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In Cina e Asia – Il Giappone pronto a multare i colossi tech

In Notizie Brevi by Sabrina Moles

I titoli di oggi:

  • Il Giappone pronto a multare i colossi tech
  • Henan, maxi operazione contro giro di truffatori
  • Cina, niente Tesla a Beidaihe per i prossimi due mesi
  • Covid19 e aziende Ue, Cina sempre più isolata
  • Xinjiang: dal cotone alle batterie, le sanzioni mettono alla prova i mercati
  • Criptovalute, la Corea del Sud trattiene lo staff di terraUSD nel paese per indagini
Il Giappone multa i colossi tech

Anche Tokyo vuole vuole più correttezza dalle piattaforme. Nikkei Asia rivela come il governo sia pronto a sanzionare diverse big tech del web, tra cui Meta, Google e Twitter. Il Giappone ha, infatti, introdotto una nuova legge che richiede alle multinazionali IT di registrare una sede nel paese. Una normativa che promette di offrire più garanzie ai netizen giapponesi in termini di utilizzo dei dati personali e facilitare lo svolgimento delle cause legali legate alle piattaforme.

Le 48 società identificate dovevano registrare la sede locale entro il 13 giugno, ma all’appello mancano proprio le società più influenti sul mercato. Tra le giustificazioni fornite, il fatto che sono in grado di rispondere agli obblighi legali e amministrativi attraverso la rete.

Henan, maxi operazione contro giro di truffatori

Sabato 18 giugno la Polizia dello Henan, provincia centrorientale cinese, ha arrestato alcuni individui legati a un vasto giro di truffe che fanno capo al sistema delle banche rurali locali. Il caso, come evidenzia il South China Morning Post, fa riaffiorare tutte le fragilità degli istituti creditizi della Repubblica Popolare.

Al centro delle indagini una società d’investimento privata, la Henan Xincaifu Group Investment Holding, che avrebbe sfruttato la sua partecipazione in diverse banche rurali per prosciugarne le risorse. Una “mano invisibile” che sarebbe arrivata fino alle autorità locali, sospettano alcuni, dato che le vittime si sono trovate improvvisamente il proprio QR code sanitario rosso proprio in occasione di una manifestazione per denunciare la frode.

Cina, niente Tesla a Beidaihe per i prossimi due mesi

Tesla e Partito devono stare ben distanti tra loro. È quanto sembra suggerire la decisione di vietare la circolazione delle note auto elettriche a Beidaihe, cittadina nel nordest della Cina dove si tiene il ritiro estivo dei principali funzionari del Pcc. All’inizio di giugno lo stesso divieto aveva colpito la città di Chengdu, dove era prevista una visita del presidente Xi Jiping. Niente Tesla nemmeno in prossimità dei complessi militari, una richiesta avanzata lo scorso anno in merito a potenziali “violazioni della sicurezza” a causa delle telecamere installate sui veicoli.

La possibilità di accedere ai materiali video registrati dalle telecamere installate sui veicoli di nuova generazione sono da qualche tempo nel mirino dei regolatori cinesi. Lo stesso Elon Musk cerca di rassicurare le autorità affermando che tutti i dati raccolti dai mezzi prodotti in Cina vengono registrati su server locali.

Covid19 e aziende Ue, Cina sempre più isolata

“Le operazioni stanno diventando sempre più isolate a causa del personale con sede in Cina, sia straniero che cinese, che non è in grado di recarsi nelle sedi centrali europee per scambi di informazioni, networking, formazione e condivisione di competenze”. Sono queste alcune delle parole della Camera di commercio Ue in Cina (Euccc) che evidenziano la forte preoccupazione delle aziende europee operative nella Repubblica Popolare. La politica “casi-zero” di Pechino impedisce anche lo svolgimento di visite di routine da parte dei vertici delle aziende, mentre la stessa produttività degli impianti è messa a rischio dagli improvvisi lockdown.

Secondo un sondaggio diffuso dalla Camera di commercio Usa a Shanghai, aggiunge il Financial Times, un quarto delle imprese statunitensi sta già spostando la produzione fuori dalla Cina. Anche gli investitori europei rivelano di essere scoraggiati dal prolungarsi dell’emergenza sanitaria, tanto che tre quarti dei rispondenti alla ricerca della Euccc affermano di guardare ad altri paesi per il futuro.

Xinjiang: dal cotone alle batterie, le sanzioni mettono alla prova i mercati

Circa 3 milioni di tonnellate di scorte invendute. Questo sarebbe l’ammontare del cotone cinese rifiutato dai clienti esteri, oggi più che mai allineati con con i governi che denunciano lo sfruttamento dei lavoratori dello Xinjiang. A fare da capofila a questo fenomeno sono soprattutto le aziende statunitensi che, sulla base dello Uygur Forced Labor Prevention Act, hanno rinunciato ai propri contratti milionari in vista dell’entrata in vigore ufficiale – prevista per oggi, martedì 21 giugno. In difficoltà anche le aziende europee, come rivela il capo della Camera di Commercio Ue in Cina Joerg Wuttke. Garantire l’approvvigionamento di prodotti moda in Xinjiang senza legami con la questione uigura è “difficile e costoso”. E mancano i revisori esterni per certificare la supply chain. “Il cotone dello Xinjiang era il cotone più costoso al mondo. Ora è diventato il più economico e ancora nessuno lo compra”, ha raccontato il proprietario di un cotonificio al South China Morning Post

Ma il rischio di violare i nuovi standard sullo sfruttamento del lavoro rimane. Sono diversi i settori produttivi che impiegherebbero manodopera coatta e a basso costo nello Xinjiang. Uno degli ultimi casi evidenziati dalla stampa riguarda il giro d’affari delle batterie per auto elettriche e per lo stoccaggio dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Un settore essenziale per le economie avanzate di oggi, che stanno investendo enormi risorse per raggiungere gli obbiettivi di sostenibilità dell’Accordo di Parigi. Al centro dello scandalo emerge il nome dello Xinjiang Nonferrous Metal Industry Group, un conglomerato di imprese che rifornisce – direttamente o indirettamente – alcuni delle multinazionali leader dell’elettrico.

Criptovalute, la Corea del Sud trattiene lo staff di terraUSD nel paese per indagini

Il procuratore del distretto meridionale di Seul ha annunciato martedì 21 giugno un divieto di uscita dal paese per i dipendenti di Terraform Labs, una società che opera nel settore delle criptovalute. Lo scandalo di terraUSD, una stablecoin, è stato denunciato ai pubblici ministeri da 81 investitori. Ora l’azienda è indagata per crimini finanziari in quanto – afferma l’accusa – “i fondatori di Terraform e la società hanno ingannato gli investitori con le loro monete algoritmiche difettose”

A cura di Sabrina Moles