

Censurati oltre 500 soprannomi di Xi su un’app cinese

Adolf Xitler, Winnie The Poo e CoronaXi sono tra le centinaia di soprannomi attribuiti al leader cinese Xi Jinping banditi da Xiaohongshu, un’app di social media cinese simile a Instagram. E’ quanto trapela da un documento di 143 pagine sulle linee guida della censura del social network, che evidenzia come i moderatori della app abbiano messo nel mirino della censura 564 soprannomi e termini sensibili relativi a Xi Jinping in soli due mesi nel 2020. Stando al documento, l’app non sta solo tenendo d’occhio i contenuti condivisi sulla propria piattaforma, ma sta anche monitorando attivamente le notizie e sviluppando strategie per impedire la diffusione di argomenti potenzialmente sensibili che non devono sfuggire al controllo dei censori. Il documento presenta come vengono effettuati i controlli incrociati per evitare la diffusione di parole e contenuti sensibili per il governo cinese: oltre a rimuovere immediatamente i post critici, i moderatori analizzano e cercano le parole sensibili del post e conducono un secondo screening su tutti i contenuti per far si che nulla sfugga alla censura. Il file evidenzia quindi le mosse messe in atto dai social media cinesi per controllare l’opinione pubblica e prevedere gli argomenti critici trattati dagli utenti.

Hikvision entra nelle carceri

Intelligenza artificiale al servizio del sistema penitenziario cinese. Hikvision ha sviluppato una nuova strategia tecnologica per gli interrogatori nelle carceri cinesi, l’Hikvision Smart Judicial Police Practical Combat System Solution. Il colosso cinese dell’AI ha messo in commercio un sistema che produce e registra un interrogatorio personalizzato per ogni recluso, il cui contenuto viene poi trascritto e  stampato per essere firmato dal detenuto incatenato alla “sedia della tigre”. Il dispositivo, in vendita anche per 3800 dollari sui siti di ecommerce cinesi, è dotato di una console collegata a un pc, telecamere, altoparlanti, monitor e altri apparecchi installati nella stanza degli interrogatori. Stando a quanto riporta IPVM, il sistema monitora anche i segni vitali dei detenuti (pressione sanguigna, frequenza cardiaca e i livelli di ossigeno nel sangue) e segnala se vengono rilevati “movimenti sospetti” durante l’interrogatorio. Come funziona? L’interrogatorio del detenuto – sottoposto alla tortura della sedia della tigre – viene filmato mentre il personale lo trascrive su un laptop; un monitor mostra al carcerato le prove che la polizia ha contro di lui (per esempio un’arma), mentre vengono registrati i cambiamenti del comportamento, delle espressioni facciali e della frequenza cardiaca; una volta prodotta e stampata la “confessione”, viene presentata al detenuto che è costretta a firmarla. Il modo più semplice e veloce per emettere una condanna. Il filmato dell’interrogatorio viene poi trasferito su un dvd. Questo sistema hi-tech rafforza la pratica delle torture – come la “sedia della tigre” –  a cui sono sottoposti molto spesso i dissidenti politici e gli attivisti. Amnesty International e Human Rights Watch condannano le confessioni estorte con la forza e la violenza.

Wickremesinghe è il nuovo presidente dello Sri Lanka

Lo Sri Lanka ha un nuovo presidente. Nella giornata di ieri il Parlamento del Paese ha eletto con un’ampia maggioranza Ranil Wickremesinghe, l’ex premier che ha assunto il comando dello Sri Lanka dopo la fuga del suo predecessore Gotabaya Rajapaksa. Wickremesinghe, ha ottenuto 134 voti, rispetto agli 82 del principale sfidante Dullas Alahapperuma e solo tre per la candidata di sinistra Anura Dissanayake. Già sei volte primo ministro, Wickremesinghe prende il posto di Gotabaya Rajapaksa, fuggito dal Paese in seguito alle intense proteste per la gravissima crisi economica. Durante i suoi vari mandati, sia come primo ministro che come leader dell’opposizione, Wickremesinghe è stato noto per aver introdotto riforme economiche che hanno permesso di guidare il paese fuori dalla recessione nel 2001. Eppure, nonostante la sua insistenza sul fatto di essere un politico “pulito”, è stato accusato di corruzione e di insider trading presso la banca centrale.

“Le nostre divisioni ora sono finite”, ha dichiarato Wickremesinghe in un discorso al Parlamento subito dopo il voto. Wickremesinghe ha il difficile compito di affrontare la gravissima crisi economica e di convincere la popolazione che lo accusa di aver sostenuto la famiglia Rajapaksa e di aver mandato quindi il paese in bancarotta. Ma il nuovo presidente, che aveva definito “fascisti” i manifestanti che erano entrati nelle sedi istituzionali, promette il pugno duro contro chi si opporrà al suo ruolo.

Di Serena Console; ha collaborato Alessandra Colarizi