In Cina e Asia – La Cina individua i primi casi di variante Omicron

In Notizie Brevi by Serena Console

I titoli di oggi:

  • La Cina individua i primi casi di variante Omicron
  • SenseTime rinvia l’IPO di Hong Kong dopo la stretta Usa
  • Blinken nel Sud-est asiatico per rilanciare la strategia indopacifica
  • Seul e Canberra firmano accordo militare preoccupante per Pechino

Cresce l’allerta per la variante Omicron nel mondo. E spaventa anche la Cina, dove tra ieri e oggi sono stati individuati due casi nel paese. Il primo contagiato è stato riportato nella città portuale di Tianjin, nel nord della Cina: si tratta di un viaggiatore che è rientrato dall’estero lo scorso 9 dicembre. Il paziente è ora in quarantena e curato in un ospedale specializzato. Il secondo è stato annunciato poco fa dalle autorità di Guangzhou, il capoluogo del Guangdong. L’uomo era risultato negativo ai test durante il periodo di quarantena richiesto per gli arrivi dall’estero.

La scoperta dei primi contagi da Omicron arriva mentre la provincia orientale dello Zhejiang, con oltre 65 milioni di abitanti, sta combattendo contro il suo primo focolaio domestico dall’inzio dell’anno. Nelle ultime 24 ore, nello Zhejiang sono stati registrati 74 nuovi casi, quasi il doppio rispetto al giorno precedente (38 casi) per un totale di 173 contagiati. La diffusione del covid ha ripercussione anche nel settore industriale. Più di una dozzina di società quotate in Cina hanno dichiarato di aver sospeso la produzione in alcune parti della provincia a causa dell’inasprimento dei controlli per Covid-19, in base alla politica “zero Covid” adottata dal governo di Pechino. Più di mezzo milione di persone nel Zhejiang sono state messe in quarantena in strutture centralizzate, mentre i voli da e per Ningbo sono sospesi.

SenseTime rinvia l’IPO di Hong Kong dopo la stretta Usa

La startup di intelligenza artificiale cinese SenseTime ha deciso di rinviare la propria quotazione del valore di 767 milioni di dollari alla Borsa di Hong Kong, dopo essere finita nella black list di investimenti degli Stati Uniti perché accusata di violazione dei diritti umani nello Xinjiang. Ma l’azienda non si tira indietro. Come si legge in una nota, SenseTime si impegna a completare l’offerta e pubblicare un prospetto supplementare e un calendario di quotazione aggiornato. La società, sebbene non abbia indicato una tempistica, ha dichiarato che rimborserà integralmente tutti i fondi della domanda senza interessi a tutti i richiedenti che hanno sottoscritto le sue azioni nel processo di offerta. Il Tesoro Usa ha inserito il nome di SenseTime nella blacklist delle società industriali e militari, accusando la società di sviluppare sistemi di riconoscimento facciale per l’identificazione degli uiguri e di minoranze musulmane nella regione dello Xinjiang. SenseTime nega le accuse mosse dal dipartimento statunitense, bollandole come “infondate”.

Blinken nel Sud-est asiatico per rilanciare la strategia indopacifica

Gli Stati uniti punteranno sulle storiche alleanze per controbilanciare l’assertività cinese nell’Indo-Pacifico. Lo ha ribadito stamattina Antony Blinken in visita in Indonesia.  Il segretario di Stato americano ha espresso preoccupazione per la condotta di Pechino nella regione, menzionando nello specifico non solo le “rivendicazioni in mare aperto”, ma anche le “pratiche commerciali scorrette”. “I Paesi della regione vogliono che questa condotta cambi, e lo vogliamo anche noi”, ha avvertito. Abbozzando la visione indopacifica di Biden, Blinken ha dichiarato che “adotteremo una strategia che intreccia più strettamente tutti i nostri strumenti di potere nazionale – diplomazia, esercito, intelligence – con quelli dei nostri alleati e partner”. Anticipando possibili perplessità tra i destinatari del messaggio, ha poi tranquillizzato sul fatto che Washington non imporrà una scelta di campo tra le due superpotenze.

Blinken è atterrato ieri a Giacarta, dando il via a una visita nel Sud-Est asiatico volta a rafforzare i legami in una regione diventata strategica per Washington. Blinken, nel suo primo viaggio nell’area da quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è entrato alla Casa Bianca, farà tappa anche in Malesia e Thailandia per un tour che lo vedrà impegnato fino al 16 dicembre. Il titolare degli Affari Esteri statunitense ha in programma una serie di incontri con i leader regionali, durante i quali il tema Cina sarà affiancato da altre questioni, come il Myanmar e la pandemia di Covid-19.
A pochi giorni dalla fine dei lavori del G7 dei ministri degli Esteri di Liverpool – a cui hanno partecipato per la prima volta i ministri degli Esteri e dello Sviluppo dei Paesi dell’Asean, tranne la Birmania – le tre nazioni sono visitate anche dal ministro degli Esteri britannico Liz Truss. Lo scopo di Washington e Londra è intensificare la cooperazione economica con i Paesi Asean, facendo leva sulla loro crescente insofferenza per le pretese di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. A Jakarta, Blinken ha incontrato il presidente indonesiano Joko Widodo e diversi funzionari chiave del governo. Come riporta un comunicato del dipartimento di Stato Usa, Blinken e Widodo hanno “sottolineato l’importanza del partenariato strategico tra i due Paesi e discusso gli strumenti per rafforzare le relazioni bilaterali”.
Il Segretario Usa ha ribadito il sostegno degli Stati Uniti al paese come leader nell’Indo-Pacifico e come terza maggiore democrazia al mondo. Rilevante per Washington è l’impegno nei confronti dell’Asean, di cui Blinken ha sottolineato il ruolo centrale nell’Indo-Pacifico. I due hanno infine discusso della cooperazione bilaterale e regionale per affrontare le attuali sfide alla democrazia e ai diritti umani, così come i cambiamenti climatici e la pandemia di Covid-19. Un chiaro messaggio indirizzato a Pechino. L’Indonesia cerca di mantenere una politica estera “indipendente e attiva”, ma si è trovata a fare molto affidamento sulla Cina per i vaccini contro il coronavirus e per gli investimenti in assenza di altri partner forti. Ma Jakarta sembra voler cambiare rotta: l’Indonesia mira a diventare un centro di produzione di vaccini per aumentare la distribuzione verso le nazioni in via di sviluppo e a basso reddito.

Seul e Canberra firmano accordo militare preoccupante per Pechino

Un nuovo accordo militare minaccia Pechino. La Corea del Sud e l’Australia hanno firmato un contratto per la difesa del valore di 715 milioni di dollari, durante la visita del primo ministro sudcoreano Moon Jae-in nel paese oceanico. L’accordo è molto ambizioso e si tratta del più grande contratto di difesa siglato tra Canberra e Seul: l’azienda sudcoreana Hanwha infatti produrrà in Australia 30 cannoni semoventi e 14 veicoli blindati di rifornimento di munizioni per l’esercito australiano, e fornirà anche radar, munizioni per artiglieria e componenti per l’assemblaggio di veicoli corazzati. Il premier australiano Scott Morrison ha evidenziato come l’accordo sarà vantaggioso il paese oceanico dove – si prevede – verranno creati almeno 300 nuovi posti di lavoro nella regione di Geelong, nel Sud-est dell’Australia, fino al 2040 per la produzione e la manutenzione di veicoli militari, con l’obiettivo di esplorare l‘esportazione dei nuovi prodotti verso paesi terzi. I leader dei due paesi hanno anche concordato di creare un “partenariato strategico globale” e di lavorare allo sviluppo di tecnologie per la sostenibilità ambientale e di facilitare la fornitura alla Corea del Sud di minerali per applicazioni industriali. Emblematica la tempistica dell’accordo. Il patto di difesa coincide con un aumento delle tensioni tra Canberra e Pechino. Ma il presidente sudcoreano ha rimarcato che la sua visita in Australia “non ha nulla a che fare con la posizione della Corea del Sud nei confronti della Cina“, sebbene abbia ribadito che sia Seul che Canberra condividono gli stessi valori. Evidentemente Moon vuole tutelare gli interessi nazionali. Prima tra tutti, la volontà di avviare un dialogo con la Corea del Nord per arrivare alla fine formale della guerra di Corea, congelata con un armistizio firmato nel 1953. Ma l’accordo non sarebbe condotto solamente da Seul e Pyongyang: al tavolo delle trattative dovrebbero sedere anche i funzionari cinesi e membri dell’amministrazione statunitense. Moon ha ribadito, nel corso della sua visita in Australia in occasione del 60esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Seul e Canberra, che la Corea del Nord, Corea del Sud, Stati Uniti e Cina concordano in linea di principio sull’opportunità di dichiarare la fine formale della guerra di Corea. Ma è Pyongyang a dettare le condizioni. Il presidente sudcoreano ha sottolineato che la Corea del Nord continua a chiedere come pre-requisito per avviare il dialogo il ritiro delle truppe Usa dalla Corea del Sud, l’interruzione delle esercitazioni militari congiunte tra Washington e Seoul e l’alleggerimento delle sanzioni americane contro il programma di armamento di Pyongyang. Moon, che cerca di concretizzare l’impegno con il Nord, pietra angolare della sua presidenza, ha dato il via all’iter per l’adesione all’Accordo globale e progressivo per il Partenariato trans-Pacifico (CPTPP). L’annuncio è arrivato dal ministro delle Finanze della Corea del Sud, Honng Nam-ki, e aggiunge Seul ad una crescente lista di candidature, che include anche Cina e Taiwan.  L’adesione all’accordo di libero scambio è vincolata all’approvazione unanime degli 11 Paesi membri del Tpp: Giappone, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Brunei, Cile, Messico, Perù, Malesia, Singapore e Vietnam.

A cura di Serena Console; ha collaborato Alessandra Colarizi