In Cina e Asia – Crisi energetica: il Liaoning rischia il blackout, lo Shanxi chiude per emergenza climatica

In Notizie Brevi by Redazione

Continua la carenza di energia nelle zone più industrializzate nel Nordest della Repubblica popolare. Il Liaoning ha emesso il secondo allarme rosso per la scarsità di fonti energetiche, il quinto delle ultime due settimane. In una delle provincie più industrializzate del Paese la crisi energetica si fa sempre più intensa, e continua da metà settembre. Anche in questo caso si tratta di un mix di problemi differenti che il governo locale non riesce a sostenere: crollo della fornitura di carbone (i cui prezzi crescono esponenzialmente), fonti rinnovabili non sufficienti per reggere la domanda industriale e consumi eccessivi nei mesi scorsi che hanno violato i limiti concessi dal Governo centrale.

Nel frattempo lo Shanxi, uno dei maggiori produttori di carbone, deve fare il conto con l’emergenza climatica. Da giorni la pioggia battente sta colpendo gran parte della provincia, provocando alluvioni e frane. La situazione ha costretto il governo locale a fare retromarcia sulle richieste di Pechino di produrre più carbone per compensare la crisi energetica. Le chiusure emergenziali hanno colpito, per ora, 60 miniere di carbone, 372 miniere metallurgiche e 14 fabbriche chimiche “potenzialmente pericolose”. Ancora ignoto il numero totale delle vittime, mentre per i soccorsi sono stati stanziati circa 4,2 milioni di dollari. [Fonti: Straits Times, Straits Times]

 

Treni veloci: croce e delizia di Pechino?

I treni veloci potrebbero non essere l’investimento migliore per la Cina. Queste sono le conclusioni di un gruppo di ricercatori cinesi, che ha pubblicato un’indagine sull’impatto dell’alta velocità sulle economie locali. Pubblicato sulla rivista nazionale Geographical Research e ancora fase peer review, lo studio afferma che per ogni stazione ferroviaria dell’alta velocità nelle provincie occidentali viene perso l’1,5% del fermento economico di quella zona. L’analisi si concentra su quelle aree meno popolate e più povere della Cina, dove Pechino punta ad aumentare la connettività come strumento per migliorare la situazione economica. La ricerca, curata dal team di Niu Fanggu e altri colleghi dell’Accademia delle Scienze, potrebbe stravolgere l’approccio del governo cinese allo sviluppo. Basato su complessi rilevamenti satellitari delle luci notturne nelle aree urbane, il risultato finale boccia solo le provincie nell’Ovest, mentre conferma la vivacità delle economie lungo la costa.

Pechino ha investito intensamente nella connettività veloce, completando 38 mila chilometri di binari per l’alta velocità nell’arco di quindici anni: un processo che, forse, ha solo accelerato la fuga di cervelli dalle aree più marginalizzate, come individua un altro studio pubblicato su China Industrial Economics.  Le conclusioni di questa ricerca si basavano sul calo di domanda per i brevetti, considerato un segno di stagnazione nei settori più all’avanguardia. Ma non tutti la pensano così: altrettante ricerche sembrano confermare le aspirazioni di Pechino, affermando che dove arrivano i treni veloci cresce il settore immobiliare e aumentano le entrate del governo locale. [Fonte: Scmp]

 

Le grotte di Enshi: anello di congiunzione tra il Covid e gli umani?

In un raro reportage prodotto dal Washington Post emergono alcuni dettagli sulla possibile origine del Covid19, che alcuni studi farebbero risalire alle grotte di Enshi, situate un’area rurale a sei ore di macchina da Wuhan. Prima del divieto contro il traffico di animali selvatici (febbraio 2020) erano centinaia gli allevamenti nati con lo scopo di vendere sul mercato le specie rare: tutti possibili veicoli per lo spillover del coronavirus dall’animale all’uomo, tanto che quest’area è da tempo nell’interesse dei ricercatori Oms. Anche se, per ora, Pechino ha rifiutato le richieste dei team di specialisti.

Ad attirare l’attenzione dei cronisti della testata Usa sarebbe stata anche l’intensità degli spostamenti di persone tra le grotte e i villaggi circostanti, mentre i vecchi allevamenti di animali selvatici erano localizzati a poche centinaia di metri dagli ingressi. Questi dettagli, secondo gli esperti, avvalorano la tesi per cui il Covid19 potrebbe essere passato all’uomo in questa zona attraverso passaggi plurimi su altre specie e, da lì, verso il mercato di Wuhan. [Fonte: Washington Post]

 

I film Disney rimasti nel limbo senza data di uscita in Cina

Il tentativo di Walt Disney Co. di conquistare il favore (e il portafogli) del pubblico cinese con produzioni inclusive e pensate per un’audience asiatica sembra arrivato a un’impasse. Nel 2020 la Cina è diventata il primo mercato di riferimento per l’industria cinematografica, superando gli Stati Uniti, ma da allora il numero di film stranieri che non riesce ad arrivare nelle sale della Rpc è in costante aumento. L’ultimo a rimanere nel limbo della distribuzione “a data da destinarsi” è il nuovo film di supereroi Marvel, Eternals, di Chloé Zhao. Prima ancora anche Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli, il primo film Disney con cast a maggioranza asiatica. Il trend sembra essere cominciato nel 2020 con la polemica nata attorno al remake di Mulan, ma riflette la tendenza generale del governo cinese di favorire produzioni locali, regolamentare l’industria dell’intrattenimento ed allontanare qualsiasi prodotto culturale che possa essere fonte di controversia. Dei tre film ideati per conquistare il box office cinese, Mulan è stato accusato di inaccuratezza storica, mentre per Shang-chi e Eternals la polemica verte su dichiarazioni critiche della Repubblica Popolare rilasciate rispettivamente da Liu Simu e Chloé Zhao.

La Disney continua a sottoporre i suoi lungometraggi alle autorità cinesi, ma senza ricevere risposte conclusive su diversi titoli. Nell’incertezza anche Black Widow, la cui uscita è stata rimandata per quasi due anni a causa della pandemia. Cruella ha invece avuto l’ok, ma ha riscontrato pallidi incassi. Non solo Disney. A non avere convinto la Sarft, l’ente statale cui spetta rilasciare le licenze per la distribuzione di film stranieri in Cina, anche l’attesissimo Bond movie, No Time to Die e il kolossal di fantascienza Dune. Fuori dai giochi anche il remake di Space Jam e il film di arti marziali Snake Eyes G.I. Joe. Nel frattempo, la Cina rimane uno dei paesi con il più alto indice di pirateria tramite download e app di streaming illegali. Problema sul quale cui il l’Amministrazione per il copyright cinese (Nca) sta intervenendo in modo sempre più severo. [Fonti: WSJ; Nikkei]

 

La Cina ha vinto per la supremazia in IA. Lo dice l’ex numero uno del Pentagono

“Gli Stati Uniti hanno già perso la battaglia per l’intelligenza artificiale. Non avremo alcuna possibilità di competere con la Cina in 15-20 anni”. Così l’ex capo del software del Pentagono, Nicolas Chaillan, ha denunciato il divario tra le due superpotenze in un’intervista con il Financial Times. Chaillan aveva dato le sue dimissioni dal dipartimento della Difesa americana a settembre, dichiarandosi deluso dalla troppo lenta trasformazione tecnologica in corso nell’esercito americano. All’annuncio del suo ritiro, l’ex numero uno del Pentagono aveva mandato una lettera tagliente alla Difesa, nella quale scriveva: “Stiamo costruendo infrastrutture destinate a fallire (…) mentre noi perdevamo tempo con la burocrazia, il nostro avversario si è mosso in avanti”. Per Chaillan “il fatto che ci sarà o meno una guerra è secondario”, in quanto la Cina sta già raggiungendo la “supremazia globale” e ci sono “ottime ragioni per essere arrabbiati” con Pechino.

L’ex dirigente del software della Difesa ha denunciato la scarsa prontezza delle autorità statunitensi nel rispondere agli attacchi informatici e alle altre minacce cibernetiche provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese. Ha inoltre sottolineato che per quanto il budget militare statunitense sia tre volte quello cinese, è stato speso in maniera poco tempestiva e nei settori sbagliati. Investimenti a progetti sofisticati posticipati per ragioni legate all’etica e leader incompetenti in materia di Ict. Queste sarebbero secondo Chaillan le ragioni alla base del fallimento statunitense. L’ex dirigente ha poi puntato il dito contro i colossi della Sylicon Valley, Google prima di tutti, per non aver collaborato a sufficienza con la Difesa americana nello sviluppo del settore IA. A seguito della pubblicazione dell’intervista con il Financial Times, l’errata corrige da parte di Chaillan su Twitter, che ha voluto precisare: “Amici, non ho mai detto che abbiamo perso. Ho detto come stanno le cose e se non ci svegliamo ADESSO non abbiamo nessuna chance di vincere contro la Cina in 15 anni”. E conclude: “Stiamo competendo contro 1.5 miliardi di persone gente. O siamo più furbi e agili, o perdiamo. Punto”. Fonte: Financial Times]

A cura di Sabrina Moles e Lucrezia Goldin