In Cina e Asia – Inquinamento toglie due anni di vita ai cinesi

In by Gabriele Battaglia

I titoli di oggi della nostra rassegna:

– Cina: l’inquinamento riduce l’aspettativa di vita di due anni
– Arbitrato su Mar cinese meridionale, Cina rischia status di «fuorilegge»
– La Cina punta sullo sviluppo del Pireo 
– Seul dice no a Google Maps
– Brexit: banca di Singapore non concede crediti per proprietà a Londra
– Filippine, si insedia il «Trump» asiatico Cina: l’inquinamento riduce l’aspettativa di vita di due anni

Un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’Energia (Aie) pubblicato questa settimana rivela che l’inquinamento atmosferico in Cina riduce di quasi due anni l’aspettativa di vita media nel paese. L’inquinamento in Cina causa ogni anno la morte prematura di un milione di persone, stima lo studio. A causarlo, principalmente l’inquinamento casalingo — ovvero la combustione di materiali organici per cucinare, o l’utilizzo di combustibili di bassa qualità per i riscaldamenti. Un tasso di mortalità che è destinato ad aumentare nei prossimi anni a causa dell’invecchiamento della popolazione, nonostante l’impegno del governo cinese a ridurre le emissioni.

Ma il dato più preoccupante è un altro: il 97 per cento dei cinesi sono esposti a concentrazioni di P.M 2.5 — particelle pesanti più dannose per la salute — che sono al di sopra dei parametri stabiliti dall’Organizzazione mondiale per la sanità. Per l’Aie, però, se la Cina proseguirà con le politiche di taglio alle emissioni delle industrie, dei veicoli pesanti e delle case private potrà aumentare l’aspettativa di vita di 15 mesi entro il 2040.

Arbitrato su Mar cinese meridionale, Cina rischia status di «fuorilegge»

Se non accetterà il verdetto della Corte arbitrale internazionale dell’Aja sul Mar cinese meridionale previsto per il mese prossimo, la Cina potrebbe diventare un paese «fuorilegge». A dirlo è l’avvocato a capo del team che rappresenta le Filippine nella causa. Per Paul Reichler, questo il nome del giurista, il verdetto è quasi cosa fatta: la Corte darà ragione alle Filippine perché dalla loro parte hanno l’appoggio degli Stati Uniti e di altri paesi. Allo stesso tempo, sconfesserà la Cina privandola di ogni «base legale» per le sue rivendicazioni marittime.

Queste si basano su una linea immaginaria — dei nove punti — che si estende verso sud includendo molte isole e atolli contesi per le loro risorse ittiche e giacimenti di gas sottomarini. Oltre alle Filippine, anche Vietnam, Indonesia e Malaysia contestano la posizione cinese. Ancora ieri Pechino ha fatto sapere che il tribunale internazionale non ha la giurisdizione per decidere sulla disputa nel tratto di mare conteso e che da tempo promuove una linea di negoziazioni pacifiche, ancora mai avviate nella pratica. Ma questo atteggiamento, avvisa Reichler, avrebbe di fatto una sola conseguenza: isolare ulteriormente la Cina.

La Cina punta sullo sviluppo del Pireo 

Bracci meccanici giganteschi che si muovono senza sosta spostando uno ad uno container da pesanti navi mercantili. È una scena a cui tutti i comandanti delle navi che attraccano al porto del Pireo, a pochi chilometri a sud di Atene, assistono mentre attendono il loro turno. Un’indicazione di come, nonostante le crisi attraversate in poco meno di dieci anni dalla Grecia, qui le cose girino assai diversamente.

Dal 2010, il volume di carico e scarico del Pireo è aumentato di quasi quattro volte. Merito degli investimenti messi in campo dalla Cina — in particolare dalla Cosco, azienda statale di trasporto marittimo — che ha portato un porto in crisi al 39esimo posto a livello globale per capacità di container. Ed ora punta a trasformarlo in uno degli snodi di punta della Nuova Via della Seta marittima, porta d’accesso al Mediterraneo e all’Europa.

A ottobre 2010 Cosco ha ottenuto in gestione dal governo di Atene i moli 2 e 3 del Terminal container del porto per 35 anni. Ora sta per ottenere la maggioranza (67 per cento) delle azioni della struttura, grazie a un accordo da quasi 370 milioni di euro siglato con la Grecia a inizio di quest’anno.

Seul dice no a Google Maps

La Corea del Sud non permetterà a Google di usare mappe ufficiali del paese finché le aree definite sensibili — installazioni militari in particolare — non saranno oscurate. Negli ultimi giorni l’azienda californiana ha infatti chiesto al governo di Seul di fornire mappe per migliorare il servizio Maps in Corea del Sud. Questa nuova richiesta di Google arriva a 6 anni di distanza dalla prima, non andata a buon fine.

«A causa delle nostre preoccupazioni in materia di sicurezza — ha detto il ministro della difesa Han Min-koo — i ministeri del nostro governo insistono che una licenza sarà possibile solo dopo che le necessarie misure saranno state prese». Per Seul il problema principale è infatti rivelare informazioni sensibili sulle proprie installazioni militari, favorendo indirettamente la Corea del Nord, con cui è formalmente in guerra.

Brexit: banca di Singapore non concede crediti per proprietà a Londra

Uob, terza principale banca d’affari di Singapore, non riceverà più richieste di finanziamento da parte dei suoi clienti per proprietà a Londra. La decisione è stata presa in seguito alle instabilità sui mercati finanziari seguiti al referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.
La notizia non è positiva per il mercato immobiliare nella capitale britannica, dove i cittadini singaporeani sono tra i principali acquirenti, primi tra gli asiatici.

Anche altre banche della Città dei leoni come Dbs e Ocbc avvertono i propri clienti dei rischi connessi in particolare alle oscillazioni di borsa sulle valute: negli ultimi giorni, il crollo della sterlina e l’apprezzamento del dollaro di Singapore hanno determinato un abbassamento del valore delle proprietà immobiliari londinesi per gli investitori della città-stato nel Sudest asiatico.

Filippine, si insedia il «Trump» asiatico

Rodrigo Duterte, l’ex sindaco «sceriffo» di Davao, ha giurato come presidente delle Filippine. Nel suo discorso inaugurale ha dichiarato di essere pronto a riforme radicali per ristabilire la fiducia della popolazione nel sistema politico nazionale. Dopo i colloqui formali con il suo predecessore Benigno Aquino III, Duterte si è insediato al palazzo presidenziale del Malacañang a Manila.

Duterte ha vinto le elezioni presentandosi come forza anti sistema, facendo leva sulla sua fama di uomo forte dalle posizioni molto dirette. Hanno fatto discutere soprattutto le sue posizioni sulle uccisioni «extra-giudiziarie», senza previo processo, di criminali da lui ordinate nel suo mandato da sindaco, e su alcune sue uscite maschiliste e offensive contro le donne.