In Cina e Asia – Hong Kong: nuova stretta legislativa, tutta l’opposizione annuncia le dimissioni

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

UPDATE: Tutti e 15 i deputati pro-democrazia hanno dato le dimissioni in segno di portesta per l’espulsione dei quattro colleghi Alvin Yeung, Dennis Kwok, Kwok Ka-ki e Kenneth Leung

Quattro deputati democratici del Consiglio Legislativo di Hong Kong (Legco) sono stati rimossi dai loro incarichi per “mancanza di patriottismo”. Secondo quanto disposto dal governo locale, Alvin Yeung, Dennis Kwok, Kwok Ka-ki e Kenneth Leung dovranno lasciare il Legco con effetto immediato. I quattro – accusati di  – erano già stati squalificati dalle legislative di settembre, poi sospese a causa di Covid. L’annuncio è giunto a stretto giro dalla comunicazione di una nuova risoluzione approvata stamattina dal parlamento cinese che ordina l’espulsione dei legislatori che promuovono o sostengono l’indipendenza di Hong Kong, rifiutano di riconoscere la sovranità cinese, favoriscono l’interferenza di forze esterne negli affari locali, minacciano la sicurezza nazionale o violano la Basic Law.  La decisione, nell’aria da giorni, era stata preceduta dalla minaccia di dimissioni di massa all’interno del fronte democratico. Lo smantellamento dell’opposizione era cominciato nel 2016 dopo la vittoria a sorpresa di 29 candidati pro-democrazia, alcuni dei quali noti per le loro posizioni localiste. Nell’attesa che Trump digerisca la sconfitta, non è escluso che Washington sfrutti i fatti di Hong Kong per sferrare un altro attacco contro Pechino. Solo alcuni giorni fa è stata annunciata una nuova tornata di sanzioni contro quattro funzionari hongkonghesi incaricati di attuare la legge sulla sicurezza nazionale. Durante un intervento al Ronald Reagan Institute, nella giornata di ieri Mike Pompeo ha definito la Cina un “mostro marxista-leninista” lasciando intendere mesi di transizione agguerrita anche sul fronte cinese. [fonte Bloomberg, RTHK]

Alibaba e Tencent nel mirino dell’antitrust

Dopo l’offensiva legale dell’amministrazione Trump contro Google, anche Pechino comincia a fare pulizia tra le big tech. Nella giornata di ieri, l’organismo di vigilanza antitrust cinese ha avviato un periodo di consultazione per la creazione del primo quadro normativo volto a contenere lo strapotere di Alibaba, Tencent e il colosso del delivery Meituan-Dianping. Le misure aiuteranno a tutelare i consumatori combattendo comportamenti anticoncorrenziali, come la condivisione di dati sensibili, la manipolazione dei prezzi e la richiesta di esclusività nella vendita, tutte pratiche che hanno finora penalizzato i concorrenti più piccoli. La decisione non è semplice. L’acronimo ATM incarna la rivoluzione economica cinese, trainata da un mix di imprenditoria privata e vocazione all’innovazione. Ma nel corso del tempo la crescita ipertrofica dei tre giganti ha cominciato a minacciare la stabilità del sistema: troppi i rischi e troppo il potere accumulato. Un primo passo era stato compiuto a gennaio con l’estensione della legge anti-monopolio all’industria di internet. L’operazione antitrust – costata un crollo dei titoli TAM – giunge a pochi giorni dalla sospensione dell’ipo megagalattica di Ant, la fintech di Alibaba. [fonte FT]

La crescita cinese fa volare l’export Ue

La rapida ripresa della locomotiva cinese sta facendo volare l’export europeo. Secondo i dati pubblicati sabato, confermando il trend di settembre, nel mese di ottobre le importazioni cinesi dalla Germania sono aumentate del 24 per cento su base annua, seguite da quelle dell’Italia: +  21 per cento. Gli ordini dalla Cina bilanciano il calo riportato nel secondo trimestre dalle esportazioni dell’UE verso Stati Uniti e Regno Unito, giù del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Numeri che hanno permesso alla seconda economia mondiale di diventare il primo partner commerciale del blocco dei 27 scavalcando gli Stati uniti. In cima alla lista della spese troneggiano automobili e beni di lusso, un tempo acquistati direttamente in loco dai turisti cinesi, ma che in tempi di pandemia stanno viaggiando verso Oriente. Con una crescita del 4,9% nel terzo trimestre, ci si attende che la Cina sarà l’unico paese del G20 a riportare un’espansione del Pil per l’anno in corso. [fonte FT]

La Cina lancia la prima università dei chip

Il 22 ottobre, la città di Nanchino ha lanciato la prima università cinese dedicata allo studio dei circuiti integrati. In pieno decoupling tecnologico, la Cina deve far fronte con la carenza di esperti nel settore dei semiconduttori. Ecco perché la Nanjing Integrated Circuit University (NICU) non si presenta come un’ “università” tradizionale quanto piuttosto come “organizzazione per la formazione di talenti”. Gli studenti non sono diplomati delle scuole superiori bensì laureati con conoscenze pertinenti o neo-dipendenti di società specializzate nei circuiti integrati. L’UTIN non risponde al Ministero dell’Istruzione ma alla comissione del Nuovo Distretto di Nanchino Jiangbei, la zona economica speciale dove sorge il campus universitario. Non è la prima volta che “la capitale del sud” sfoggia le proprie ambizioni tecnologiche. Il nuovo distretto di Linjiang ospita circa 400 aziende per la produzione di chip, compreso uno stabilimento del colosso taiwanese TSMC. Il riscontro dell’opinione pubblica finora non è stato entusiasmante. Sui social c’è chi sospetta che il nuovo istituto sfornerà operatori tecnici più che ingegneri e scienziati [fonte Xinhua]

224.000 posti di lavoro, 6 miliardi di tasse: i numeri di Huwei in Europa

Mentre Huawei promette azioni legali contro quei paesi che, come Svezia, Polonia e Romania, hanno escluso l’azienda dal 5G, uno studio della Oxford Economic Research Institute mette in luce come chiudere le porte al colosso di Shenzhen sia una scelta oltremodo difficile. Secondo l’indagine, solo nel 2019, le attività di Huawei in Europa hanno creato benefici economici diretti e indiretti per 16,4 miliardi di euro. A cui si aggiungono 224.300 posti di lavoro e 6,6 miliardi di euro di tasse. Quando poi si parla di ricerca e sviluppo, la società cinese si posiziona quinta nella classifica stilata dalla Commissione europea, mentre è addirittura al primo posto per brevetti depositati. “Nel 2019, il contributo diretto di Huawei al PIL europeo è stato di 2,8 miliardi di euro, con un tasso di crescita medio dell’11,4% negli ultimi cinque anni”, secondo Liu Kang rappresentante dell’azienda per l’Ue. Il dilemma tra benefici economici e sicurezza si sta consumando in queste ore in Svezia, dove il tribunale amministrativo di Stoccolma ha revocato a tempo indeterminato il precedente divieto con cui la Swedish Post and telecom authority (Pts) aveva bandito Huawei dal 5G nazionale. [fonte GIZChina]

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