In Cina e Asia – Hong Kong: stretta sui media. Sarà la polizia ad assegnare gli accrediti stampa

In Notizie Brevi by Serena Console

Una nuova stretta sulla libertà di stampa a Hong Kong rischia di minacciare i lavori di reporter e corrispondenti, a causa di una misura introdotta dalla polizia dell’ex colonia britannica. Le autorità di sicurezza di Hong Kong, attraverso un comunicato rilasciato dall’Ufficio stampa delle Forze dell’ordine, hanno reso noto che sceglieranno quale giornalista riceverà l’accredito stampa per coprire conferenze ed eventi ufficiali. La polizia, quindi, riconoscerà solo i giornalisti che lavorano per i media registrati negli elenchi dell’autorità cittadina per le comunicazioni o per “media stranieri riconosciuti a livello internazionale”, escludendone quindi altri. Con questa misura, si colpiscono i media indipendenti e gli studenti della facoltà di giornalismo dell’Università di Hong Kong. Ma, soprattutto, la nuova linea guida inficerà il lavoro di centinaia di reporter registrati presso diverse associazioni di categoria, come la Hong Kong Journalists Association (HKJA) e la Hong Kong Press Photographers Association (HKPPA). Per giustificare la nuova politica, il sovrintendente capo della polizia, Kwok Ka-chuen, ha inviato una lettera all’Hong Kong Foreign Correspondents Club affermando che le proteste “spesso hanno attirato centinaia di giornalisti in zone dove erano in corso scontri pericolosi”. Ma con la missiva, Kwow ha colto l’occasione per attaccare tutti i manifestanti che, presentandosi alla polizia come giornalisti, hanno attivamente preso parte alle proteste per ostacolare o aggredire gli agenti. Ma le associazioni giornalistiche di Hong Kong attaccano le autorità per averle escluse dal processo sulla nuova normativa, ricordando che le precedenti linee guida erano state delineate dopo un accordo tra polizia e media e chiedendo che le nuove linee guida siano ritirate. [fonte The Guardian ]

Diversi account Facebook cinesi hanno interferito nel dibattito politico americano

Un’indagine di Facebook e di una società di analisi partner ha descritto nel dettaglio come diversi account social cinesi abbiano interferito nel dibattito politico online su argomenti caldi come il Mar Cinese Meridionale, Hong Kong, il presidente filippino Rodrigo Duterte e la politica americana, con post a favore o contro i contendenti presidenziali Joe Biden e Donald Trump. Facebook ha annunciato nella giornata di ieri di aver rimosso 115 account Facebook e sei account Instagram che facevano propaganda governativa pro-Pechino e a favore di altri governi del Sud-Est Asiatico. Sebbene questi account utilizzassero reti private virtuali (VPN) per nascondere la fonte del loro traffico, Facebook è riuscito comunque a individuarli nella provincia cinese del Fujian. Non è ancora chiaro se gli account rimossi avessero legami con il governo cinese. Questa è la prima volta che Facebook rimuove account con sede in Cina impegnati a interferire e influenzare i dibattiti sul web. [fonte SCMP ]

La Cina consentirà l’ingresso agli stranieri con permesso di soggiorno dal 28 settembre

Il ministero degli Esteri cinese, nella giornata di ieri, ha reso noto che gli stranieri con un permesso di soggiorno valido possono entrare in Cina a partire dal 28 settembre, senza dover richiedere nuovamente un visto. Gli stranieri che hanno un permesso di soggiorno scaduto dopo il 28 marzo possono richiedere il visto alle ambasciate e ai consolati cinesi. La Cina, lo scorso marzo, ha sospeso temporaneamente l’ingresso degli stranieri in possesso di visti e permessi di soggiorno, come misura per contenere la diffusione del coronavirus nel Paese. [fonte Reuters ]

Amnesty International denuncia: aziende europee vendono sistemi di videosorveglianza in Cina

Le società tecnologiche europee rischiano di alimentare le violazioni dei diritti umani con la vendita di tecnologia di sorveglianza digitale alle agenzie di pubblica sicurezza cinesi. È la denuncia che arriva da una nuova indagine di Amnesty International, secondo cui tre società con sede in Francia, Svezia e Paesi Bassi hanno venduto sistemi di sorveglianza digitale, come la tecnologia di riconoscimento facciale e le telecamere a circuito chiuso, ad attori chiave dell’apparato di sorveglianza di massa cinese: probabilmente, le tecnologie sono state utilizzate per controllare le minoranze musulmane nella regione dello Xinjiang e in tutto il paese. Nello specifico, la multinazionale francese Morpho si è aggiudicata un contratto per la fornitura di apparecchiature per il riconoscimento facciale direttamente con l’Ufficio di pubblica sicurezza di Shanghai nel 2015. L’azienda è specializzata in sistemi di sicurezza, come sistemi di riconoscimento facciale e altri prodotti di identificazione biometrica. Nell’analisi dell’Ong figura anche la svedese Axis Communications, che sviluppa e commercializza telecamere a circuito chiuso, utilizzate in sorveglianza di sicurezza e monitoraggio remoto. L’azienda ha fornito la sua tecnologia all’apparato di pubblica sicurezza cinese dal 2012 al 2019. Sul sito web dell’Axis, inoltre, si legge che l’azienda svedese ha ampliato la rete di telecamere di sicurezza da 8.000 a 30.000 nella città meridionale di Guilin: le telecamere hanno una visione angolare di 360 gradi che si estende in lunghezza fino 300 – 400 metri. Infine c’è l’olandese Noldus Information Technology, che ha venduto sistemi di riconoscimento emotivo a istituzioni legate alla pubblica sicurezza e alle forze dell’ordine in Cina. Il software “FaceReader” dell’azienda viene utilizzato per l’analisi automatizzata delle espressioni facciali che trasmettono rabbia, felicità, tristezza, sorpresa e disgusto. FaceReader è risultato essere utilizzato dalle università cinesi, collegati all’apparato di pubblica sicurezza e alla polizia, nonché dal Ministero della pubblica sicurezza. Amnesty International ha anche scoperto che Noldus ha venduto la sua tecnologia di sorveglianza digitale ad almeno due università nello Xinjiang tra il 2012 e il 2018, anni in cui sono partite le campagne di repressione contro gli uiguri e altri musulmani. È proprio sullo Xinjiang che Amnesty International punta il dito sui governi europei, accusati di vendere strumenti di sorveglianza biometrica in Cina. “La condanna dei governi dell’Ue verso la repressione sistematica nello Xinjiang suona vuota se i paesi europei consentono alle aziende di vendere proprio la tecnologia che potrebbe consentire questi abusi. L’attuale sistema di regolamentazione delle esportazioni dell’Ue è fallimentare e deve essere rivisto rapidamente”, ha affermato Merel Koning, funzionario senior per le politiche, tecnologia e diritti umani presso Amnesty International. [ fonte Amnesty International ]

China Files propone alle aziende italiane interessate alla Cina servizi di comunicazione quali: newsletter, aggiornamenti su specifici settori, oltre a progetti formativi e approfondimenti ad hoc. Contattaci a info@china-files.com