La nostra rassegna quotidiana
La Casa Bianca chiede cure oltremare per Liu Xiaobo
In una conferenza stampa di routine, la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders, ha espresso preoccupazione per lo stato di salute del dissidente cinese e di sua moglie Liu Xia. “Rimaniamo preoccupati per il fatto che Liu e la sua famiglia non siano in grado di comunicare con il mondo esterno e che Liu non sia libero di cercare il trattamento medico di sua scelta”, ha dichiarato Sanders, “invitiamo le autorità cinesi a concedergli la piena libertà, a liberare la moglie dai domiciliari e a fornire loro protezione e libertà, come la libera circolazione e l’accesso a cure mediche adeguate in linea con la costituzione cinese, il sistema giuridico e gli impegni internazionali”. A detta dell’ospedale di Shenyang che lo ha in cura da giorni, le condizioni del premio Nobel sarebbero critiche a causa del mal funzionamento degli organi e di uno shock setticemico.
Secondo Sanders, è la seconda volta che l’amministrazione Trump esprime le proprie preoccupazioni per le sorti dell’attivista, sollevate anche dal nuovo ambasciatore americano Terry Branstad al momento del suo arrivo a Pechino.
Nomura: Cina continentale e Hong Kong rischiano una crisi finanziaria
Hong Kong e la Cina sono i paesi più esposti al pericolo di una crisi finanziaria nei prossimi tre anni. A rivelarlo è un rapporto di Nomura, secondo cui i paesi in emergenti e l’Asia — escluso il Giappone — rischiano di più. Stando al report, 40 su 60 indicatori presentano segnali allarmanti. E’ sopratutto il binomio debito riscaldamento dell’immobiliare. Sulla scia dell’aumento dei prezzi delle case, nella mainland la proporzione del debito delle famiglie rispetto al pil è più che raddoppiato in meno di dieci anni raggiungendo il 40,7%. Per Nomura, mentre durante la crisi del 1997 la Cina ha rappresentato un fattore stabilizzante con le sue riserve in valuta estera, oggi la dipendenza del mercato asiatico dalla seconda economia mondiale lascia presagire un rischio contagio.
Pechino: nessuna rilocalizzazione di massa sull’altopiano tibetano
Non ci sarà nessuna rilocalizzazione di massa. Il governo cinese rassicura i gruppi pro-Tibet insorti alla notizia dell’inclusione della riserva di Hoh Xil, nel Qinghai, tra i siti patrimonio dell’Unesco. La Cina è il secondo paese al mondo per numero di beni patrimonio dell’umanità (52), dopo l’Italia (53). Mentre per Pechino l’inclusione di Hoh Xil simboleggia l’endorsement della comunità internazionali nei confronti degli sforzi adottati dal governo per proteggere l’area, secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, Hoh Xil rischia in futuro di finire tra le mete del turismo a tappe forzate. In particolare a preoccupare sono le sorti delle popolazioni nomadi che abitano l’altopiano. Non è un mistero che il tentativo di portare sviluppo nell’occidente cinese — urbanizzando le tribù erranti — sia anche una forma di controllo nei confronti delle minoranze etniche. Al momento sono circa 50mila i nomadi che transitano attraverso l’altopiano del Qinghai e zone limitrofe.
Villaggio cinese in tribunale per la restituzione di una sacra mummia
Yangchun rivuole le spoglie del patriarca Zhanggong conservate all’interno di un’antica statua buddhista, rubata nel 1995 e acquistata da un collezionista olandese a Hong Kong l’anno successivo. Sparita nel nulla per due decadi, la venerata statua è poi riapparsa nel museo di storia naturale di Budapest. Oggi, a l’Aja, le autorità olandesi ascolteranno le ragioni degli abitanti di Yangchun rappresentanti dall’avvocato Jan Holthuis. Secondo il Global Times, il caso merita attenzione dal momento che potrebbe scaturire in uno dei primi recuperi di reliquie cinesi in tribunale anziché attraverso canali diplomatici.
Jakarta dichiara guerra ai gruppi ideologizzati
Mercoledì l’Indonesia ha approvato una nuova legge che permette al governo di sciogliere senza processo qualsiasi gruppo colpevole di minacciare la Pancasila, complesso di principi nazionali volti a promuovere il pluralismo e la tolleranza in un paese a maggioranza musulmana ma abitato da comunità cristiane, buddhiste e hindu. Mentre ufficialmente, il provvedimento serve a debellare le organizzazioni che “minacciano l’esistenza della nazione e creano conflitti sociali”, l’attenzione delle autorità sembra rivolta sopratutto verso il Hizb ut-Tahrir Indonesia (HTI), sigla dell’islam radicale che auspica la nascita di un Califfato. Il decreto, tuttavia, mette di fatto al bando anche tutti quei gruppi che promuovono l’ateismo e il comunismo, tanto che secondo Human Rights Watch esiste il pericolo concreto che la legge venga utilizzata in maniera più estesa per reprimere la libera associazione e le Ong.